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UNA VITA IN BILICO
TOMMASO LANDOLFI
di Pasquale Di Palmo
Considerata in passato rivolta a un pubblico ristretto per il linguaggio manierato e prezioso, l’opera di Landolfi di recente si sta imponendo come una delle esperienze letterarie fondamentali del secolo appena trascorso.
Con il passare del tempo l’opera variegata di Tommaso Landolfi si configura come una delle esperienze letterarie più singolari e rappresentative del nostro Novecento. Narratore straordinariamente dotato, Landolfi si misurò proficuamente con tutti i generi, spaziando indifferentemente dal romanzo al racconto, dall’elzeviro alla poesia, dal saggio alla favola, dalla traduzione alla pièce teatrale, dimostrando una perizia tecnica impareggiabile. Si ha l’impressione che l’autore volesse piegare qualsiasi genere alle sue personali esigenze creative, dissimulando, più che esibendo, un autobiografismo sempre tenuto sopra le righe. La sua opera costituisce una sorta di "diario perpetuo", come emblematicamente intitolerà alcuni tardi contributi memorialistici apparsi sul Corriere della Sera. Ma si tratta di un diario in cui paradossalmente l’autore tende a nascondersi più che a mostrarsi, come se i suoi scritti rappresentassero un articolato e complesso crittogramma che solo il lettore più avveduto sarà in grado di comprendere nelle sue più recondite ramificazioni.
L’atteggiamento di Landolfi, personaggio schivo e aristocratico, chiuso in un universo misterioso e bizzarro, sarà costantemente rivolto a occultare la sua presenza, arrivando a pubblicare sul risvolto di copertina dei suoi libri la polemica dicitura: «Risvolto bianco per desiderio dell’autore».
Narrazioni del fantastico
L’esordio di Landolfi matura nella Firenze degli anni Trenta, permeata dall’atmosfera che si respira intorno al mitico Caffè delle Giubbe Rosse, ritrovo di letterati di spicco come Montale, Gadda, Bilenchi, Delfini, Luzi, Vittorini, Traverso. Nel 1937 esce presso l’editore Parenti la straordinaria raccolta di racconti Dialogo dei massimi sistemi, il cui titolo riprende quello del trattato galileiano (il ricorso a titoli importanti della tradizione scientifica e letteraria, compresa la loro ironica deformazione, rimarrà una costante nell’opera dello scrittore). I racconti sono pervasi da un’atmosfera da incubo che sconfina spesso nel grottesco e che rimanda ai modelli "gotici" di Poe, Hoffmann, Nerval. Bisogna segnalare perlomeno il sorprendente racconto "Maria Giuseppa" che evidenzia la profonda distanza che separa l’autore di Pico dai canoni letterari del tempo. Il protagonista narra in prima persona la vicenda dei suoi controversi rapporti con Maria Giuseppa, una fantesca di origine contadina che, a causa dei continui soprusi del suo padrone, si ammala gravemente e muore. Ma non c’è nulla di patetico nella narrazione, tutta giocata sul registro delle elucubrazioni semiserie di Giacomo, il succitato protagonista del racconto che rappresenta una sorta di alter egodello stesso narratore.
Nel 1939 escono due libri di Landolfi: il romanzo La pietra lunare che segna l’inizio della pubblicazione da parte di Vallecchi di quasi tutte le sue opere (d’ora in poi evidenzieremo soltanto i nomi degli editori che non corrispondono a quello fiorentino), e la raccolta di novelle Il Mar delle Blatte e altre storie, stampata nelle Edizioni della Cometa, dirette dall’amico poeta Libero De Libero a cui è emblematicamente dedicata Notte di nozze. La pietra lunare, che ha come sottotitolo Scene della vita di provincia,racconta la curiosa vicenda del giovane Giovancarlo che incontra una ragazza dai piedi caprini chiamata Gurù, con la quale vivrà una lunga serie di avventure soprannaturali, misurandosi di volta in volta con i briganti morti, le creature mannare, le mitiche Madri, in ambienti spettrali e decadenti che non possono non richiamare alla mente le atmosfere e le superstizioni che circolavano un tempo nei paesi meridionali. Con Il Mar delle Blatte e altre storie ci troviamo di fronte a una sequenza di piccoli capolavori, a cominciare dall’enigmatico racconto che dà il titolo al libro, permeato da un’atmosfera surreale e plumbea che non può non ricordare le invenzioni eccentriche e, al tempo stesso, rigorose di Kafka.
Non è un caso che, nel libro successivo (La spada, del 1942), uno dei racconti più significativi sia proprio "Il babbo di Kafka" che costituisce una sorta di divagazione stralunata e fantastica sulla vita del grande scrittore praghese (sulla stessa falsariga si può annoverare anche il racconto "La moglie di Gogol’", presente nella raccolta Ombre del 1954, in cui compare anche "La vera storia di Maria Giuseppa" dove si narra la reale vicenda della fantesca che prestava servizio in casa di Landolfi, brutalmente "marocchinata" in tempo di guerra). E al periodo bellico è ispirato anche il romanzo breve Racconto d’autunno (1947), dominato dall’atmosfera che si respira in una labirintica magione permeata da presenze fantastiche e inquietanti che non può non richiamare alla mente sia la dimora avita di Pico sia il racconto "The fall of the house of Usher" di Poe. L’anno precedente era uscito per Bompiani Le due zittelle, romanzo in cui il divertissement sconfina nella provocazione blasfema, esplicandosi attraverso una serie di divertenti, anche se mai gratuite, trovate linguistiche: alla figura delle due "zittelle" (diminutivo plurale di "zitta") si contrappone quella di Tombo, una "scimia" che arriverà, attraverso le sue sacrileghe scorribande notturne, a scombussolare la vita provinciale delle due sorelle. Nel risvolto di copertina dell’edizione originale figura una nota critica, non firmata ma di mano di Eugenio Montale, in cui si legge tra l’altro: «[...] nessuno vorrà negare che per varietà di toni, nerbo e scioltezza di plessi stilistici e travolgente pathos intellettuale il libro del Landolfi esca dai facili schemi del genere narrativo e si ponga sul piano dell’arte più ardua, su quello dei maggiori "incubi" psicologici e morali della moderna letteratura europea».
Nel 1950 esce Cancroregina, magistrale racconto lungo di ambientazione fantascientifica in cui Landolfi sembra riscrivere, in ambito decisamente futuristico, la trama del Giornale di un pazzo di Gogol’, autore amatissimo di cui tradusse gli indimenticabili Racconti di Pietroburgo per Rizzoli nel 1941 (bisogna inoltre ricordare le numerose versioni sia dal russo di Puškin, Leskov, Lermontov, Tjutcev, Tolstoj, Dostoevskij, sia dal tedesco di Novalis, Hofmannsthal e i fratelli Grimm, che dal francese di Merimée e Nodier). Sul risvolto di copertina appare una delle rarissime immagini dello scrittore che, com’è noto, non amava farsi fotografare e che aveva una particolare forma di idiosincrasia per ogni tipo di ostentazione pubblica (circola un aneddoto secondo il quale Landolfi metteva a dura prova gli organizzatori dei premi letterari, costretti com’erano a cambiare i programmi delle relative manifestazioni per evitare che lo scrittore, quando saliva sul palco per la premiazione, presentasse le proprie "terga" al pubblico).
Dalle favole alla diaristica
Landolfi si misurò anche con il mondo delle favole. Oltre a scrivere divertenti colloqui e filastrocche, compose due tra le più belle storie moderne per l’infanzia, intitolate rispettivamente Il principe infelice(1943) e La raganella d’oro (1954). Qui vige una sorta di morale rovesciata, in cui il caso predispone come una gigantesca ragnatela il suo imperscrutabile disegno. Le due favole rappresentano un caso atipico nella produzione landolfiana, essendo tutte giocate intorno a un linguaggio piano e misurato, fruibile perciò pure dai lettori più piccoli e sprovveduti, anche se l’impressione che se ne ricava è che siano indirettamente destinate a chi rimpiange di non potersi ancora annoverare tra i lettori più piccoli e sprovveduti.
Soltanto in pochi libri Landolfi abbraccia uno stile così terso e lineare che vira in direzione di una piena godibilità del testo, senza costringere il lettore a ricorrere in continuazione all’ausilio del vocabolario (anche se in misura minore rispetto alla lezione gaddiana). Le disavventure di Rami nel Principe infelice e quelle del palafreniere Teraponte nella Raganella d’oro, tese a salvare rispettivamente il principe dell’Impero della Luna e la principessa Uriana, risultano quasi speculari alla luce del classico percorso di iniziazione intrapreso dai giovani al fine di esorcizzare lo spettro del delirio e della morte. Sono evidenti al riguardo gli influssi delle favole dei fratelli Grimm che lo stesso Landolfi tradusse e che furono incluse nell’antologia Germanica, curata dall’amico Leone Traverso per Bompiani nel 1942 e che sono state recentemente riproposte in un volumetto adelphiano: il risveglio dal letargo di Rami, la giovinetta dal cuore di vetro, sembra un calco del finale di Biancaneve.
LA BIERE DU PECHEUR inaugura, nel 1953, la splendida stagione diaristica che proseguirà con Rien va nel 1963 e con Des mois nel 1967. Fin dal titolo viene dichiarato l’intento beffardo e ambiguo dell’autore: infatti esso può significare – se scritto in maiuscolo e privo di accenti – sia «La birra del pescatore» sia «La bara del peccatore». Questa molteplice chiave di lettura, queste implicazioni polisemiche si riverseranno anche nel procedimento diaristico landolfiano, teso a mascherare e a nascondere più che a rivelare (sul risvolto di copertina appare l’immagine emblematica dello scrittore che si copre il volto con il ventaglio della mano aperta). Paradossalmente, infatti, questo autobiografismo non è mai scoperto, bensì abbisogna, per diventare davvero autentico, di un continuo paludamento con cui esorcizzare la cognizione del vuoto e della morte. In altri termini Landolfi necessita, per denudarsi, di una maschera che gli consenta di sopportare quel disagio interiore che altrimenti lo annienterebbe. Montale, recensendo Rien va, osservava: «[...] Landolfi, magnifico traduttore dal russo e da altre lingue, quando scriveva in proprio non faceva altro che tradursi, tenendo nascosto in sé l’originale... Il suo è in sostanza il linguaggio dell’uomo colto, che quando parla si sorveglia: un parlare che è appunto recitazione».
Nei diari le annotazioni autobiografiche si alternano a digressioni di carattere speculativo sugli argomenti più disparati (non ultimo il tema del gioco, su cui torneremo in seguito), con un senso della dissacrazione sempre incombente. Se in LA BIERE DU PECHEURmolto evidenti sono i colpi ad effetto con i quali Landolfi riesce sapientemente a catturare l’attenzione del lettore, non esitando a inventare di sana pianta alcuni episodi (salvo ricordarcelo magari nel paragrafo successivo), in Rien va e Des mois il tono si fa meno aspro, in virtù soprattutto del conflitto interiore con il quale l’autore vive la sopraggiunta, tarda paternità, tradendo reazioni che passano dall’irritazione a una sorta di inusuale tenerezza. Un esempio al riguardo concerne la descrizione dei piedini della figlia: «I suoi piedi sono estremamente morbidi, e serici anzi di raso: non pensavo che potesse darsi al mondo qualcosa di simile». Il narratore conosce in questa stagione accenti delicatissimi rivolti alla moglie-bambina, alla primogenita e al figlioletto, soprannominati rispettivamente Major, Minor e Minimus.
Il gioco metafora del mondo
Nel 1958 con il racconto lungo Ottavio di Saint-Vincent, Landolfi approda a una delle sue prove più scoperte dal punto di vista biografico, essendo la vicenda tutta imperniata intorno al demone del gioco che anima le vicissitudini del protagonista (lo scrittore, com’è risaputo, era un accanito giocatore e passava gran parte dell’anno nelle città che potevano impegnarlo in tal senso: Sanremo, Venezia, Saint-Vincent, le località della Costa Azzurra). D’altronde la concezione del gioco in Landolfi aveva qualcosa di paradossale, in quanto in innumerevoli testi cerca di dimostrare, attraverso vere e proprie disquisizioni di carattere filosofico, che il giocatore autentico è solo colui che perde: «Non ha pace finché non si sia incornato al tavolo verde, o, se si vuole, finché non abbia tutto perduto». Carlo Bo, considerato dall’interessato il suo maggior critico, asseriva al riguardo: «Landolfi sapeva che avrebbe perduto e tuttavia non solo si metteva, trascinato dal suo demone, al tavolo verde ma sapeva che avrebbe – anche se avesse per caso vinto – esaltato soltanto il no perpetuo del destino».
In Se non la realtà (1960), raccolta composita di racconti ispirata ai suoi numerosi viaggi, il tema del gioco è sempre presente, manifestandosi attraverso un fatalismo che procede per contrapposizioni (si pensi alla metafora che Landolfi attinge dal contrasto tra rouge e noir, i fatidici colori della roulette). D’altronde i viaggi non si svolgono in luoghi particolarmente ameni e suggestivi, qualora si consideri che un caratteristico suo testo si ambienta a Rovigo e che le città non potevano che dividersi per lui in due sole categorie: quelle che possedevano un casinò e quelle che non lo possedevano.
L’elemento della casualità ricorre frequentemente nei suoi scritti, come nel racconto "La dea cieca e veggente" contenuto nella raccolta In società (1962), che presenta impressionanti analogie con il celebre "Pierre Menard, autore del Chisciotte" di Jorge Luis Borges: il protagonista, il poeta Ernesto, ricompone l’Infinito di Leopardi estraendo da un’urna alcune parole a caso, mentre Pierre Menard riscrive il capolavoro di Cervantes lettera per lettera senza averne la consapevolezza. Ma, al di là di qualsiasi affinità di tipo letterario, il percorso di Landolfi resta quello di un isolato, di uno spirito eletto impegnato a sondare con le armi inadeguate di un linguaggio al tempo stesso ricercato ed esemplare, la profondità del mistero e del male esistenziali.
Nel 1964 vedono la luce gli indimenticabili Tre racconti scritti in uno stile asciutto e lineare che contrasta con le vicende fantasiose ivi narrate e in cui bisogna ricordare perlomeno il congegno perfetto della "Muta", uno dei vertici dell’arte landolfiana. In seguito appaiono il romanzo Un amore del nostro tempo (1965) che descrive la singolare vicenda di un amore incestuoso tra fratello e sorella; iRacconti impossibili (1966) che, sin dal titolo, si configurano come un significativo campionario delle sue narrazioni più grottesche e fantastiche, in cui spicca "La passeggiata", racconto basato su un lessico artefatto e prezioso, con vocaboli rari presi a prestito da un semplice dizionario della lingua italiana Zingarelli; la raccolta contenente cinquanta elzeviri apparsi sul Corriere della Seraintitolata Un paniere di chiocciole (1968); il Breve canzoniere(1971), insolito libro composto da brevi dialoghi alternati a sonetti o brani in prosa; la raccolta di saggi e articoli di carattere letterario apparsi sulla rivista Il Mondo di Mario Pannunzio negli anni Cinquanta, Gogol’ a Roma (1971).
Tra teatro e poesia
Del 1959 è il Landolfo VI di Benevento, tragedia in versi in sei atti. Con quest’opera Landolfi, che già nei suoi libri in prosa aveva inserito spesso qualche frammento poetico, approda a un genere, considerato in quel periodo anacronistico, come quello del poema drammatico in endecasillabi sciolti, con un’impostazione che, nello stile, ricorda l’Adelchi manzoniano. Il linguaggio è volutamente arcaico e ricercato, essendo la vicenda ispirata al Medioevo che vide la sconfitta da parte del normanno Roberto il Guiscardo degli ultimi signori di Benevento, Landolfo e Pandolfo. Ma, come sempre in Landolfi, il tema trattato altro non è che un pretesto per parlare di sé, spesso in maniera camuffata, mascherata, delle proprie vicende esistenziali e delle profonde disillusioni di cui era preda.
Nel 1963 vede la luce un altro testo teatrale, intitolato Scene dalla vita di Cagliostro, arricchito dalle fotografie tratte dall’edizione televisiva andata in onda il 14 maggio 1961 per la serie Le pecore nere con un cast d’eccezione, tra cui figurano Giorgio Albertazzi e Mario Scaccia. Nel 1969 esce il Faust ’67, sorta di «dramma o commedia di incerto scioglimento», secondo la definizione dello stesso autore. Nel 1972 Landolfi pubblica a sorpresa una lunga raccolta poetica intitolata Viola di morte: si tratta dell’ultimo libro dello scrittore pubblicato con Vallecchi dopo un sodalizio durato oltre trent’anni. L’intento diaristico è quanto mai presente, come precisa Graziella Bernabò Secchi: «[...] la parentela fra queste poesie e le pagine diaristiche si rivela assai stretta, per quanto strana la cosa possa sembrare, trattandosi di generi tanto diversi: le accomuna infatti quel misto di spontaneità e di concettosa cerebralità che è proprio delle più dirette confessioni dello scrittore». Il libro, dedicato alla memoria di Tjutcev e di D’Annunzio, risente di uno stile aulico e polemicamente anacronistico.
Nel 1977 Rizzoli pubblica Il tradimento, definito dallo stesso autore come «grave e terribile seguito» di Viola di morte, anche se la frattura tra le due raccolte si palesa sia nei temi che nelle soluzioni di carattere formale. Se la prima silloge si presenta come un diario doloroso in cui, leopardianamente, gli endecasillabi si alternano ai settenari, nel Tradimento questa fattura neoclassica viene stravolta da versi stridenti e scabri, irriverenti e blasfemi. A questo proposito Geno Pampaloni osserverà come quella tra Dio e il Nulla sia «una compresenza, la forma stravolta e dolorosa di una fede solitaria, una lacerazione dolente fra il sentimento cristiano e l’orgoglio intellettuale».
Gli ultimi lavori
Nell’aprile del 1972 Landolfi firma un contratto che lo lega alla casa editrice Rizzoli che pubblicherà, oltre al volume di racconti Le labrene(1974) apparso nella collezione "La Scala", una collana destinata alle "Opere di Tommaso Landolfi". La collana alterna ristampe dei libri che più hanno incontrato l’apprezzamento di pubblico e critica, usciti originariamente da Vallecchi e non più disponibili, a nuovi titoli comeA caso (1975) e al succitato testamento poetico intitolato Il tradimento.
Del meno, uscito nel 1978, è l’ultimo volume nel quale sono raccolti cinquanta elzeviri. Lo scrittore morirà di lì a poco, a Ronciglione, presso Roma, l’8 luglio 1979, dopo lunga e dolorosa malattia (uscirà postumo nel 1987, sempre per l’editore Rizzoli, Il gioco della torreche contiene una serie di contributi apparsi negli anni Sessanta sulCorriere della Sera). Ma lo stile funambolico di Landolfi si è ormai rastremato, la trama fantastica e surreale dei primi racconti ha ceduto il posto a una serie di dialoghi eleganti e stralunati, in cui un sarcasmo dai toni dolorosi e irriverenti la fa spesso da padrone.
Sembra che, nel progressivo imbarbarimento cui ci sottopongono le pressioni mediatiche quotidiane, la scrittura di Landolfi resti, dall’alto del suo magistero artigianale, un monito a recuperare una dimensione più autentica e umana, scoprendo implicazioni etiche che, a tutta prima, sono avvertibili solo in filigrana.
Il suo scetticismo, il suo pessimismo possono dunque essere letti come uno strumento che ci aiuti ad affrontare con il dovuto distacco una condizione esistenziale sempre più precaria e insufficiente, come denota lo scoperto autobiografismo dei testi estremi. Il finale amaro e beffardo di Questione d’orientamento, presente nel suo ultimo libro, è lì a testimoniarlo: «In ogni caso stiano, i lettori, a quanto loro si comunica, e non cerchino di penetrare le intenzioni dell’autore, sovente a lui stesso oscure».
Pasquale Di Palmo
Una vita misteriosa disseminata di libri1908 Tommaso Landolfi nasce a Pico, un paesino in provincia di Frosinone (all’epoca sotto la giurisdizione di Caserta). Il padre, Pasquale, è un avvocato di antico lignaggio, la madre è Maria Gemma Nigro, soprannominata Ida.
1910 Il 24 maggio la madre di Landolfi, in attesa del secondo figlio, muore.
1911-1916 Il bambino alterna periodi trascorsi a Pico, sotto la cura dei familiari, ad altri trascorsi con il padre a Roma.
1919-1923 Durante le numerose peregrinazioni al seguito dei familiari compie studi irregolari. Lo scrittore ricorderà in particolare l’esperienza negativa al Collegio Cicognini di Prato in uno dei brani più scoperti dal punto di vista biografico,Prefigurazioni: Prato, presente nella raccolta Ombre.
1924 Viene affidato alle cure di un giovane zio militare a Trieste.
1928-1932 Frequenta l’ambiente letterario che fa capo al celebre Caffè delle Giubbe Rosse a Firenze. Stringe amicizia con Montale, Luzi, Gadda, Bo. Apprende il russo grazie all’amico slavista Renato Poggioli. Nel 1932 si laurea con una tesi su Anna Achmatova.
1937 Pubblica, sempre a Firenze, la sua prima raccolta di racconti con l’editore Parenti: Dialogo dei massimi sistemi.
1939 Escono, rispettivamente presso Vallecchi di Firenze e le Edizioni della Cometa di Roma, La pietra lunare e Il Mar delle Blatte e altre storie.
1942 Vallecchi pubblica la raccolta di racconti La spada.
1943-1945 Tra giugno e luglio del 1943 viene arrestato e detenuto nel carcere fiorentino delle Murate per sospetto antifascismo. Esce la fiaba Il principe infelice per Vallecchi. Nel 1945 la casa di Pico viene gravemente danneggiata in seguito a un bombardamento.
1946-1950 Nel 1946 pubblica il romanzo Le due zittelle per Bompiani. Vince al gioco una somma ingente. Nel 1947 e nel 1950 stampa per Vallecchi Racconto d’autunno eCancroregina. Alterna periodi di residenza a Pico e nelle città più disparate: Firenze, Venezia, Parigi. Negli anni Cinquanta collabora al Mondo di Mario Pannunzio.
1953 Esce il primo dei diari vallecchiani: LA BIERE DU PECHEUR.
1954 Vedono la luce, sempre per Vallecchi, Ombre e La raganella d’oro. Inizia la collaborazione al Corriere della Sera.
1955 Il 3 novembre si sposa a Roma, in Campidoglio, con Maria Luisa, o Marisa, una giovane conosciuta un paio d’anni prima a Pico. Dopo il matrimonio si trasferisce nella riviera ligure, ad Arma di Taggia e a Sanremo.
1958 Il 19 maggio nasce la primogenita, Idolina. In Rien vafigurano molti brani dedicati a quelle che chiama «le due bambine»: la Major (la moglie) e la Minor (la figlia). Si aggiudica il Premio Viareggio (riceverà nella sua carriera i più importanti riconoscimenti) con Ottavio di Saint-Vincent,pubblicato da Vallecchi nello stesso anno. Vede la luce per il Sodalizio del Libro di Venezia anche Mezzacoda.
1959 Esce la tragedia in versi Landolfo VI di Benevento per Vallecchi.
1960 Sempre per i tipi di Vallecchi dà alle stampe Se non la realtà.
1961 Nasce il secondogenito, Landolfo, soprannominato in Des mois il Minimus. Esce il volume antologico dei Racconti, edito da Vallecchi.
1962 Riceve l’offerta di una cattedra di Letteratura russa presso l’Università di Urbino. Rifiuta, obiettando di non volere «essere il primo, di una famiglia di antica tradizione, a conoscere l’onta del lavoro». Vallecchi pubblica In società.
1963 Riprende la collaborazione al Corriere della Sera che si protrarrà fino alla morte. Gli articoli verranno parzialmente raccolti in Un paniere di chiocciole, Del meno e, postumo, Il gioco della torre. Escono da Vallecchi Rien va e Scene dalla vita di Cagliostro.
1964 Per Vallecchi dà alle stampe i Tre racconti.
1965 Esce il romanzo vallecchiano Un amore del nostro tempo.
1966 Vedono la luce i Racconti impossibili per Vallecchi.
1967 Durante l’estate ritorna a Pico, dopo qualche anno di assenza. Pubblica il terzo diario vallecchiano, Des mois.
1968-1971 Pubblica con Vallecchi Faust ’67, Breve canzoniere e Gogol’ a Roma. Nel 1971 ha una crisi cardiaca.
1972 Il 27 febbraio muore il padre. Esce l’ultimo volume stampato da Vallecchi: la raccolta di poesie Viola di morte.
1973 È ricoverato d’urgenza in una clinica romana dove viene operato per un cancro.
1974-1978 Il suo nuovo editore Rizzoli pubblica i racconti delle Labrene (1974), cui seguiranno A caso (1975), Il tradimento (1977) e Del meno (1978).
1979 Si spegne l’8 luglio a Ronciglione, presso Roma.
p.d.p.
L’opera inimitabile di un autore appartatoOpere
Solo due dei tre volumi previsti delle Opere di Tommaso Landolfi, curate dalla figlia Idolina, hanno visto la luce per Rizzoli, rispettivamente nel 1991 e nel 1992. Un’antologia dei racconti è apparsa nel 1982 sempre per Rizzoli con il titolo Le più belle pagine di Tommaso Landolfi scelte da Italo Calvino(riproposta da Adelphi nel 2001). Da vari anni Adelphi ha intrapreso la pubblicazione delle singole opere landolfiane, comprese le traduzioni. Finora sono usciti i seguenti titoli: Le due zittelle (1992), Un amore del nostro tempo (1993),Cancroregina (1993), Ombre (1994), Le labrene (1994),Racconto d’autunno (1995), La pietra lunare (1995), Dialogo dei massimi sistemi (1996), Il Mar delle Blatte e altre storie(1997), Tre racconti (1998), Rien va (1998), LA BIERE DU PECHEUR (1999), Ottavio di Saint-Vincent (2000), La spada(2001), Gogol’ a Roma (2002), Se non la realtà (2003), Il principe infelice e altre storie per bambini (2004).
Bisogna inoltre ricordare che nel 1987 Rizzoli ha pubblicato il volume postumo Il gioco della torre, contenente una serie di racconti apparsi negli anni Sessanta sul Corriere della Sera. Rimandiamo alla cronologia per i dati relativi alle edizioni originali, in parte rintracciabili sul mercato antiquario.
Tra le numerosi traduzioni dal russo, francese e tedesco, segnaliamo quelle ormai classiche di Gogol’, Racconti di Pietroburgo, Rizzoli, 1941; Merimée, I falsi Demetrii, Vallecchi, 1944; Hofmannsthal, Le nozze di Sobeide. Il Cavaliere della Rosa, Vallecchi, 1959; Puškin, Poemi e liriche e Teatro e favole, Einaudi, rispettivamente 1960 e 1961; Novalis, Enrico di Ofterdingen, Vallecchi, 1962; Lermontov, Liriche e poemi, Einaudi, 1963; Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo, Vallecchi, 1964; Tjutcev, Poesie, Einaudi, 1964; Leskov, Il viaggiatore incantato, Einaudi, 1967; Tolstoj, La morte di Ivan Il’i , Rizzoli, 1976. Presso Adelphi sono disponibili Inés de Las Sierras di Charles Nodier (1993), Mumù e altri racconti di Ivan Turgenev (1997), La dama di picche e altri racconti di Alexandr Puškin (1998), le Fiabe dei fratelli Grimm (1999).
Bibliografia della critica
Ci limitiamo a segnalare in questa sede, data l’enorme messe di contributi critici, qualche studio e monografia essenziali:
di Pasquale Di Palmo
Considerata in passato rivolta a un pubblico ristretto per il linguaggio manierato e prezioso, l’opera di Landolfi di recente si sta imponendo come una delle esperienze letterarie fondamentali del secolo appena trascorso.
Con il passare del tempo l’opera variegata di Tommaso Landolfi si configura come una delle esperienze letterarie più singolari e rappresentative del nostro Novecento. Narratore straordinariamente dotato, Landolfi si misurò proficuamente con tutti i generi, spaziando indifferentemente dal romanzo al racconto, dall’elzeviro alla poesia, dal saggio alla favola, dalla traduzione alla pièce teatrale, dimostrando una perizia tecnica impareggiabile. Si ha l’impressione che l’autore volesse piegare qualsiasi genere alle sue personali esigenze creative, dissimulando, più che esibendo, un autobiografismo sempre tenuto sopra le righe. La sua opera costituisce una sorta di "diario perpetuo", come emblematicamente intitolerà alcuni tardi contributi memorialistici apparsi sul Corriere della Sera. Ma si tratta di un diario in cui paradossalmente l’autore tende a nascondersi più che a mostrarsi, come se i suoi scritti rappresentassero un articolato e complesso crittogramma che solo il lettore più avveduto sarà in grado di comprendere nelle sue più recondite ramificazioni.
L’atteggiamento di Landolfi, personaggio schivo e aristocratico, chiuso in un universo misterioso e bizzarro, sarà costantemente rivolto a occultare la sua presenza, arrivando a pubblicare sul risvolto di copertina dei suoi libri la polemica dicitura: «Risvolto bianco per desiderio dell’autore».
Narrazioni del fantastico
L’esordio di Landolfi matura nella Firenze degli anni Trenta, permeata dall’atmosfera che si respira intorno al mitico Caffè delle Giubbe Rosse, ritrovo di letterati di spicco come Montale, Gadda, Bilenchi, Delfini, Luzi, Vittorini, Traverso. Nel 1937 esce presso l’editore Parenti la straordinaria raccolta di racconti Dialogo dei massimi sistemi, il cui titolo riprende quello del trattato galileiano (il ricorso a titoli importanti della tradizione scientifica e letteraria, compresa la loro ironica deformazione, rimarrà una costante nell’opera dello scrittore). I racconti sono pervasi da un’atmosfera da incubo che sconfina spesso nel grottesco e che rimanda ai modelli "gotici" di Poe, Hoffmann, Nerval. Bisogna segnalare perlomeno il sorprendente racconto "Maria Giuseppa" che evidenzia la profonda distanza che separa l’autore di Pico dai canoni letterari del tempo. Il protagonista narra in prima persona la vicenda dei suoi controversi rapporti con Maria Giuseppa, una fantesca di origine contadina che, a causa dei continui soprusi del suo padrone, si ammala gravemente e muore. Ma non c’è nulla di patetico nella narrazione, tutta giocata sul registro delle elucubrazioni semiserie di Giacomo, il succitato protagonista del racconto che rappresenta una sorta di alter egodello stesso narratore.
Nel 1939 escono due libri di Landolfi: il romanzo La pietra lunare che segna l’inizio della pubblicazione da parte di Vallecchi di quasi tutte le sue opere (d’ora in poi evidenzieremo soltanto i nomi degli editori che non corrispondono a quello fiorentino), e la raccolta di novelle Il Mar delle Blatte e altre storie, stampata nelle Edizioni della Cometa, dirette dall’amico poeta Libero De Libero a cui è emblematicamente dedicata Notte di nozze. La pietra lunare, che ha come sottotitolo Scene della vita di provincia,racconta la curiosa vicenda del giovane Giovancarlo che incontra una ragazza dai piedi caprini chiamata Gurù, con la quale vivrà una lunga serie di avventure soprannaturali, misurandosi di volta in volta con i briganti morti, le creature mannare, le mitiche Madri, in ambienti spettrali e decadenti che non possono non richiamare alla mente le atmosfere e le superstizioni che circolavano un tempo nei paesi meridionali. Con Il Mar delle Blatte e altre storie ci troviamo di fronte a una sequenza di piccoli capolavori, a cominciare dall’enigmatico racconto che dà il titolo al libro, permeato da un’atmosfera surreale e plumbea che non può non ricordare le invenzioni eccentriche e, al tempo stesso, rigorose di Kafka.
Non è un caso che, nel libro successivo (La spada, del 1942), uno dei racconti più significativi sia proprio "Il babbo di Kafka" che costituisce una sorta di divagazione stralunata e fantastica sulla vita del grande scrittore praghese (sulla stessa falsariga si può annoverare anche il racconto "La moglie di Gogol’", presente nella raccolta Ombre del 1954, in cui compare anche "La vera storia di Maria Giuseppa" dove si narra la reale vicenda della fantesca che prestava servizio in casa di Landolfi, brutalmente "marocchinata" in tempo di guerra). E al periodo bellico è ispirato anche il romanzo breve Racconto d’autunno (1947), dominato dall’atmosfera che si respira in una labirintica magione permeata da presenze fantastiche e inquietanti che non può non richiamare alla mente sia la dimora avita di Pico sia il racconto "The fall of the house of Usher" di Poe. L’anno precedente era uscito per Bompiani Le due zittelle, romanzo in cui il divertissement sconfina nella provocazione blasfema, esplicandosi attraverso una serie di divertenti, anche se mai gratuite, trovate linguistiche: alla figura delle due "zittelle" (diminutivo plurale di "zitta") si contrappone quella di Tombo, una "scimia" che arriverà, attraverso le sue sacrileghe scorribande notturne, a scombussolare la vita provinciale delle due sorelle. Nel risvolto di copertina dell’edizione originale figura una nota critica, non firmata ma di mano di Eugenio Montale, in cui si legge tra l’altro: «[...] nessuno vorrà negare che per varietà di toni, nerbo e scioltezza di plessi stilistici e travolgente pathos intellettuale il libro del Landolfi esca dai facili schemi del genere narrativo e si ponga sul piano dell’arte più ardua, su quello dei maggiori "incubi" psicologici e morali della moderna letteratura europea».
Nel 1950 esce Cancroregina, magistrale racconto lungo di ambientazione fantascientifica in cui Landolfi sembra riscrivere, in ambito decisamente futuristico, la trama del Giornale di un pazzo di Gogol’, autore amatissimo di cui tradusse gli indimenticabili Racconti di Pietroburgo per Rizzoli nel 1941 (bisogna inoltre ricordare le numerose versioni sia dal russo di Puškin, Leskov, Lermontov, Tjutcev, Tolstoj, Dostoevskij, sia dal tedesco di Novalis, Hofmannsthal e i fratelli Grimm, che dal francese di Merimée e Nodier). Sul risvolto di copertina appare una delle rarissime immagini dello scrittore che, com’è noto, non amava farsi fotografare e che aveva una particolare forma di idiosincrasia per ogni tipo di ostentazione pubblica (circola un aneddoto secondo il quale Landolfi metteva a dura prova gli organizzatori dei premi letterari, costretti com’erano a cambiare i programmi delle relative manifestazioni per evitare che lo scrittore, quando saliva sul palco per la premiazione, presentasse le proprie "terga" al pubblico).
Dalle favole alla diaristica
Landolfi si misurò anche con il mondo delle favole. Oltre a scrivere divertenti colloqui e filastrocche, compose due tra le più belle storie moderne per l’infanzia, intitolate rispettivamente Il principe infelice(1943) e La raganella d’oro (1954). Qui vige una sorta di morale rovesciata, in cui il caso predispone come una gigantesca ragnatela il suo imperscrutabile disegno. Le due favole rappresentano un caso atipico nella produzione landolfiana, essendo tutte giocate intorno a un linguaggio piano e misurato, fruibile perciò pure dai lettori più piccoli e sprovveduti, anche se l’impressione che se ne ricava è che siano indirettamente destinate a chi rimpiange di non potersi ancora annoverare tra i lettori più piccoli e sprovveduti.
Soltanto in pochi libri Landolfi abbraccia uno stile così terso e lineare che vira in direzione di una piena godibilità del testo, senza costringere il lettore a ricorrere in continuazione all’ausilio del vocabolario (anche se in misura minore rispetto alla lezione gaddiana). Le disavventure di Rami nel Principe infelice e quelle del palafreniere Teraponte nella Raganella d’oro, tese a salvare rispettivamente il principe dell’Impero della Luna e la principessa Uriana, risultano quasi speculari alla luce del classico percorso di iniziazione intrapreso dai giovani al fine di esorcizzare lo spettro del delirio e della morte. Sono evidenti al riguardo gli influssi delle favole dei fratelli Grimm che lo stesso Landolfi tradusse e che furono incluse nell’antologia Germanica, curata dall’amico Leone Traverso per Bompiani nel 1942 e che sono state recentemente riproposte in un volumetto adelphiano: il risveglio dal letargo di Rami, la giovinetta dal cuore di vetro, sembra un calco del finale di Biancaneve.
LA BIERE DU PECHEUR inaugura, nel 1953, la splendida stagione diaristica che proseguirà con Rien va nel 1963 e con Des mois nel 1967. Fin dal titolo viene dichiarato l’intento beffardo e ambiguo dell’autore: infatti esso può significare – se scritto in maiuscolo e privo di accenti – sia «La birra del pescatore» sia «La bara del peccatore». Questa molteplice chiave di lettura, queste implicazioni polisemiche si riverseranno anche nel procedimento diaristico landolfiano, teso a mascherare e a nascondere più che a rivelare (sul risvolto di copertina appare l’immagine emblematica dello scrittore che si copre il volto con il ventaglio della mano aperta). Paradossalmente, infatti, questo autobiografismo non è mai scoperto, bensì abbisogna, per diventare davvero autentico, di un continuo paludamento con cui esorcizzare la cognizione del vuoto e della morte. In altri termini Landolfi necessita, per denudarsi, di una maschera che gli consenta di sopportare quel disagio interiore che altrimenti lo annienterebbe. Montale, recensendo Rien va, osservava: «[...] Landolfi, magnifico traduttore dal russo e da altre lingue, quando scriveva in proprio non faceva altro che tradursi, tenendo nascosto in sé l’originale... Il suo è in sostanza il linguaggio dell’uomo colto, che quando parla si sorveglia: un parlare che è appunto recitazione».
Nei diari le annotazioni autobiografiche si alternano a digressioni di carattere speculativo sugli argomenti più disparati (non ultimo il tema del gioco, su cui torneremo in seguito), con un senso della dissacrazione sempre incombente. Se in LA BIERE DU PECHEURmolto evidenti sono i colpi ad effetto con i quali Landolfi riesce sapientemente a catturare l’attenzione del lettore, non esitando a inventare di sana pianta alcuni episodi (salvo ricordarcelo magari nel paragrafo successivo), in Rien va e Des mois il tono si fa meno aspro, in virtù soprattutto del conflitto interiore con il quale l’autore vive la sopraggiunta, tarda paternità, tradendo reazioni che passano dall’irritazione a una sorta di inusuale tenerezza. Un esempio al riguardo concerne la descrizione dei piedini della figlia: «I suoi piedi sono estremamente morbidi, e serici anzi di raso: non pensavo che potesse darsi al mondo qualcosa di simile». Il narratore conosce in questa stagione accenti delicatissimi rivolti alla moglie-bambina, alla primogenita e al figlioletto, soprannominati rispettivamente Major, Minor e Minimus.
Il gioco metafora del mondo
Nel 1958 con il racconto lungo Ottavio di Saint-Vincent, Landolfi approda a una delle sue prove più scoperte dal punto di vista biografico, essendo la vicenda tutta imperniata intorno al demone del gioco che anima le vicissitudini del protagonista (lo scrittore, com’è risaputo, era un accanito giocatore e passava gran parte dell’anno nelle città che potevano impegnarlo in tal senso: Sanremo, Venezia, Saint-Vincent, le località della Costa Azzurra). D’altronde la concezione del gioco in Landolfi aveva qualcosa di paradossale, in quanto in innumerevoli testi cerca di dimostrare, attraverso vere e proprie disquisizioni di carattere filosofico, che il giocatore autentico è solo colui che perde: «Non ha pace finché non si sia incornato al tavolo verde, o, se si vuole, finché non abbia tutto perduto». Carlo Bo, considerato dall’interessato il suo maggior critico, asseriva al riguardo: «Landolfi sapeva che avrebbe perduto e tuttavia non solo si metteva, trascinato dal suo demone, al tavolo verde ma sapeva che avrebbe – anche se avesse per caso vinto – esaltato soltanto il no perpetuo del destino».
In Se non la realtà (1960), raccolta composita di racconti ispirata ai suoi numerosi viaggi, il tema del gioco è sempre presente, manifestandosi attraverso un fatalismo che procede per contrapposizioni (si pensi alla metafora che Landolfi attinge dal contrasto tra rouge e noir, i fatidici colori della roulette). D’altronde i viaggi non si svolgono in luoghi particolarmente ameni e suggestivi, qualora si consideri che un caratteristico suo testo si ambienta a Rovigo e che le città non potevano che dividersi per lui in due sole categorie: quelle che possedevano un casinò e quelle che non lo possedevano.
L’elemento della casualità ricorre frequentemente nei suoi scritti, come nel racconto "La dea cieca e veggente" contenuto nella raccolta In società (1962), che presenta impressionanti analogie con il celebre "Pierre Menard, autore del Chisciotte" di Jorge Luis Borges: il protagonista, il poeta Ernesto, ricompone l’Infinito di Leopardi estraendo da un’urna alcune parole a caso, mentre Pierre Menard riscrive il capolavoro di Cervantes lettera per lettera senza averne la consapevolezza. Ma, al di là di qualsiasi affinità di tipo letterario, il percorso di Landolfi resta quello di un isolato, di uno spirito eletto impegnato a sondare con le armi inadeguate di un linguaggio al tempo stesso ricercato ed esemplare, la profondità del mistero e del male esistenziali.
Nel 1964 vedono la luce gli indimenticabili Tre racconti scritti in uno stile asciutto e lineare che contrasta con le vicende fantasiose ivi narrate e in cui bisogna ricordare perlomeno il congegno perfetto della "Muta", uno dei vertici dell’arte landolfiana. In seguito appaiono il romanzo Un amore del nostro tempo (1965) che descrive la singolare vicenda di un amore incestuoso tra fratello e sorella; iRacconti impossibili (1966) che, sin dal titolo, si configurano come un significativo campionario delle sue narrazioni più grottesche e fantastiche, in cui spicca "La passeggiata", racconto basato su un lessico artefatto e prezioso, con vocaboli rari presi a prestito da un semplice dizionario della lingua italiana Zingarelli; la raccolta contenente cinquanta elzeviri apparsi sul Corriere della Seraintitolata Un paniere di chiocciole (1968); il Breve canzoniere(1971), insolito libro composto da brevi dialoghi alternati a sonetti o brani in prosa; la raccolta di saggi e articoli di carattere letterario apparsi sulla rivista Il Mondo di Mario Pannunzio negli anni Cinquanta, Gogol’ a Roma (1971).
Tra teatro e poesia
Del 1959 è il Landolfo VI di Benevento, tragedia in versi in sei atti. Con quest’opera Landolfi, che già nei suoi libri in prosa aveva inserito spesso qualche frammento poetico, approda a un genere, considerato in quel periodo anacronistico, come quello del poema drammatico in endecasillabi sciolti, con un’impostazione che, nello stile, ricorda l’Adelchi manzoniano. Il linguaggio è volutamente arcaico e ricercato, essendo la vicenda ispirata al Medioevo che vide la sconfitta da parte del normanno Roberto il Guiscardo degli ultimi signori di Benevento, Landolfo e Pandolfo. Ma, come sempre in Landolfi, il tema trattato altro non è che un pretesto per parlare di sé, spesso in maniera camuffata, mascherata, delle proprie vicende esistenziali e delle profonde disillusioni di cui era preda.
Nel 1963 vede la luce un altro testo teatrale, intitolato Scene dalla vita di Cagliostro, arricchito dalle fotografie tratte dall’edizione televisiva andata in onda il 14 maggio 1961 per la serie Le pecore nere con un cast d’eccezione, tra cui figurano Giorgio Albertazzi e Mario Scaccia. Nel 1969 esce il Faust ’67, sorta di «dramma o commedia di incerto scioglimento», secondo la definizione dello stesso autore. Nel 1972 Landolfi pubblica a sorpresa una lunga raccolta poetica intitolata Viola di morte: si tratta dell’ultimo libro dello scrittore pubblicato con Vallecchi dopo un sodalizio durato oltre trent’anni. L’intento diaristico è quanto mai presente, come precisa Graziella Bernabò Secchi: «[...] la parentela fra queste poesie e le pagine diaristiche si rivela assai stretta, per quanto strana la cosa possa sembrare, trattandosi di generi tanto diversi: le accomuna infatti quel misto di spontaneità e di concettosa cerebralità che è proprio delle più dirette confessioni dello scrittore». Il libro, dedicato alla memoria di Tjutcev e di D’Annunzio, risente di uno stile aulico e polemicamente anacronistico.
Nel 1977 Rizzoli pubblica Il tradimento, definito dallo stesso autore come «grave e terribile seguito» di Viola di morte, anche se la frattura tra le due raccolte si palesa sia nei temi che nelle soluzioni di carattere formale. Se la prima silloge si presenta come un diario doloroso in cui, leopardianamente, gli endecasillabi si alternano ai settenari, nel Tradimento questa fattura neoclassica viene stravolta da versi stridenti e scabri, irriverenti e blasfemi. A questo proposito Geno Pampaloni osserverà come quella tra Dio e il Nulla sia «una compresenza, la forma stravolta e dolorosa di una fede solitaria, una lacerazione dolente fra il sentimento cristiano e l’orgoglio intellettuale».
Gli ultimi lavori
Nell’aprile del 1972 Landolfi firma un contratto che lo lega alla casa editrice Rizzoli che pubblicherà, oltre al volume di racconti Le labrene(1974) apparso nella collezione "La Scala", una collana destinata alle "Opere di Tommaso Landolfi". La collana alterna ristampe dei libri che più hanno incontrato l’apprezzamento di pubblico e critica, usciti originariamente da Vallecchi e non più disponibili, a nuovi titoli comeA caso (1975) e al succitato testamento poetico intitolato Il tradimento.
Del meno, uscito nel 1978, è l’ultimo volume nel quale sono raccolti cinquanta elzeviri. Lo scrittore morirà di lì a poco, a Ronciglione, presso Roma, l’8 luglio 1979, dopo lunga e dolorosa malattia (uscirà postumo nel 1987, sempre per l’editore Rizzoli, Il gioco della torreche contiene una serie di contributi apparsi negli anni Sessanta sulCorriere della Sera). Ma lo stile funambolico di Landolfi si è ormai rastremato, la trama fantastica e surreale dei primi racconti ha ceduto il posto a una serie di dialoghi eleganti e stralunati, in cui un sarcasmo dai toni dolorosi e irriverenti la fa spesso da padrone.
Sembra che, nel progressivo imbarbarimento cui ci sottopongono le pressioni mediatiche quotidiane, la scrittura di Landolfi resti, dall’alto del suo magistero artigianale, un monito a recuperare una dimensione più autentica e umana, scoprendo implicazioni etiche che, a tutta prima, sono avvertibili solo in filigrana.
Il suo scetticismo, il suo pessimismo possono dunque essere letti come uno strumento che ci aiuti ad affrontare con il dovuto distacco una condizione esistenziale sempre più precaria e insufficiente, come denota lo scoperto autobiografismo dei testi estremi. Il finale amaro e beffardo di Questione d’orientamento, presente nel suo ultimo libro, è lì a testimoniarlo: «In ogni caso stiano, i lettori, a quanto loro si comunica, e non cerchino di penetrare le intenzioni dell’autore, sovente a lui stesso oscure».
Pasquale Di Palmo
Una vita misteriosa disseminata di libri1908 Tommaso Landolfi nasce a Pico, un paesino in provincia di Frosinone (all’epoca sotto la giurisdizione di Caserta). Il padre, Pasquale, è un avvocato di antico lignaggio, la madre è Maria Gemma Nigro, soprannominata Ida.
1910 Il 24 maggio la madre di Landolfi, in attesa del secondo figlio, muore.
1911-1916 Il bambino alterna periodi trascorsi a Pico, sotto la cura dei familiari, ad altri trascorsi con il padre a Roma.
1919-1923 Durante le numerose peregrinazioni al seguito dei familiari compie studi irregolari. Lo scrittore ricorderà in particolare l’esperienza negativa al Collegio Cicognini di Prato in uno dei brani più scoperti dal punto di vista biografico,Prefigurazioni: Prato, presente nella raccolta Ombre.
1924 Viene affidato alle cure di un giovane zio militare a Trieste.
1928-1932 Frequenta l’ambiente letterario che fa capo al celebre Caffè delle Giubbe Rosse a Firenze. Stringe amicizia con Montale, Luzi, Gadda, Bo. Apprende il russo grazie all’amico slavista Renato Poggioli. Nel 1932 si laurea con una tesi su Anna Achmatova.
1937 Pubblica, sempre a Firenze, la sua prima raccolta di racconti con l’editore Parenti: Dialogo dei massimi sistemi.
1939 Escono, rispettivamente presso Vallecchi di Firenze e le Edizioni della Cometa di Roma, La pietra lunare e Il Mar delle Blatte e altre storie.
1942 Vallecchi pubblica la raccolta di racconti La spada.
1943-1945 Tra giugno e luglio del 1943 viene arrestato e detenuto nel carcere fiorentino delle Murate per sospetto antifascismo. Esce la fiaba Il principe infelice per Vallecchi. Nel 1945 la casa di Pico viene gravemente danneggiata in seguito a un bombardamento.
1946-1950 Nel 1946 pubblica il romanzo Le due zittelle per Bompiani. Vince al gioco una somma ingente. Nel 1947 e nel 1950 stampa per Vallecchi Racconto d’autunno eCancroregina. Alterna periodi di residenza a Pico e nelle città più disparate: Firenze, Venezia, Parigi. Negli anni Cinquanta collabora al Mondo di Mario Pannunzio.
1953 Esce il primo dei diari vallecchiani: LA BIERE DU PECHEUR.
1954 Vedono la luce, sempre per Vallecchi, Ombre e La raganella d’oro. Inizia la collaborazione al Corriere della Sera.
1955 Il 3 novembre si sposa a Roma, in Campidoglio, con Maria Luisa, o Marisa, una giovane conosciuta un paio d’anni prima a Pico. Dopo il matrimonio si trasferisce nella riviera ligure, ad Arma di Taggia e a Sanremo.
1958 Il 19 maggio nasce la primogenita, Idolina. In Rien vafigurano molti brani dedicati a quelle che chiama «le due bambine»: la Major (la moglie) e la Minor (la figlia). Si aggiudica il Premio Viareggio (riceverà nella sua carriera i più importanti riconoscimenti) con Ottavio di Saint-Vincent,pubblicato da Vallecchi nello stesso anno. Vede la luce per il Sodalizio del Libro di Venezia anche Mezzacoda.
1959 Esce la tragedia in versi Landolfo VI di Benevento per Vallecchi.
1960 Sempre per i tipi di Vallecchi dà alle stampe Se non la realtà.
1961 Nasce il secondogenito, Landolfo, soprannominato in Des mois il Minimus. Esce il volume antologico dei Racconti, edito da Vallecchi.
1962 Riceve l’offerta di una cattedra di Letteratura russa presso l’Università di Urbino. Rifiuta, obiettando di non volere «essere il primo, di una famiglia di antica tradizione, a conoscere l’onta del lavoro». Vallecchi pubblica In società.
1963 Riprende la collaborazione al Corriere della Sera che si protrarrà fino alla morte. Gli articoli verranno parzialmente raccolti in Un paniere di chiocciole, Del meno e, postumo, Il gioco della torre. Escono da Vallecchi Rien va e Scene dalla vita di Cagliostro.
1964 Per Vallecchi dà alle stampe i Tre racconti.
1965 Esce il romanzo vallecchiano Un amore del nostro tempo.
1966 Vedono la luce i Racconti impossibili per Vallecchi.
1967 Durante l’estate ritorna a Pico, dopo qualche anno di assenza. Pubblica il terzo diario vallecchiano, Des mois.
1968-1971 Pubblica con Vallecchi Faust ’67, Breve canzoniere e Gogol’ a Roma. Nel 1971 ha una crisi cardiaca.
1972 Il 27 febbraio muore il padre. Esce l’ultimo volume stampato da Vallecchi: la raccolta di poesie Viola di morte.
1973 È ricoverato d’urgenza in una clinica romana dove viene operato per un cancro.
1974-1978 Il suo nuovo editore Rizzoli pubblica i racconti delle Labrene (1974), cui seguiranno A caso (1975), Il tradimento (1977) e Del meno (1978).
1979 Si spegne l’8 luglio a Ronciglione, presso Roma.
p.d.p.
L’opera inimitabile di un autore appartatoOpere
Solo due dei tre volumi previsti delle Opere di Tommaso Landolfi, curate dalla figlia Idolina, hanno visto la luce per Rizzoli, rispettivamente nel 1991 e nel 1992. Un’antologia dei racconti è apparsa nel 1982 sempre per Rizzoli con il titolo Le più belle pagine di Tommaso Landolfi scelte da Italo Calvino(riproposta da Adelphi nel 2001). Da vari anni Adelphi ha intrapreso la pubblicazione delle singole opere landolfiane, comprese le traduzioni. Finora sono usciti i seguenti titoli: Le due zittelle (1992), Un amore del nostro tempo (1993),Cancroregina (1993), Ombre (1994), Le labrene (1994),Racconto d’autunno (1995), La pietra lunare (1995), Dialogo dei massimi sistemi (1996), Il Mar delle Blatte e altre storie(1997), Tre racconti (1998), Rien va (1998), LA BIERE DU PECHEUR (1999), Ottavio di Saint-Vincent (2000), La spada(2001), Gogol’ a Roma (2002), Se non la realtà (2003), Il principe infelice e altre storie per bambini (2004).
Bisogna inoltre ricordare che nel 1987 Rizzoli ha pubblicato il volume postumo Il gioco della torre, contenente una serie di racconti apparsi negli anni Sessanta sul Corriere della Sera. Rimandiamo alla cronologia per i dati relativi alle edizioni originali, in parte rintracciabili sul mercato antiquario.
Tra le numerosi traduzioni dal russo, francese e tedesco, segnaliamo quelle ormai classiche di Gogol’, Racconti di Pietroburgo, Rizzoli, 1941; Merimée, I falsi Demetrii, Vallecchi, 1944; Hofmannsthal, Le nozze di Sobeide. Il Cavaliere della Rosa, Vallecchi, 1959; Puškin, Poemi e liriche e Teatro e favole, Einaudi, rispettivamente 1960 e 1961; Novalis, Enrico di Ofterdingen, Vallecchi, 1962; Lermontov, Liriche e poemi, Einaudi, 1963; Dostoevskij, Ricordi dal sottosuolo, Vallecchi, 1964; Tjutcev, Poesie, Einaudi, 1964; Leskov, Il viaggiatore incantato, Einaudi, 1967; Tolstoj, La morte di Ivan Il’i , Rizzoli, 1976. Presso Adelphi sono disponibili Inés de Las Sierras di Charles Nodier (1993), Mumù e altri racconti di Ivan Turgenev (1997), La dama di picche e altri racconti di Alexandr Puškin (1998), le Fiabe dei fratelli Grimm (1999).
Bibliografia della critica
Ci limitiamo a segnalare in questa sede, data l’enorme messe di contributi critici, qualche studio e monografia essenziali:
- Giancarlo Pandini, Tommaso Landolfi, La Nuova Italia, 1975.
- Graziella Bernabò Secchi, Invito alla lettura di Landolfi,Mursia, 1978.
- Giovanna Ghetti Abruzzi, L’enigma Landolfi, Bulzoni, 1979.
- Una giornata per Landolfi, a cura di Sergio Romagnoli, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, 1981.
- Tommaso Landolfi, a cura di Carlo Bo, Edizioni del Noce, 1983.
- Landolfi libro per libro, a cura di Tarcisio Tarquini, Hetea, 1988.
- Oreste Macrì, Tommaso Landolfi. Narratore, poeta, critico, artefice della lingua, Le Lettere, 1990.
- Le lunazioni del cuore. Saggi su Tommaso Landolfi, a cura di Idolina Landolfi, La Nuova Italia, 1996.
- La "liquida vertigine", a cura di Idolina Landolfi, Leo S. Olschki Editore, 2002.
- Gli "altrove" di Tommaso Landolfi, a cura di Idolina Landolfi e Ernestina Pellegrini, Bulzoni, 2004.
- Un linguaggio dell’anima, a cura di Idolina Landolfi e Antonio Prete, Manni, 2006.