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le notizie sui pittori sono state prese da Wikipedia ed i video da Youtube
Vincent Willem van Gogh (pronuncia olandese [ˈvɪntsɛnt faŋˈxɔx] ascolta[?·info]) (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un pittore olandese.
Autore di ben 864 tele e di più di mille disegni, tanto geniale quanto incompreso in vita, si formò sull'esempio del realismo paesaggistico dei pittori diBarbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet. Attraversata l'esperienza dell'Impressionismo, ribadì la propria adesione a una concezione romantica, nella quale l'immagine pittorica è l'oggettivazione della coscienza dell'artista: identificando arte ed esistenza, Van Gogh pose le basi dell'Espressionismo.
Gli studi interrotti (1868)La casa natale di Van Gogh a Zundert: Vincent nacque nella stanza sotto il tetto, dalla cui finestra sventola la bandieraNotizie dei Van Gogh si rintracciano a L'Aja fin dalla metà del XVII secolo e a partire dal Settecento quella famiglia trasmise di padre in figlio il mestiere di orefice. Nel primo Ottocento si ha notizia di un Vincent van Gogh (1789-1874) pastore calvinista, padre di undici figli che praticavano diverse attività: tre di essi erano mercanti d'arte, mentre si sa che anche Theodorus van Gogh (1822-1885) dal 1º aprile 1849 era pastore a Groot-Zundert, un piccolo paese delBrabante di seimila anime. Sposatosi nel 1851 con Anna Cornelia Carbentus, figlia di un rilegatore della corte olandese, questa diede alla luce il 30 marzo1852 un figlio morto, Vincent Willem. Esattamente l'anno dopo nacque un secondo figlio, il futuro artista, chiamato ancora Vincent Willem: ne seguiranno altri cinque, Anna Cornelia (1855-1930), Théo (1º maggio 1857 - 25 gennaio 1891), Elisabeth (1859-1936), Wilhelmina Jacoba (1862-1941) e Cornelis (1867-1900).
Dal 1861 al 1864 Vincent frequentò la scuola del paese e dal 1º ottobre un collegio della vicina Zevenbergen dove apprese il francese, l'inglese e il tedesco e l'arte del disegno. Dal 1866 frequentò la scuola tecnica Hannik di Tilburg ma il 19 marzo 1868, a causa dello scarso rendimento nonché di problemi economici del padre, ritornò a Zundert senza aver concluso gli studi.
Il lavoro nella casa d'arte Goupil (1869-1875)Vincent van Gogh fotografato nel 1871La scarsità del suo profitto scolastico convinse la famiglia a trovargli un impiego: lo zio paterno Vincent detto Cent (1811-1889), già mercante d'antiquariato, nel luglio del 1869 lo raccomandò alla casa d'arte Goupil & Co. alla quale, per motivi di salute, aveva ceduto la sua attività a L'Aja; l'attività della casa Goupil consisteva nella vendita di riproduzioni di opere d'arte e il giovane Vincent sembrò molto interessato al suo lavoro, che lo obbligava a un approfondimento delle tematiche artistiche e lo stimolava a leggere e a frequentare musei e collezioni d'arte. Mantenne i contatti con la famiglia, che dal gennaio del 1871 si era trasferita a Helvoirt, dove il padre Theodorus svolgeva la sua attività pastorale. Vincent oltre ad incontrare frequentemente a L'Aja il fratello Théo, intesse con lui una corrispondenza che durerà tutta la vita.
Nel 1873 fu trasferito nella filiale Goupil di Bruxelles e a maggio in quella di Londra. Durante il trasferimento nella capitale inglese si fermò per alcuni giorni aParigi, rimanendo affascinato dalla bellezza della città e dai fermenti culturali che la animavano: la visita del Louvre e delle esposizioni di quadri al Salon lo colpirono profondamente.
A Londra disegnò schizzi di scorci cittadini, che tuttavia non conservò (ne rimane solo uno, peraltro assai rovinato e scoperto nel 1977, raffigurante la casa dove visse). Nella pensione in cui alloggiava, si dichiarò un giorno a una figlia della proprietaria, Eugenia Loyer (e non Ursula come si era sempre creduto), che, già fidanzata, lo respinse: caduto in una crisi depressiva, chiese e ottenne di essere trasferito a L'Aja. Da questo momento iniziò a trascurare il lavoro: a poco servì il ritorno a Londra, nel luglio del 1874, insieme con la sorella Anna. I suoi interessi cominciarono a indirizzarsi verso le tematiche religiose, che si approfondirono anche dopo il suo trasferimento a Parigi, nel maggio 1875: qui tuttavia frequentò anche i musei, appassionandosi a Jean-Baptiste Camille Corot e alla pittura secentesca olandese. I dirigenti della Goupil erano sempre più scontenti di lui, anche perché nel Natale del 1875 lasciò senza preavviso il lavoro, andando a trovare la famiglia, che allora risiedeva a Etten, un piccolo paese presso Breda. Vincent comprese tuttavia di non potere più continuare la sua collaborazione in un'attività che ormai sentiva profondamente estranea e si dimise dall'impiego il 1º aprile 1876.
La missione sociale e religiosa (1876-1880)Il 16 aprile 1876 partì per Ramsgate, il sobborgo londinese, dove lavorò come insegnante supplente presso la scuola del signor Stokes, ricevendo in cambio soltanto vitto e alloggio, e poi proseguì l'insegnamento a Isleworth, dove la scuola si era trasferita: qui collaborò anche con un pastore menoteista che teneva un'altra piccola scuola e il 4 novembre pronunciò il suo primo sermone, che si ispirò a un quadro di Boughton, il Pellegrino sulla via di Canterbury al tempo di Chaucer. Tornato in famiglia per Natale, fu dissuaso dai genitori, che spaventati si accorsero delle sue precarie condizioni psico-fisiche, dal ripartire per l'Inghilterra.
Lo zio Vincent gli trovò così un altro lavoro come commesso in una libreria di Dordrecht. Viveva da solo, era un cristiano devoto ed era un membro della Chiesa riformata olandese, anche se aveva un forte amore per tutte le chiese cristiane.. Amava tradurre passi della Bibbia; convinse il padre a lasciargli tentare gli esami di ammissione alla facoltà di teologia di Amsterdam, dove andò a vivere con lo zio paterno Johannes, frequentando anche uno zio materno, che gli fece impartire lezioni di latino e di greco. Non tralasciava tuttavia i suoi interessi artistici, visitando i musei, il ghetto ebraico e continuando a esercitarsi nel disegno.
La casa abitata da Van Gogh a CuesmesRespinto agli esami di ammissione, dall'agosto del 1878 frequentò un corso trimestrale di evangelizzazione in una scuola di Laeken, presso Bruxelles, la quale tuttavia non lo riconobbe idoneo a svolgere l'attività di predicatore. Nonostante tutto, alla fine dell'anno si trasferì nella regione belga del Borinage, aPâturage: qui, povero tra i poveri, si prese cura dei malati e predicò la Bibbia ai minatori. Autorizzato, nel gennaio del 1879, a predicare temporaneamente dalla Scuola di evangelizzazione di Bruxelles, si trasferì nel centro minerario di Wasmes, vivendo in una baracca: il suo zelo e la sua partecipazione, anche emotiva, all'estrema povertà dei minatori apparvero eccessivi alla Scuola, che decise di non rinnovargli l'incarico.
Vincent continuò tuttavia a svolgere quella che considerava una sua missione: si trasferì nel vicino paese di Cuesmes dove visse con un minatore del luogo e, pur indigente, cercò ancora di aiutare chi non stava in realtà peggio di lui, arrivando a cedere il suo letto ai malati o a curare di persona i feriti delle esplosioni usando come bende i suoi stessi vestiti. Leggeva i romanzi popolari che descrivevano la miseria delle popolazioni delle città industriali, interruppe per qualche tempo la corrispondenza con il fratello Théo, che ora lavorava nella casa Goupil e lo disapprovava apertamente, cercando di distoglierlo da un'attività che sembrava aggravare il suo delicato equilibrio psichico, e si spostò frequentemente per il Belgio percorrendo a piedi centinaia di chilometri. Nel giugno 1880 arrivò fino a Courrières, nel dipartimento del Passo di Calais, desiderando conoscere il pittore Jules Breton, che lì abitava ed era da lui molto ammirato, ma poi s'intimidì alla sola idea d'incontrarlo (nonché alla vista del "suo nuovo atelier...di un'inospitalità agghiacciante") e ritornò indietro, dormendo sulla paglia nei casolari abbandonati.
In luglio riprese la corrispondenza con Théo che gli mandò del denaro e lo incoraggiò a indirizzare le sue generose pulsioni sociali e religiose verso l'espressione artistica. Vincent accolse un suggerimento che non poteva lasciarlo indifferente e, nell'ottobre si stabilì a Bruxelles dove, comprendendo di aver bisogno di una scuola di tecnica pittorica, s'iscrisse all'Accademia di Belle Arti.
La svolta artistica (1881)Boccale e pere, olio su tela, 4,5x57,5 cm, 1881, Von Der Heydt Museum, WuppertalSi legò d'amicizia con il pittore olandese Anthon van Rappard e studiò prospettiva e anatomia, impegnandosi in disegni che ritraevano soprattutto umili lavoratori della terra e delle miniere: non a caso i suoi pittori di riferimento erano Millet e Daumier. Nell'aprile 1881 lasciò l'Accademia e fece ritorno presso la famiglia, a Etten, dove s'innamorò della cugina Kate Vos-Stricker, detta Kee, figlia di un pastore protestante, da poco vedova con un figlio, senza però esser corrisposto. Non si rassegnò e la seguì ad Amsterdam, dove lei si era trasferita in casa dei genitori: al suo rifiuto di riceverlo, di fronte ai genitori della donna, Van Gogh si ustionò volontariamente una mano alla fiamma di una lampada.
A L'Aja ottenne l'incoraggiamento e i consigli del pittore Anton Mauve, cognato della madre, continuò a disegnare sotto la sua guida e, per la prima volta, verso la fine del 1881, eseguì nature morte dipinte a olio e figure all'acquarello: le nature morte con il Cavolo e gli zoccoli del Van Gogh Museum di Amsterdam e il Boccale e pere di Wuppertal sono tra i suoi primi lavori. In rotta con i genitori per la sua insistente ostinazione verso la cugina e per l'aperto distacco mostrato nei confronti della religione, lasciò Etten, rifiutando ogni loro aiuto economico, trasferendosi a L'Aja, vicino allo studio di Mauve, il quale, insieme con il fratello Théo, lo soccorse economicamente. Dopo pochi mesi, tuttavia, contrasti con il pittore - che avrebbe voluto, secondo i suoi sistemi didattici, che si esercitasse copiando calchi in gesso, mentre Vincent preferiva ispirarsi direttamente alla realtà - portarono alla rottura tra i due.
Del resto, Van Gogh avrà sempre molta difficoltà a relazionarsi con gli altri pittori, pur stimati da lui: in questo periodo, l'unico pittore che mostrava considerazione per le sue possibilità era il connazionale Johan Hendrik Weissenbruch (1824-1903), artista già noto e apprezzato.
A Nuenen (1883 - 1885)Dolore (Sien Hoornik) litografia, 44,5x22 cm, 1882, collezione privata, LondraNel gennaio del 1882 Vincent conobbe una trentenne prostituta alcolizzata, butterata dal vaiolo, Clasina Maria Hoornik detta Sien, già madre di una bambina e in attesa di un altro figlio, che gli fece da modella: dopo il parto, vissero insieme ed egli pensò anche di sposarla, sperando di sottrarla alla sua triste condizione: scrisse al pittore van Rappard: «Quando la terra non viene messa alla prova, non se ne può ottenere nulla. Lei, lei è stata messa alla prova; di conseguenza trovo più in lei che in tutto un insieme di donne che non siano state messe alla prova dalla vita».
Tutto questo non gli impedì tuttavia, dapprima di ammalarsi di gonorrea (e fu per questo ricoverato in ospedale dove, secondo le lettere a Théo, eseguì un ritratto, andato perduto, del medico che lo ebbe in cura), e poi di lasciare Sien dopo un anno, anche per la pressione della famiglia (che, appresa la volontà di Vincent di voler sposare una prostituta, tentò addirittura di farlo internare) e, nel settembre del 1883, andò a vivere nel nord dell'Olanda, nella Drenthe, ricca di torbiere, spostandosi spesso e ritraendo gli operai e i contadini della regione. Si recò anche a Nieuw-Amsterdam e a Zweeloo, sperando invano di conoscere il pittore Max Liebermann, che aveva abitato in quei dintorni; in compenso, la gita a Zweloo venne da lui immortalata con vari disegni e una vivissima lettera a Theo.
Alla fine del 1883 tornò a vivere con i genitori, che si erano trasferiti a Nuenen, dove il padre era pastore. Questi era intenzionato ad aiutare Vincent, ponendo fine alla sua vita errabonda, consentendogli di allestire un suo studio nella lavanderia del presbiterio; ma Vincent preferì prepararne uno in casa del sagrestano della parrocchia di Neunen, dove aveva la disponibilità di un paio di stanze. Lavorò intensamente e prese anche lezioni di pianoforte convinto, sulla scorta delle teorie di Wagner e dei simbolisti, dell'esistenza di una relazione tra musica e colore.
Della scuola impressionista, al fratello che gliene scriveva, rispondeva di non saperne nulla e di considerare veri e originali artisti Delacroix, Millet e Corot, «intorno ai quali i pittori di contadini e di paesaggi devono girare come intorno a un asse».
Non gli mancarono nuovi problemi: una vicina di casa, Margot Begemann, che accudì sua madre dopo una caduta e con la quale aveva avuto una relazione, tentò il suicidio, e il 26 marzo 1885 il padre morì improvvisamente d'infarto dopo un violento alterco con lui; inoltre fu accusato dal parroco cattolico di essere responsabile della gravidanza di una ragazza, Gordina De Groot, che aveva posato per lui. Nell'aprile del 1885 dipinse le due versioni de I mangiatori di patate, con il quale, scrisse a Théo,
I mangiatori di patate, olio su tela, 82x114 cm, 1885, Van Gogh Museum, Amsterdam« ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente, che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto che facesse pensare a un modo di vivere completamente diverso dal nostro, di noi esseri civili. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole »È qui espressa la radice etica della sua vocazione di pittore: e aggiunse:
« So benissimo che la tela ha dei difetti ma, rendendomi conto che le teste che dipingo adesso sono sempre più vigorose, oso affermare che I mangiatori di patate, insieme con le tele che dipingerò in avvenire, resteranno »L'opera (della quale Vincent eseguì anche una litografia) non piacque all'amico van Rappard, che non glielo nascose: ma Van Gogh, pur consapevole dei difetti dell'opera, la difese apertamente:
« Anche se seguito a produrre opere nelle quali si potranno ritrovare difetti, volendole considerare con occhio critico, esse avranno una vita propria e una ragione d'essere che supereranno i loro difetti, soprattutto per coloro che sapranno apprezzarne il carattere e lo spirito. Non mi lascerò incantare facilmente, come si crede, nonostante tutti i miei errori. So perfettamente quale scopo perseguo; e sono fermamente convinto di essere, nonostante tutto, sulla buona strada, quando voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo, per preoccuparmi di quello che gli altri dicono di me. Tuttavia, a volte questo mi avvelena la vita, e credo che molto probabilmente più d'uno rimpiangerà un giorno quello che ha detto di me e di avermi ricoperto di ostilità e di indifferenza. Io paro i colpi isolandomi, al punto che non vedo letteralmente più nessuno »Il reciproco risentimento portò alla fine della loro amicizia.
Anversa e Parigi (1886 - 1887)Un breve viaggio ad Amsterdam e l'importante visita al Rijksmuseum appena aperto gli permisero di riscoprire Frans Hals e Rembrandt, che riconobbe come gli ideali anticipatori della sua ricerca formale; poi, comprendendo di non poter rimanere in un paesino come Nuenen (il curato cattolico, a causa dell'episodio di Gordina de Groot, aveva proibito ai parrocchiani di posare per Vincent, che da allora era stato costretto a dipingere solo nature morte), nel novembre del 1885 si trasferì a pensione ad Anversa, frequentando assiduamente le chiese ed i musei della città dove scoprì le stampegiapponesi e ammirò il colorismo di Rubens:
Père Tanguy, olio su tela, 92x75 cm, 1887, Musée Rodin, Parigi« Rubens è superficiale, vuoto, ampolloso, e in conclusione, ampolloso come Giulio Romano o, peggio ancora, come i pittori della decadenza. Nonostante questo, mi entusiasma, proprio perché è il pittore che cerca di esprimere l'allegrezza, la serenità, il dolore, e rappresenta questi sentimenti in modo veritiero grazie alle sue combinazioni di colori »Un rigattiere di Nuenen acquistò da sua madre una serie di dipinti rimasti nello studio, vendendoli a 10 centesimi l'uno e bruciando quelli che non gli sembravano commerciabili.
Nel gennaio 1886, dopo aver frequentato un corso di disegno, si iscrisse ai corsi di pittura e disegno dell'École des Beaux-Arts ma senza alcun successo: il31 marzo venne respinto il suo lavoro presentato per accedere ai corsi d'insegnamento superiore, ma Van Gogh si era già trasferito a Parigi per seguire i corsi di pittura di Fernand Cormon, pittore accademico mediocre ma di successo, allo scopo di migliorare la sua tecnica e poter ritrarre dei modelli; in questo studio conobbe Émile Bernard, Louis Anquetin e Toulouse-Lautrec.
La capitale francese è il centro della cultura mondiale: «non c'è che Parigi: per quanto difficile possa essere qui la vita, e anche se divenisse peggiore e più dura, l'aria francese libera il cervello e fa bene, un mondo di bene». Il fratello Théo vi era trasferito da sette anni per dirigere, a Montmartre, una piccola galleria d'arte per conto di Boussod e Valadon, i successori dell'impresa Goupil. Egli lo ospitò nella sua casa, dove Vincent allestì lo studio e dipinse vedute della capitale, e gli presentò i maggiori pittori impressionisti. Inizialmente, la loro pittura lo interessò molto poco:
Il ristorante della Sirène ad Asnières, olio su tela, 51,5x64 cm, 1887, Musée d'Orsay, Parigi« Ad Anversa non sapevo nemmeno che cosa fossero gli impressionisti: adesso li ho veduti e pur non facendo ancora parte del loro clan ho molto ammirato alcuni dei loro quadri: un nudo di Degas, un paesaggio di Claude Monet [...] da quando ho veduto gli impressionisti, Le assicuro che né il Suo colore né il mio sono esattamente uguali alle loro teorie »e ribadirà ancora la sua lontananza da quella pittura due anni dopo alla sorella:
« quando si vedono per la prima volta si rimane delusi: le loro opere sono brutte, disordinate, mal dipinte e mal disegnate, sono povere di colore e addirittura spregevoli. Questa è la mia prima impressione quando sono venuto a Parigi »Per Vincent, l'arte moderna era rappresentata dalla scuola di Barbizon: oltre all'ormai classico Delacroix, egli ammirava Corot, Daumier, Troyon, Daubigny,Bastien Lepage e soprattutto Millet, che rappresentava per lui il vertice della pittura. L'importanza, che il suo iniziale dilettantismo e la sua inclinazione essenzialmente romantica, attribuiva al soggetto del dipinto e alla correttezza tecnica dell'esecuzione, gli faceva apprezzare perfino un Meissonier, lodatissimo a quel tempo e che pure era molto lontano dal suo spirito. Sapeva tuttavia che l'abilità tecnica non doveva essere il fine dell'arte ma solo il mezzo per poter esprimere quello che sentiva: «quando non posso farlo in modo soddisfacente, mi sforzo di correggermi. Ma se il mio linguaggio non piace, ciò mi lascia completamente indifferente».
Agostina Segatori, olio su tela, 55,5x46,5 cm, 1887, AmsterdamL'osservazione più puntuale delle opere degli impressionisti gli fece comprendere l'originalità e i valori racchiusi in quella nuova concezione della visione: anche se non aderì mai a quella scuola, perché egli intese sempre esprimere solo quello che aveva «dentro la mente e il cuore»,[12] guardò con favore a Guillaumin e aPissarro, e la sua tavolozza, fino a quel momento scura e terrosa, si schiarì proprio grazie all'influsso della pittura impressionista e alleggerì i propri soggetti, tralasciando i temi sociali per i paesaggi e le nature morte; sperimentò anche l'accostamento dei colori complementari cimentandosi, nell' Interno di ristorante, con la tecnica puntinista inventata da Seurat.
Con Bernard, suo grande amico all'epoca, andò spesso a dipingere ad Asnières, il sobborgo che sorgeva sulle rive della Senna; espose suoi dipinti nella bottega di colori di père Tanguy e, insieme con il gruppo del Petit boulevard di Anquetin, Bernard, Gauguin e Toulouse-Lautrec, nel café Tambourin, gestito dall'ex-modella diDegas, l'italiana Agostina Segatori, con la quale, per qualche mese, ebbe una relazione.
I rapporti con il fratello Théo non erano sempre facili: pur volendosi molto bene, entrambi soffrivano di disturbi nervosi. Il carattere, generoso ma imprevedibile e collerico di Vincent, non gli rendeva agevole mantenere durevoli rapporti di amicizia; egli stesso si rendeva conto di non riuscire a non esprimere direttamente i propri sentimenti e a non manifestare con violenza le proprie opinioni: «non riesco a starmene tranquillo, le mie idee fanno talmente parte di me stesso che, talora, mi sembra che mi prendano alla gola».
Il desiderio di conoscere il Mezzogiorno francese, «dove c'è più colore, più sole», con la sua luce e i suoi colori mediterranei così lontani dal cromatismo nordico, fu una buona occasione per porre fine a una convivenza divenuta difficile.
Arles (1888)La casa gialla, olio su tela, 76x94 cm, 1888, Van Gogh Museum, AmsterdamTrasferitosi ad Arles il 20 febbraio 1888, andò ad alloggiare prima in albergo e poi, in maggio, affittò un appartamento di quattro stanze di una casa dalle mura gialle che si affacciava sulla piazza Lamartine, ritratta in un quadro famoso.
Produsse una tela dopo l'altra, come temesse che la sua ispirazione, esaltata dalla novità del nuovo modello del mondo provenzale, potesse abbandonarlo. Si sentiva trascinato dall'emozione, che egli identificava con la sincerità dei suoi sentimenti verso la natura: le emozioni che provava di fronte alla natura provenzale potevano essere così forti da costringerlo a lavorare senza sosta, allo stesso modo per il quale non si possono fermare i pensieri, quando questi si sviluppano in una coerente sequenza nella propria mente. D'altra parte, affermava di mettere sulla tela non impressioni momentanee, ma immagini studiate a lungo e assimilate nel suo spirito attraverso una lunga e precedente osservazione del modello.
Del modello naturale confessava di non poter fare a meno: non si sentiva in grado di inventare un soggetto anzi, per quanto riguarda le forme, aveva «il terrore di allontanarsi dal verosimile» ma non aveva problemi a combinare diversamente i colori, accentuandone alcuni e semplificando altri. Scrisse alla sorella Wilhelmina:
« La natura di questo paesaggio meridionale non può essere resa con precisione con la tavolozza di un Mauve, per esempio, che appartiene al Nord e che è un maestro e rimane un maestro del grigio. La tavolozza di oggi è assolutamente colorata: celeste, arancione rosa, vermiglio, giallo vivissimo, verde chiaro, il rosso trasparente del vino, violetto. Ma, pur giocando con tutti questi colori, si finisce con il creare la calma, l'armonia »Al fratello confidò di aver abbandonato le tecniche utilizzate a Parigi, che risentivano dell'esperienza impressionista, per ribadire la visione romantica di Delacroix, non ritraendo fedelmente quello che gli sta di fronte ma ricercando il vigore dell'espressione attraverso il libero uso del colore. E all'amico pittore Bernard:
Albicocchi in fiore, olio su tela, 65,5x80,5 cm, 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam« Non seguo alcun sistema di pennellatura: picchio sulla tela a colpi irregolari che lascio tali e quali. Impasti, pezzi di tela lasciati qua e là, angoli totalmente incompiuti, ripensamenti, brutalità: insomma, il risultato è, sono portato a crederlo, piuttosto inquietante e irritante, per non fare la felicità delle persone con idee preconcette in fatto di tecnica [...] gli spazi, limitati da contorni espressi o no, ma in ogni caso sentiti, li riempio di toni ugualmente semplificati, nel senso che tutto ciò che sarà suolo parteciperà di un unico tono violaceo, tutto il cielo avrà una tonalità azzurra, le verzure saranno o dei verdi blu o dei verdi gialli, esagerando di proposito, in questo caso, le qualità gialle o blu »Sperimentava tecniche diverse, ora mettendo in risalto le forme circondandole di contorni scuri e pennellando lo sfondo a strati, per creare una struttura a traliccio, ora ondulando i contorni per accentuare la struttura delle forme, ora punteggiando con brevi pennellate e ora invece spremendo il colore dal tubetto direttamente sulla tela. Altre volte si convinceva «di non disegnare più il quadro con il carboncino. Non serve a niente; se si vuole un buon disegno, si deve eseguire direttamente con il colore».
Andando incontro a un desiderio di Vincent, nell'estate del 1888 Théo van Gogh contattò Gauguin, offrendo di pagargli il soggiorno ad Arles con il fratello e garantendogli l'acquisto di dodici suoi quadri ogni anno per 150 franchi. Gauguin, dopo qualche esitazione, accettò, pensando di mettere da parte quanto gli era necessario per realizzare il suo desiderio di trasferirsi, di lì a un anno, in Martinica.
Il dramma di ArlesLa camera di van Gogh, olio su tela, 72x90cm, 1888, Van Gogh Museum, AmsterdamNell'attesa dell'arrivo di Gauguin, Van Gogh si preoccupò di arredare con qualche altro mobile l'appartamento e ornò con propri quadri la camera da letto. Gli scrisse:
« ho fatto, sempre come decorazione, un quadro della mia camera da letto, con i mobili in legno bianco, come sapete. Ebbene, mi ha molto divertito fare questo interno senza niente, di una semplicità alla Seurat; a tinte piatte, ma date grossolanamente senza sciogliere il colore; i muri lilla pallido; il pavimento di un rosso qua e là rotto e sfumato; le sedie e il letto giallo cromo; i guanciali e le lenzuola verde limone molto pallido; la coperta rosso sangue, il tavolo da toilette arancione; la catinella blu; la finestra verde. Avrei voluto esprimere il riposo assoluto attraverso tutti questi toni così diversi e tra i quali non vi è che una piccola nota di bianco nello specchio incorniciato di nero, per mettere anche là dentro la quarta coppia di complementari »Eppure, vi è chi ha visto nel dipinto di questa camera da letto il desiderio mancato di rappresentare il sonno e il riposo: «La tragedia della sua mente si avvicinava con segni di squilibrio e non gli permetteva né riposo né sonno. Nella camera abbandonata regna la calma, ma è una calma senza speranza e senza pietà. È una camera vuota, ma non per caso. Essa è abbandonata per sempre causa la partenza o la morte. I colori sono brillanti e puri, senza ombre, ma non suggeriscono gioia, anzi soltanto tristezza. È un riposo nato dalla disperazione. Così i colori rivelano l'animo dell'artista a sua insaputa. Non si rende conto di quel che sente, né nella sua lettera, né nella sua pittura, e perciò il suo sentimento, la sua accorata umiltà, è espresso spontaneamente».
Gauguin giunse ad Arles il 29 ottobre 1888. All'opposto di Van Gogh, rimase subito deluso di Arles, «il luogo più sporco del Mezzogiorno», e della Provenza: «Trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone»; il sogno di Van Gogh di fondare un'associazione di pittori che perseguissero un'arte nuova lo lasciava scettico; quanto a sé, egli contava soltanto di trasferirsi, non appena ne avesse avuto la possibilità, ai tropici; lo irritavano anche le abitudini disordinate di Vincent e la sua scarsa oculatezza nell'amministrare il denaro che avevano messo in comune.
Paul Gauguin: Ritratto di Van Gogh, dicembre 1888Invece Van Gogh manifestava un'aperta ammirazione per Gauguin, che considerava un artista superiore: riteneva che le proprie teorie artistiche fossero molto banali se confrontate con le sue e la propria resa pittorica sempre inferiore, persino grossolana, rispetto al modello naturale. Nelle sue memorie, Gauguin volle attribuirsi, generalmente a torto, il merito di aver corretto la tavolozza di Van Gogh:
« Vincent, quando sono arrivato ad Arles, militava nella scuola neoimpressionista, anzi vi sguazzava, cosa che lo faceva soffrire, non perché questa scuola, come tutte le scuole, sia cattiva, ma perché non corrispondeva alla sua natura così impaziente e così indipendente. Con tutti questi gialli sui violetti, tutto questo lavoro sui complementari - lavoro disordinato, d'altra parte - non riusciva a raggiungere che delle dolci armonie, incomplete e monotone; ci mancava lo squillo di tromba. Mi assunsi il compito di chiarirglielo, e mi fu facile, perché trovavo un terreno ricco e fecondo »Anche nella valutazione degli altri pittori, le loro opinioni divergevano: Van Gogh ammirava Daumier, Daubigny, Félix Ziem, Théodore Rousseau, «tutte persone che non posso vedere», e non apprezzava, contrariamente a Gauguin, Raffaello, Ingres, Degas: di Vincent, «cervello disordinato», Gauguin non riusciva a spiegarsi né i principi critici né quelle che considerava contraddizioni fra i principi e la pittura realizzata, trovando anche in queste divergenze la radice del prossimo, drammatico conflitto.
Vaso di girasoli, olio su tela, 92x73 cm, 1888, Neue Pinakothek, MünichNei primi giorni del dicembre 1888 Gauguin fece il ritratto di Van Gogh, rappresentandolo nell'atto di dipingere girasoli. Vincent commentò: «Sono certamente io, ma io divenuto pazzo». Nelle sue memorie Gauguin scrive che quella sera stessa, al caffè, i due pittori bevvero molto e improvvisamente Vincent scagliò il suo bicchiere contro la sua testa, che Gauguin riuscì appena a evitare: da quel momento Gauguin prese la decisione di partire da Arles. Seguirono giorni di tensione: anche una visita al museo di Montpellier per osservare le opere di Delacroix e di Courbet degenerò in litigio.
L'episodio più grave accadde il pomeriggio del 23 dicembre: Van Gogh - la ricostruzione del fatto è tuttavia controversa - avrebbe rincorso per strada Gauguin con un rasoio, rinunciando ad aggredirlo quando Gauguin si voltò, affrontandolo. Tornato a casa, mentre Gauguin andò ad alloggiare in albergo, preparandosi a lasciare Arles, Van Gogh, in preda ad allucinazioni, si tagliò metà dell'orecchio sinistro, lo incartò, lo consegnò a Rachele, una prostituta del bordello che i due pittori erano soliti frequentare, e tornò a dormire a casa sua. La mattina seguente venne fatto ricoverare dalla polizia in ospedale: ne uscì il 7 gennaio 1889. Tuttavia, due storici di Amburgo, Hans Kaufmann e Rita Wildegans sostengono nel libro "L'orecchio di Van Gogh, Paul Gauguin e il patto del silenzio" che fu Gauguin a mutilare l'amico dopo la lite, mentre l'esperto francese Pascal Bonafoux sostiene che questa teoria è clamorosamente errata.
Suoi buoni amici, in questi frangenti, furono il dottor Rey, il pastore Salles e il postino Roulin, del quale aveva fatto qualche mese prima un ritratto rimasto celebre: in questa occasione dipinse cinque versioni del ritratto della moglie Augustine, spedendone una a Gauguin, e dipinse anche sé stesso, con l'orecchio bendato. Alternava periodi di serenità, nei quali era in grado di valutare lucidamente e ironicamente tutto quello che gli era successo, a momenti di ricadute nella malattia: il 9 febbraio, dopo una crisi nella quale credette che qualcuno volesse avvelenarlo, fu nuovamente ricoverato in ospedale. Uscito, vi fu ricondotto in marzo dalla polizia a seguito di una petizione firmata il 26 febbraio da ottanta cittadini di Arles.
In ospedale, ricevette la visita di Signac, che ottenne il permesso di accompagnarlo nella sua casa gialla: «Per tutto il giorno mi parlò di pittura, diletteratura, di socialismo. La sera era un po' stanco. Tirava un maestrale spaventoso che forse lo aveva innervosito. Volle bere un litro di essenza ditrementina che si trovava sul tavolo in camera. Era ora di rientrare all'ospedale».
Augustine Roulin, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Kröller-Müller M., OtterloIl 17 aprile il fratello Théo si sposò. Vincent scrisse alla sorella, come rassegnato di dover ormai convivere per sempre con la sua malattia:
« Leggo poco per aver tempo di riflettere. È molto probabile che abbia ancora tanto da soffrire. E questo non mi va affatto, a dire il vero, perché in nessun modo desidero il ruolo di martire [...] Prendo tutti i giorni il rimedio che l'incomparabile Dickens prescriveva contro il suicidio. Consiste in un bicchiere di vino, un boccone di pane e di formaggio e una pipa di tabacco »Al fratello espresse la volontà di essere internato in una casa di cura:
« Mi sento decisamente incapace di ricominciare a riprendere un nuovo studio e di restarci solo, qui ad Arles [...] a te, a Salles, a Rey io chiedo di fare in modo che alla fine del mese o all'inizio di maggio io possa andare come pensionato internato [...] se l'alcool è stato certamente una delle più grandi cause della mia follia, allora è venuta molto lentamente e se ne andrà molto lentamente, se se ne andrà [...] Infine, bisogna prendere una posizione di fronte alle malattie del nostro tempo [...] io non avrei precisamente scelto la follia, se c'era da scegliere, ma una volta che le cose stanno così, non vi si può sfuggire. Tuttavia esisterà forse ancora la possibilità di lavorare con la pittura »L'8 maggio 1889 Van Gogh, accompagnato dal pastore Salles, entrò volontariamente nella Maison de santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico, a Saint-Rémy-de-Provence a venti chilometri da Arles.
A Saint-Rémy-de-Provence (1889)La diagnosi del direttore della clinica, il dottor Peyron, fu di epilessia. Oggi si ritiene che Van Gogh soffrisse di psicosi epilettica o "latente epilessia mentale": preceduti dallo "stadio crepuscolare", egli subiva attacchi di panico e allucinazioni ai quali reagiva con atti di violenza e tentativi di suicidio, seguendo alla fine uno stato di torpore. Nei lunghi intervalli della malattia era in grado di comportarsi in modo del tutto normale.
Cipressi, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Kröller-Müller M. OtterloNella clinica di Saint-Rémy non veniva praticata nessuna cura, a meno di definire cura i due bagni settimanali cui i pazienti erano sottoposti. Non se ne lamentava il pittore, che scriveva che «osservando la realtà della vita dei pazzi in questo serraglio, perdo il vago terrore, la paura della cosa e a poco a poco posso arrivare a considerare la pazzia una malattia come un'altra».
La finestra munita di sbarre guardava un giardino della clinica e, al di là di quello, i campi e, più lontano, le montagne delle Alpilles, l'ultima catena delle Alpi francesi. Aveva a disposizione per lavorare un'altra camera vuota, poteva anche andare a dipingere fuori dal manicomio, accompagnato da un sorvegliante, e si manteneva in contatto epistolare con il fratello che gli spediva libri e giornali.
« Osservo negli altri che anch'essi durante le crisi percepiscono suoni e voci strane come me e vedono le cose trasformate. E questo mitiga l'orrore che conservavo delle crisi che ho avuto [...] oso credere che una volta che si sa quello che si è, una volta che si ha coscienza del proprio stato e di poter essere soggetti a delle crisi, allora si può fare qualcosa per non essere sorpresi dall'angoscia e dal terrore [...] Quelli che sono in questo luogo da molti anni, a mio parere soffrono di un completo afflosciamento. Il mio lavoro mi preserverà in qualche misura da un tale pericolo »(Lettera a Théo van Gogh, 25 maggio 1889)A giugno cominciò a dipingere cipressi: «il cipresso è bello come legno e come proporzioni, è come un obelisco egiziano. E il verde è di una qualità così particolare. È una macchia nera in un paesaggio assolato, ma è una delle note più interessanti, la più difficile a essere dipinta che io conosca» e spedì al fratello un gruppo di tele, che gli vennero lodate.
Ad agosto subì un grave attacco, con allucinazioni e un tentativo di suicidio, dal quale si rimise a fatica a settembre, quando ricevette la notizia che due suoi dipinti, la Notte stellata e le Piante di iris, erano state esposte al Salon des Artistes Indépendants di Parigi.
Nella Notte stellata Van Gogh sembra allontanarsi decisamente dalla diretta osservazione della natura, per esprimere uno stato d'animo attraverso la libera fantasia, per liberare le proprie emozioni piuttosto che ricercare un aspetto nascosto del paesaggio. Ma in quella visione della luna, delle stelle e di fantasiose comete è «come se il cielo, passando attraverso i suoi gialli e i suoi azzurri, diventasse un irradiarsi di luci in moto per incutere un timor panico agli umani che sentono il mistero della natura». E l'intento perseguito nel Oliveto con nuvola bianca, viene spiegato da Vincent al fratello come risultato di ricerca stilistica:
Oliveto con nuvola bianca, olio su tela, 73x92 cm, 1889, Museum of Modern Art, New York« Gli ulivi con la nuvola bianca e lo sfondo di montagne, così come il sorgere della luna e l'effetto notturno, costituiscono un'esagerazione dal punto di vista dell'esecuzione; le linee sono incisive come quelle degli antichi legni. Là dove queste linee sono serrate e volute comincia il quadro, anche se può sembrare esagerato. È un po' quello che sentono Bernard e Gauguin. Non ricercano la forma esatta di un albero, ma vogliono assolutamente che sia definito se essa è tonda o quadrata, e io do loro ragione, perché sono esasperato dalla perfezione fotografica e banale di certuni [...] io mi sento spinto a ricercare, se vuoi, uno stile, ma intendendo con questo un disegno più maturo e più intenzionale [...] gli studi disegnati con grandi linee nodose come nell'ultimo invio non erano quello che dovevano essere, ma voglio convincerti che nei paesaggi si continuerà ad ammassare le cose mediante un disegno che cerca di esprimere il groviglio delle masse »A novembre ricevette l'invito a esporre sue tele all'associazione «Les XX», a Bruxelles: accettò, inviando sei quadri, due Girasoli, L'edera, Frutteto in fiore, Campo di grano all'alba e La vigna rossa.
Davanti al manicomio di Saint-Rémy, olio su tela, 58x45 cm, 1888, Musée d'Orsay, ParigiFu il pittore Bernard a invitare il critico d'arte Albert Aurier, redattore de «Le Moderniste» e ammiratore della letteratura simbolista, a interessarsi di Van Gogh: questi pubblicò allora sul «Mercure de France» del gennaio 1890 l'articolo Les Isolés: Vincent van Gogh in cui analizzò ed esaltò entusiasticamente la sua pittura. Definì inizialmente la sua personalità:
« La scelta dei soggetti, il rapporto costante delle annotazioni più ardite, lo studio coscienzioso dei caratteri, la continua ricerca del segno essenziale per ogni cosa, mille significativi particolari testimoniano irrefutabilmente la sua profonda e quasi infantile sincerità, il suo grande amore per la natura e per la verità, per la sua verità. Ciò che caratterizza tutta la sua opera è l'eccesso, l'eccesso della forza, l'eccesso della nervosità, la violenza dell'espressione. nella sua categorica affermazione della caratteristica delle cose, nella sua sovente temeraria semplificazione delle forme, nella sua insolenza nel guardare il sole in faccia, nella foga del suo disegno e del suo colore, fino ai più piccoli particolari della sua tecnica, si rivela una personalità potente, maschia, audace, molto brutale ma a volte ingenuamente delicata. Questo, inoltre, si intuisce anche dalle esagerazioni quasi orgiastiche presenti in tutta la sua pittura: è un esaltato, nemico della sobrietà borghese e delle minuzie, una specie di gigante ebbro [...] un genio folle e terribile, spesso sublime, qualche volta grottesco, quasi sempre svelante qualcosa di patologico »In seguito, Aurier rintracciò la sostanza della sua pittura nella poetica del simbolismo: Van Gogh percepirebbe
« le segrete caratteristiche delle linee e delle forme, ma più ancora dei colori, le sfumature invisibili alle menti sane, le magiche irradiazioni delle ombre [...] egli è quasi sempre un simbolista [...] perché sente la continua necessità di rivestire le sue idee di forme precise, consistenti, tangibili, di involucri materiali e carnali. In tutti i suoi quadri, sotto questo involucro fisico, sotto questa carne trasparente, sotto questa materia così materia, è nascosta, per gli spiriti che la sanno cogliere, un'Idea [...] »Notte stellata, olio su tela, 73x92 cm, 1889, Museum of Modern Art, New YorkPer quanto riguarda la sua tecnica,
« l'esecuzione è vigorosa, esaltata, brutale, intensa. Il suo disegno rabbioso, potente, spesso maldestro e un po' grossolano, esagera il carattere, lo semplifica, elimina abilmente i dettagli, attinge una sintesi magistrale, qualche volta il grande stile [...] è il solo pittore che concepisca il cromatismo degli oggetti con questa intensità, con questa qualità da metallo prezioso »Non credeva che Van Gogh potesse mai godere del successo che pure avrebbe meritato:
« quando anche la moda farà sì che i suoi quadri vengano comprati - cosa poco probabile - ai prezzi delle infamie di Meissonier, non penso che tanta sincerità possa suscitare la tardiva ammirazione del grosso pubblico. Vincent van Gogh è al contempo troppo semplice e troppo raffinato per lo spirito borghese contemporaneo. Sarà completamente compreso soltanto dai suoi fratelli, gli artisti »Per quanto Van Gogh potesse essere lusingato dalle lodi, giudicò l'articolo più un interessante pezzo di letteratura, piuttosto che un'analisi corretta della sua pittura. Al critico rispose direttamente che le valutazioni sul suo cromatismo gli sembravano più pertinenti se riferite a un pittore comeAdolphe Monticelli e difese anche la pittura di Meissonier, per il quale espresse «un'ammirazione senza limiti».
La vigna rossa, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Museo Puškin, MoscaRiguardo al suo presunto simbolismo, si espresse con il fratello respingendo ogni sua adesione a quella corrente: «mi è così cara la verità, mi è così caro cercare di fare il vero che credo di preferire rimanere un calzolaio piuttosto che un musicista con i colori».
In ogni caso, l'articolo suscitò interesse nell'ambiente artistico e durante la mostra dei XX a Bruxelles uno dei quadri inviati da Van Gogh, La vigne rouge, dipinto l'anno prima ad Arles, fu acquistato il 14 febbraio per 400 franchi dalla pittrice belga Anna Boch[36], sorella del pittore Eugène, conosciuto da Vincent e fondatore del gruppo dei XX: il primo e unico dipinto venduto in vita da Van Gogh.
Qualche giorno dopo si recò da solo ad Arles: al ritorno in clinica ebbe una grave e lunghissima crisi, dalla quale sembrava non potersi rimettere mai, tanto che fu lasciato a se stesso, libero di fare quel che voleva finché, ingeriti i colori, gli fu impedito di dipingere. Solo alla fine di aprile fu in grado di riprendersi e manifestò allora il suo desiderio di lasciare la clinica, vista la mancanza di benefici per la sua salute.
Vaso con iris, olio su tela, 73x92 cm, 1889, Metropolitan, N. Y.Si era intanto aperta a Parigi, il 19 marzo, una mostra dei pittori indipendenti, inaugurata dal Presidente della Repubblica - dimostrazione di quanto la moderna pittura impressionista, neo-impressionista e post-impressionista fosse ormai divenuta «rispettabile» - e Van Gogh vi partecipava con dieci tele. erano esposti dipinti di Seurat,Signac, Toulouse-Lautrec, il doganiere Rousseau, Guillaumin, Dubois-Pillet, Théo van Rysselberghe, Anquetin,Lucien Pissarro, Henry van de Velde. Monet sostenne che le opere di Van Gogh erano le cose migliori della mostra e anche Gauguin gli scrisse, congratulandosi: «con soggetti ispirati alla natura, là siete il solo che pensa»
Decisa ormai la partenza - «qui l'ambiente comincia a pesarmi più di quanto possa esprimere: ho pazientato più di un anno, ho bisogno d'aria, mi sento oppresso dalla noia e dal dolore» - i soggetti degli ultimi dipinti di Vincent a Saint-Rémy si alleggeriscono: sono rose e iris su un fondo uniforme, ora con un «effetto dolce e armonioso per la combinazione dei verdi, rosa, violetti», ora con «un effetto di complementari terribilmente disparati che si esaltano per la loro opposizione».
Il 16 maggio 1890 Vincent lasciò definitivamente Saint-Rémy per raggiungere il fratello a Parigi. Il direttore della clinica aveva rilasciato regolare autorizzazione e stilato l'ultima scheda. Rilevate le molte crisi avute dall'artista durante la sua permanenza, della durata ciascuna di alcune settimane - ma l'ultima di quasi due mesi - e i suoi tentativi di avvelenarsi con i colori e il petrolio, il dottor Peyron concludeva le sue osservazioni scrivendo: «Guarito».
Ad Auvers-sur-Oise (1890)Vincent arrivò a Parigi il 17 maggio e conobbe per la prima volta il nipotino e la signora Van Gogh, la quale trovò il cognato un uomo «forte, largo di spalle, con un colorito sano, un'espressione allegra e un'aria decisa». Passò tre giorni in casa del fratello, riesaminando i tanti suoi quadri che nel tempo gli aveva mandato, visitò il Salon, dove rimase colpito da un Puvis de Chavannes, e una mostra d'arte giapponese. Poi, come convenuto, il 21 maggio partì per stabilirsi a Auvers-sur-Oise, un villaggio a 30 chilometri da Parigi, dove risiedeva un medico amico di Théo, il dottor Paul-Ferdinand Gachet (1828-1909), che si sarebbe preso cura di lui.
Ritratto del dottor Gachet, olio su tela, 68×57 cm, 1890, Collezione privataVan Gogh prese alloggio nel caffè-locanda gestito dai coniugi Ravoux, nella piazza del Municipio. Appariva abbastanza soddisfatto della nuova sistemazione: «Auvers è di una bellezza severa, e la campagna è caratteristica e pittoresca».
Il sessantaduenne dottor Gachet, omeopata, darwinista, favorevole alla cremazione dei defunti - un'opinione scandalosa a quei tempi - repubblicano, socialista e libero pensatore, era un personaggio molto noto a Auvers dove abitava in un villino che dominava il paese. Laureatosi a Montpellier in medicina generale e con un particolare interesse per la psichiatria, aveva a lungo esercitato a Parigi, dove aveva conosciuto molti artisti, da Victor Hugo a Gustave Courbet, daManet a Renoir e a Cézanne, e la sua casa conservava parecchie tele di impressionisti, oltre a una notevole quantità di soprammobili e oggetti vari che Van Gogh chiamava «nere anticaglie».
Era anche disegnatore, pittore - partecipò a esposizioni firmandosi con lo pseudonimo di van Ryssel - e incisore dilettante: nella macchina della sua casa Cézanne, Pissarro e Guillaumin avevano eseguito alcune incisioni e fu su suo consiglio che Van Gogh eseguì la sua unica acquaforte, rappresentante lo stesso dottor Gachet. La sua competenza nelle cose artistiche, certe comuni preferenze e anche il suo garbo e la sua natura fondamentalmente malinconica fecero presa sul pittore, che frequentò spesso la sua casa, ritraendo due volte la figlia Marguerite e non mancando di fargli il ritratto, che replicò in una seconda versione:
« lavoro al suo ritratto; la testa, con un berretto bianco, molto bionda, molto chiara; anche la carnagione delle mani molto bianca, un frac blu e uno sfondo blu cobalto; appoggiato a una tavola rossa, sopra la quale c'è un libro giallo e una pianta di digitale dai fiori purpurei [...] Gachet è assolutamente fanatico di questo ritratto »In quegli stessi giorni Van Gogh confidò che il suo maggior interesse, nella pittura, era il ritratto, «il ritratto moderno»:
« Vorrei fare dei ritratti che tra un secolo, alla gente di quel tempo, sembrassero delle apparizioni. Non cerco di raggiungere questo risultato attraverso la somiglianza fotografica, ma attraverso un'espressione appassionata, impiegando come mezzo di espressione e di esaltazione del carattere la nostra conoscenza e il nostro gusto moderno del colore »In giugno Théo e la famiglia gli fecero visita e progettarono la possibilità di affittare a Auvers una casa dove Vincent avrebbe potuto vivere insieme a qualche altro artista. La visita fu ricambiata da Vincent il 6 luglio a Parigi, dove incontrò Toulouse-Lautrec e, per la prima volta, il critico d'arte Albert Aurier. In quei giorni Théo, oltre ad avere il figlio seriamente malato, era afflitto da problemi di lavoro: così, Vincent preferì ritornare presto a Auvers, non sopportando il clima di tensione che percepiva nella famiglia del fratello.
Campo di grano con volo di corvi, olio su tela, 50,3x103 cm, 1890, Van Gogh Museum, AmsterdamCominciava a temere una nuova crisi, e l'eventualità lo rendeva particolarmente nervoso: ebbe una violenta lite con Gachet per motivi banali - gli rimproverava di non aver fatto incorniciare una tela di Guillaumin che il dottore teneva in casa - e scrisse al fratello:
« Credo che non bisogna contare in alcun modo sul dottor Gachet. Mi sembra che sia più malato di me, o almeno quanto me. Ora, quando un cieco guida un altro cieco, non andranno a finire tutti e due nel fosso? Non so che dire. Certamente la mia ultima crisi, che fu terribile, fu in gran parte dovuta all'influenza di altri malati; e poi la prigione mi opprimeva e il dottor Peyron non ci faceva caso, lasciandomi vegetare in quell'ambiente profondamente corrotto »Dipinse il Paesaggio con cielo tempestoso, il Campo di grano con volo di corvi e Il giardino di Daubigny e scrisse:
« Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la mia tristezza, l'estrema solitudine »È certo che egli non faceva nulla per alleviare la sua solitudine nonostante ne fosse oppresso: non frequentò mai i non pochi pittori che soggiornavano a Auvers - uno di essi, l'olandese Anton Hirschig, alloggiava nel suo stesso albergo - anche se forse loro stessi, spaventati, lo evitavano, a causa della sua malattia. Per lo stesso Hirschig, egli «aveva un'espressione assolutamente folle, con gli occhi infuocati, che non osavo guardare»
Il suicidioLa sera del 27 luglio 1890, una domenica, dopo essere uscito per dipingere i suoi quadri come al solito nelle campagne che circondavano il paese, rientrò sofferente nella locanda e si rifugiò subito nella sua camera: al Ravoux che, non vedendolo presentarsi per il pranzo, salì per accertarsi della sua salute e lo trovò sdraiato sul letto, confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella al petto in un campo vicino.
Le tombe di Vincent e Théo van Gogh ad Auvers-sur-OiseAl dottor Gachet che, non potendo estrargli il proiettile, si limitò a fasciarlo ma gli esprimeva, per rincuorarlo, la sua speranza di salvarlo, rispose che egli aveva tentato coscientemente il suicidio e che, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto «riprovarci» - «volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca» - esclamò; rifiutò di dare spiegazioni del suo gesto ai gendarmi e, con il fratello Théo che, avvertito, era accorso la mattina dopo, Vincent passò tutto il 28 luglio, fumando la pipa e chiacchierando seduto sul letto: gli confidò ancora che la sua «tristezza non avrà mai fine». Sembra che le sue ultime parole fossero: «ora vorrei ritornare». Poco dopo ebbe un accesso di soffocamento, poi perse conoscenza e morì quella notte stessa, verso l'1,30 del 29 luglio.
In tasca gli trovarono una lettera non spedita a Théo, dove aveva scritto, tra l'altro: «Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità ... per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione ... ».
In quanto suicida, il parroco di Auvers si rifiutò di benedire la salma e il carro funebre fu fornito da un municipio vicino. Il 30 luglio la bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta di fiori gialli, fu calata in una fossa accanto al muro del piccolo cimitero di Auvers: assistevano Théo, che non smetteva di piangere, il dottor Gachet e i pochi amici giunti da Parigi: Lucien Pissarro, figlio di Camille, Emile Bernard, père Tanguy.
Pochi mesi dopo anche Théo van Gogh venne ricoverato in una clinica parigina per malattie mentali. Dopo un apparente miglioramento, si trasferì a Utrecht, dove morì il 25 gennaio 1891, a sei mesi di distanza dal fratello. Nel 1914 le sue spoglie, per volontà della vedova, furono trasferite ad Auvers e tumulate accanto a quelle di Vincent.
L'arte di Van GoghNon si può sostenere che la pittura sia stata una vocazione per Van Gogh, che infatti cominciò a dipingere dopo aver compiuto ventotto anni. A giudicare dagli anni della sua piena giovinezza, se egli ebbe una vocazione, fu quella di essere vicino ai miseri della terra, i braccianti, i contadini poveri e gli operai per i quali il lavoro rappresentava la maggiore sofferenza, quelli delle miniere. Figlio di un pastore protestante, cercò di unire la solidarietà sociale al messaggio evangelico, ma la Chiesa ufficiale sembrò sospettosa e forse spaventata dell'unione di quel duplice messaggio e gli negò il suo appoggio.
Un'altra contingenza familiare - l'attività del fratello Théo nell'ambito del commercio d'arte - lo indirizzò alla pittura, dove raccolse e fece proprio il messaggio, che non era soltanto artistico, ma ancora sociale ed etico, di Daumier, Courbet e Millet. La maggiore realizzazione di questo periodo fu I mangiatori di patate, nei quali, oltre a voler esprimere la propria simpatia verso gli umili, immedesimando in loro se stesso, volle soprattutto rappresentare - come scrisse - coloro che esprimono la dignità della propria umanità, vivendo pur miseramente ma del prodotto del loro lavoro, seppure, come è stato detto, egli qui non fu «ben servito né dal suo disegno pesante e materiale, né dal suo colore assai scuro e sporco, senza energia né vitalità». E tuttavia, ancora alla fine del 1887, da Parigi confidava che «le scene di contadini che mangiano patate» erano ancora le cose migliori che avesse mai fatto.
A Parigi Van Gogh comprese la necessità di concentrarsi non tanto su un soggetto determinato, ma su come dipingere: assimilò il modo impressionista ma senza accettarlo, perché egli aveva necessità di porsi direttamente di fronte alle cose, eliminando la mediazione degli effetti atmosferici e delle vibrazioni di luce. Il paesaggio meridionale della Provenza, con la certezza della sua visione immobile e assolata, serviva al meglio al suo scopo.
La pianura della Crau, olio su tela, 73 x 92 cm, 1888, Van Gogh Museum, AmsterdamCosì, nella Pianura della Crau, dipinta nel giugno del 1888 ad Arles, i colori si distendono in zone compatte, susseguendosi in profondità,
« risultano a un tempo più intensi e preziosi e più calmi, di quella calma che è propria della certezza alfine raggiunta. Se in primo piano vi sono ancora i tocchi impressionistici, più lontano le zone danno al motivo una consistenza e una chiarezza assoluta. I toni di giallo, dal limone all'arancio, appaiono interrotti da una zona di verde, si spingono all'orizzonte che è alto ma lontano, così da apparire infinito, contro il cielo di un verde azzurro tendente al grigio. L'arte di Van Gogh, che era estremamente soggettiva, si è fatta oggettiva, l'anima dell'artista si è distaccata dal suo prodotto, si è annullata nell'oggetto, l'ha reso stupendo per sé, un'immagine da adorare »Ci si chiede perché egli abbia abbandonato la polemica sociale, pur mantenendo costante il suo impegno morale: o forse, se egli abbia realmente abbandonato quella polemica e non l'abbia invece trasformata in una ancora più generale e radicale.
Da Arles, nell'agosto 1888, scriveva di essere tornato alle idee sostenute prima di trasferirsi a Parigi, ossia alla necessità di rendere con maggior forza la realtà attraverso un uso «arbitrario» del colore: così, il ritratto di un artista dovrà essere sì il più fedele possibile quanto ai lineamenti, ma per esprimere che quell'artista «sogna sogni grandiosi» e «lavora come l'usignolo canta, perché così è la sua natura», dovrà esagerare il biondo dei capelli, arrivando fino «al limone pallido», e come sfondo, anziché la banale parete di un appartamento, dipingere «l'infinito», il «turchino più intenso e più violento», in modo che «la testa bionda illuminata sullo sfondo turchino cupo» ottenga un effetto misterioso, «come una stella nel profondo azzurro».
In generale, egli si pone il problema di
Ritratto del postino Joseph Roulin, olio su tela, 69x63 cm, 1888, Museum of Fine Arts, Boston« dipingere degli uomini e delle donne con un non so che di eterno [...] mediante la vibrazione dei notri colori [...] il ritratto con dentro il pensiero, l'anima del modello [...] esprimere l'amore di due innamorati con il matrimonio di due colori complementari, la loro mescolanza e i loro contrasti, le vibrazioni misteriose dei loro contrasti [...] esprimere la speranza con qualche stella. L'ardore di un essere con un'irradiazione di sole calante [...] non è forse una cosa che esiste realmente? »Detto altrimenti, si potrebbe sostenere che van Gogh,
« ha capito che l'arte non deve essere uno strumento, ma un agente della trasformazione della società e, più a monte, dell'esperienza che l'uomo fa del mondo. Nel generale attivismo, l'arte deve inserirsi come una forza attiva, ma di segno contrario: lampante scoperta della verità contro la crescente tendenza all'alienazione e alla mistificazione. Anche la tecnica della pittura deve mutare, opporsi alla tecnica meccanica dell'industria come un fare suscitato dalle forze profonde dell'essere: il fare etico dell'uomo contro il fare razionale della macchina. Non si tratta più di rappresentare il mondo in modo superficiale o profondo: ogni segno di Van Gogh è un gesto con cui affronta la realtà per cogliere e far proprio il suo contenuto essenziale, la vita »La vita che esprime nel modo più immediato è certamente quella data da un modello vivente, quale che sia, come il signor Joseph Roulin, il postino di Arles. La realtà del suo modello è indubitabile: è un uomo biondo, dagli occhi azzurri e veste una divisa blu. Ma è nella possibilità del pittore costruire mediante il colore quell'esistenza che, da oggetto indipendente, viene rifatto, rivivendo così un'esistenza che è propria solo in quanto è stata ricreatadall'artista. Poiché i colori dominanti del dipinto sono il blu e il giallo, il tavolo diviene verde in quanto è la fusione dei due colori fondamentali, e il fondo bianco della parete, nel riflesso del blu della divisa, diviene celeste: «la materia pittorica acquista un'esistenza autonoma, esasperata, quasi insopportabile: il quadro non rappresenta, è».
Il ritratto di Joseph Roulin non ha nulla di «tragico» in sé: la tragedia sta nel vedere e vedersi
« con così lucida, perentoria evidenza. È tragico riconoscere il nostro limite nel limite delle cose e non potersene liberare. È tragico, di fronte alla realtà, non poterla contemplare, ma dover fare e fare con passione e con furia: lottare per impedire che la sua esistenza sopraffaccia e distrugga la nostra. L'arte diventa allora (avrebbe detto Pavese) il mestiere di vivere: ed è questo mestiere della vita che Van Gogh disperatamente contrappone al lavoro meccanico dell'industria, che non è vita. La polemica iniziale non è stata dunque abbandonata, ma portata a un livello più profondo, dove non è in gioco soltanto il contenuto, il soggetto, la tesi, ma la sostanza, l'esistenza dell'arte »
Autore di ben 864 tele e di più di mille disegni, tanto geniale quanto incompreso in vita, si formò sull'esempio del realismo paesaggistico dei pittori diBarbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet. Attraversata l'esperienza dell'Impressionismo, ribadì la propria adesione a una concezione romantica, nella quale l'immagine pittorica è l'oggettivazione della coscienza dell'artista: identificando arte ed esistenza, Van Gogh pose le basi dell'Espressionismo.
Gli studi interrotti (1868)La casa natale di Van Gogh a Zundert: Vincent nacque nella stanza sotto il tetto, dalla cui finestra sventola la bandieraNotizie dei Van Gogh si rintracciano a L'Aja fin dalla metà del XVII secolo e a partire dal Settecento quella famiglia trasmise di padre in figlio il mestiere di orefice. Nel primo Ottocento si ha notizia di un Vincent van Gogh (1789-1874) pastore calvinista, padre di undici figli che praticavano diverse attività: tre di essi erano mercanti d'arte, mentre si sa che anche Theodorus van Gogh (1822-1885) dal 1º aprile 1849 era pastore a Groot-Zundert, un piccolo paese delBrabante di seimila anime. Sposatosi nel 1851 con Anna Cornelia Carbentus, figlia di un rilegatore della corte olandese, questa diede alla luce il 30 marzo1852 un figlio morto, Vincent Willem. Esattamente l'anno dopo nacque un secondo figlio, il futuro artista, chiamato ancora Vincent Willem: ne seguiranno altri cinque, Anna Cornelia (1855-1930), Théo (1º maggio 1857 - 25 gennaio 1891), Elisabeth (1859-1936), Wilhelmina Jacoba (1862-1941) e Cornelis (1867-1900).
Dal 1861 al 1864 Vincent frequentò la scuola del paese e dal 1º ottobre un collegio della vicina Zevenbergen dove apprese il francese, l'inglese e il tedesco e l'arte del disegno. Dal 1866 frequentò la scuola tecnica Hannik di Tilburg ma il 19 marzo 1868, a causa dello scarso rendimento nonché di problemi economici del padre, ritornò a Zundert senza aver concluso gli studi.
Il lavoro nella casa d'arte Goupil (1869-1875)Vincent van Gogh fotografato nel 1871La scarsità del suo profitto scolastico convinse la famiglia a trovargli un impiego: lo zio paterno Vincent detto Cent (1811-1889), già mercante d'antiquariato, nel luglio del 1869 lo raccomandò alla casa d'arte Goupil & Co. alla quale, per motivi di salute, aveva ceduto la sua attività a L'Aja; l'attività della casa Goupil consisteva nella vendita di riproduzioni di opere d'arte e il giovane Vincent sembrò molto interessato al suo lavoro, che lo obbligava a un approfondimento delle tematiche artistiche e lo stimolava a leggere e a frequentare musei e collezioni d'arte. Mantenne i contatti con la famiglia, che dal gennaio del 1871 si era trasferita a Helvoirt, dove il padre Theodorus svolgeva la sua attività pastorale. Vincent oltre ad incontrare frequentemente a L'Aja il fratello Théo, intesse con lui una corrispondenza che durerà tutta la vita.
Nel 1873 fu trasferito nella filiale Goupil di Bruxelles e a maggio in quella di Londra. Durante il trasferimento nella capitale inglese si fermò per alcuni giorni aParigi, rimanendo affascinato dalla bellezza della città e dai fermenti culturali che la animavano: la visita del Louvre e delle esposizioni di quadri al Salon lo colpirono profondamente.
A Londra disegnò schizzi di scorci cittadini, che tuttavia non conservò (ne rimane solo uno, peraltro assai rovinato e scoperto nel 1977, raffigurante la casa dove visse). Nella pensione in cui alloggiava, si dichiarò un giorno a una figlia della proprietaria, Eugenia Loyer (e non Ursula come si era sempre creduto), che, già fidanzata, lo respinse: caduto in una crisi depressiva, chiese e ottenne di essere trasferito a L'Aja. Da questo momento iniziò a trascurare il lavoro: a poco servì il ritorno a Londra, nel luglio del 1874, insieme con la sorella Anna. I suoi interessi cominciarono a indirizzarsi verso le tematiche religiose, che si approfondirono anche dopo il suo trasferimento a Parigi, nel maggio 1875: qui tuttavia frequentò anche i musei, appassionandosi a Jean-Baptiste Camille Corot e alla pittura secentesca olandese. I dirigenti della Goupil erano sempre più scontenti di lui, anche perché nel Natale del 1875 lasciò senza preavviso il lavoro, andando a trovare la famiglia, che allora risiedeva a Etten, un piccolo paese presso Breda. Vincent comprese tuttavia di non potere più continuare la sua collaborazione in un'attività che ormai sentiva profondamente estranea e si dimise dall'impiego il 1º aprile 1876.
La missione sociale e religiosa (1876-1880)Il 16 aprile 1876 partì per Ramsgate, il sobborgo londinese, dove lavorò come insegnante supplente presso la scuola del signor Stokes, ricevendo in cambio soltanto vitto e alloggio, e poi proseguì l'insegnamento a Isleworth, dove la scuola si era trasferita: qui collaborò anche con un pastore menoteista che teneva un'altra piccola scuola e il 4 novembre pronunciò il suo primo sermone, che si ispirò a un quadro di Boughton, il Pellegrino sulla via di Canterbury al tempo di Chaucer. Tornato in famiglia per Natale, fu dissuaso dai genitori, che spaventati si accorsero delle sue precarie condizioni psico-fisiche, dal ripartire per l'Inghilterra.
Lo zio Vincent gli trovò così un altro lavoro come commesso in una libreria di Dordrecht. Viveva da solo, era un cristiano devoto ed era un membro della Chiesa riformata olandese, anche se aveva un forte amore per tutte le chiese cristiane.. Amava tradurre passi della Bibbia; convinse il padre a lasciargli tentare gli esami di ammissione alla facoltà di teologia di Amsterdam, dove andò a vivere con lo zio paterno Johannes, frequentando anche uno zio materno, che gli fece impartire lezioni di latino e di greco. Non tralasciava tuttavia i suoi interessi artistici, visitando i musei, il ghetto ebraico e continuando a esercitarsi nel disegno.
La casa abitata da Van Gogh a CuesmesRespinto agli esami di ammissione, dall'agosto del 1878 frequentò un corso trimestrale di evangelizzazione in una scuola di Laeken, presso Bruxelles, la quale tuttavia non lo riconobbe idoneo a svolgere l'attività di predicatore. Nonostante tutto, alla fine dell'anno si trasferì nella regione belga del Borinage, aPâturage: qui, povero tra i poveri, si prese cura dei malati e predicò la Bibbia ai minatori. Autorizzato, nel gennaio del 1879, a predicare temporaneamente dalla Scuola di evangelizzazione di Bruxelles, si trasferì nel centro minerario di Wasmes, vivendo in una baracca: il suo zelo e la sua partecipazione, anche emotiva, all'estrema povertà dei minatori apparvero eccessivi alla Scuola, che decise di non rinnovargli l'incarico.
Vincent continuò tuttavia a svolgere quella che considerava una sua missione: si trasferì nel vicino paese di Cuesmes dove visse con un minatore del luogo e, pur indigente, cercò ancora di aiutare chi non stava in realtà peggio di lui, arrivando a cedere il suo letto ai malati o a curare di persona i feriti delle esplosioni usando come bende i suoi stessi vestiti. Leggeva i romanzi popolari che descrivevano la miseria delle popolazioni delle città industriali, interruppe per qualche tempo la corrispondenza con il fratello Théo, che ora lavorava nella casa Goupil e lo disapprovava apertamente, cercando di distoglierlo da un'attività che sembrava aggravare il suo delicato equilibrio psichico, e si spostò frequentemente per il Belgio percorrendo a piedi centinaia di chilometri. Nel giugno 1880 arrivò fino a Courrières, nel dipartimento del Passo di Calais, desiderando conoscere il pittore Jules Breton, che lì abitava ed era da lui molto ammirato, ma poi s'intimidì alla sola idea d'incontrarlo (nonché alla vista del "suo nuovo atelier...di un'inospitalità agghiacciante") e ritornò indietro, dormendo sulla paglia nei casolari abbandonati.
In luglio riprese la corrispondenza con Théo che gli mandò del denaro e lo incoraggiò a indirizzare le sue generose pulsioni sociali e religiose verso l'espressione artistica. Vincent accolse un suggerimento che non poteva lasciarlo indifferente e, nell'ottobre si stabilì a Bruxelles dove, comprendendo di aver bisogno di una scuola di tecnica pittorica, s'iscrisse all'Accademia di Belle Arti.
La svolta artistica (1881)Boccale e pere, olio su tela, 4,5x57,5 cm, 1881, Von Der Heydt Museum, WuppertalSi legò d'amicizia con il pittore olandese Anthon van Rappard e studiò prospettiva e anatomia, impegnandosi in disegni che ritraevano soprattutto umili lavoratori della terra e delle miniere: non a caso i suoi pittori di riferimento erano Millet e Daumier. Nell'aprile 1881 lasciò l'Accademia e fece ritorno presso la famiglia, a Etten, dove s'innamorò della cugina Kate Vos-Stricker, detta Kee, figlia di un pastore protestante, da poco vedova con un figlio, senza però esser corrisposto. Non si rassegnò e la seguì ad Amsterdam, dove lei si era trasferita in casa dei genitori: al suo rifiuto di riceverlo, di fronte ai genitori della donna, Van Gogh si ustionò volontariamente una mano alla fiamma di una lampada.
A L'Aja ottenne l'incoraggiamento e i consigli del pittore Anton Mauve, cognato della madre, continuò a disegnare sotto la sua guida e, per la prima volta, verso la fine del 1881, eseguì nature morte dipinte a olio e figure all'acquarello: le nature morte con il Cavolo e gli zoccoli del Van Gogh Museum di Amsterdam e il Boccale e pere di Wuppertal sono tra i suoi primi lavori. In rotta con i genitori per la sua insistente ostinazione verso la cugina e per l'aperto distacco mostrato nei confronti della religione, lasciò Etten, rifiutando ogni loro aiuto economico, trasferendosi a L'Aja, vicino allo studio di Mauve, il quale, insieme con il fratello Théo, lo soccorse economicamente. Dopo pochi mesi, tuttavia, contrasti con il pittore - che avrebbe voluto, secondo i suoi sistemi didattici, che si esercitasse copiando calchi in gesso, mentre Vincent preferiva ispirarsi direttamente alla realtà - portarono alla rottura tra i due.
Del resto, Van Gogh avrà sempre molta difficoltà a relazionarsi con gli altri pittori, pur stimati da lui: in questo periodo, l'unico pittore che mostrava considerazione per le sue possibilità era il connazionale Johan Hendrik Weissenbruch (1824-1903), artista già noto e apprezzato.
A Nuenen (1883 - 1885)Dolore (Sien Hoornik) litografia, 44,5x22 cm, 1882, collezione privata, LondraNel gennaio del 1882 Vincent conobbe una trentenne prostituta alcolizzata, butterata dal vaiolo, Clasina Maria Hoornik detta Sien, già madre di una bambina e in attesa di un altro figlio, che gli fece da modella: dopo il parto, vissero insieme ed egli pensò anche di sposarla, sperando di sottrarla alla sua triste condizione: scrisse al pittore van Rappard: «Quando la terra non viene messa alla prova, non se ne può ottenere nulla. Lei, lei è stata messa alla prova; di conseguenza trovo più in lei che in tutto un insieme di donne che non siano state messe alla prova dalla vita».
Tutto questo non gli impedì tuttavia, dapprima di ammalarsi di gonorrea (e fu per questo ricoverato in ospedale dove, secondo le lettere a Théo, eseguì un ritratto, andato perduto, del medico che lo ebbe in cura), e poi di lasciare Sien dopo un anno, anche per la pressione della famiglia (che, appresa la volontà di Vincent di voler sposare una prostituta, tentò addirittura di farlo internare) e, nel settembre del 1883, andò a vivere nel nord dell'Olanda, nella Drenthe, ricca di torbiere, spostandosi spesso e ritraendo gli operai e i contadini della regione. Si recò anche a Nieuw-Amsterdam e a Zweeloo, sperando invano di conoscere il pittore Max Liebermann, che aveva abitato in quei dintorni; in compenso, la gita a Zweloo venne da lui immortalata con vari disegni e una vivissima lettera a Theo.
Alla fine del 1883 tornò a vivere con i genitori, che si erano trasferiti a Nuenen, dove il padre era pastore. Questi era intenzionato ad aiutare Vincent, ponendo fine alla sua vita errabonda, consentendogli di allestire un suo studio nella lavanderia del presbiterio; ma Vincent preferì prepararne uno in casa del sagrestano della parrocchia di Neunen, dove aveva la disponibilità di un paio di stanze. Lavorò intensamente e prese anche lezioni di pianoforte convinto, sulla scorta delle teorie di Wagner e dei simbolisti, dell'esistenza di una relazione tra musica e colore.
Della scuola impressionista, al fratello che gliene scriveva, rispondeva di non saperne nulla e di considerare veri e originali artisti Delacroix, Millet e Corot, «intorno ai quali i pittori di contadini e di paesaggi devono girare come intorno a un asse».
Non gli mancarono nuovi problemi: una vicina di casa, Margot Begemann, che accudì sua madre dopo una caduta e con la quale aveva avuto una relazione, tentò il suicidio, e il 26 marzo 1885 il padre morì improvvisamente d'infarto dopo un violento alterco con lui; inoltre fu accusato dal parroco cattolico di essere responsabile della gravidanza di una ragazza, Gordina De Groot, che aveva posato per lui. Nell'aprile del 1885 dipinse le due versioni de I mangiatori di patate, con il quale, scrisse a Théo,
I mangiatori di patate, olio su tela, 82x114 cm, 1885, Van Gogh Museum, Amsterdam« ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente, che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto che facesse pensare a un modo di vivere completamente diverso dal nostro, di noi esseri civili. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole »È qui espressa la radice etica della sua vocazione di pittore: e aggiunse:
« So benissimo che la tela ha dei difetti ma, rendendomi conto che le teste che dipingo adesso sono sempre più vigorose, oso affermare che I mangiatori di patate, insieme con le tele che dipingerò in avvenire, resteranno »L'opera (della quale Vincent eseguì anche una litografia) non piacque all'amico van Rappard, che non glielo nascose: ma Van Gogh, pur consapevole dei difetti dell'opera, la difese apertamente:
« Anche se seguito a produrre opere nelle quali si potranno ritrovare difetti, volendole considerare con occhio critico, esse avranno una vita propria e una ragione d'essere che supereranno i loro difetti, soprattutto per coloro che sapranno apprezzarne il carattere e lo spirito. Non mi lascerò incantare facilmente, come si crede, nonostante tutti i miei errori. So perfettamente quale scopo perseguo; e sono fermamente convinto di essere, nonostante tutto, sulla buona strada, quando voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo, per preoccuparmi di quello che gli altri dicono di me. Tuttavia, a volte questo mi avvelena la vita, e credo che molto probabilmente più d'uno rimpiangerà un giorno quello che ha detto di me e di avermi ricoperto di ostilità e di indifferenza. Io paro i colpi isolandomi, al punto che non vedo letteralmente più nessuno »Il reciproco risentimento portò alla fine della loro amicizia.
Anversa e Parigi (1886 - 1887)Un breve viaggio ad Amsterdam e l'importante visita al Rijksmuseum appena aperto gli permisero di riscoprire Frans Hals e Rembrandt, che riconobbe come gli ideali anticipatori della sua ricerca formale; poi, comprendendo di non poter rimanere in un paesino come Nuenen (il curato cattolico, a causa dell'episodio di Gordina de Groot, aveva proibito ai parrocchiani di posare per Vincent, che da allora era stato costretto a dipingere solo nature morte), nel novembre del 1885 si trasferì a pensione ad Anversa, frequentando assiduamente le chiese ed i musei della città dove scoprì le stampegiapponesi e ammirò il colorismo di Rubens:
Père Tanguy, olio su tela, 92x75 cm, 1887, Musée Rodin, Parigi« Rubens è superficiale, vuoto, ampolloso, e in conclusione, ampolloso come Giulio Romano o, peggio ancora, come i pittori della decadenza. Nonostante questo, mi entusiasma, proprio perché è il pittore che cerca di esprimere l'allegrezza, la serenità, il dolore, e rappresenta questi sentimenti in modo veritiero grazie alle sue combinazioni di colori »Un rigattiere di Nuenen acquistò da sua madre una serie di dipinti rimasti nello studio, vendendoli a 10 centesimi l'uno e bruciando quelli che non gli sembravano commerciabili.
Nel gennaio 1886, dopo aver frequentato un corso di disegno, si iscrisse ai corsi di pittura e disegno dell'École des Beaux-Arts ma senza alcun successo: il31 marzo venne respinto il suo lavoro presentato per accedere ai corsi d'insegnamento superiore, ma Van Gogh si era già trasferito a Parigi per seguire i corsi di pittura di Fernand Cormon, pittore accademico mediocre ma di successo, allo scopo di migliorare la sua tecnica e poter ritrarre dei modelli; in questo studio conobbe Émile Bernard, Louis Anquetin e Toulouse-Lautrec.
La capitale francese è il centro della cultura mondiale: «non c'è che Parigi: per quanto difficile possa essere qui la vita, e anche se divenisse peggiore e più dura, l'aria francese libera il cervello e fa bene, un mondo di bene». Il fratello Théo vi era trasferito da sette anni per dirigere, a Montmartre, una piccola galleria d'arte per conto di Boussod e Valadon, i successori dell'impresa Goupil. Egli lo ospitò nella sua casa, dove Vincent allestì lo studio e dipinse vedute della capitale, e gli presentò i maggiori pittori impressionisti. Inizialmente, la loro pittura lo interessò molto poco:
Il ristorante della Sirène ad Asnières, olio su tela, 51,5x64 cm, 1887, Musée d'Orsay, Parigi« Ad Anversa non sapevo nemmeno che cosa fossero gli impressionisti: adesso li ho veduti e pur non facendo ancora parte del loro clan ho molto ammirato alcuni dei loro quadri: un nudo di Degas, un paesaggio di Claude Monet [...] da quando ho veduto gli impressionisti, Le assicuro che né il Suo colore né il mio sono esattamente uguali alle loro teorie »e ribadirà ancora la sua lontananza da quella pittura due anni dopo alla sorella:
« quando si vedono per la prima volta si rimane delusi: le loro opere sono brutte, disordinate, mal dipinte e mal disegnate, sono povere di colore e addirittura spregevoli. Questa è la mia prima impressione quando sono venuto a Parigi »Per Vincent, l'arte moderna era rappresentata dalla scuola di Barbizon: oltre all'ormai classico Delacroix, egli ammirava Corot, Daumier, Troyon, Daubigny,Bastien Lepage e soprattutto Millet, che rappresentava per lui il vertice della pittura. L'importanza, che il suo iniziale dilettantismo e la sua inclinazione essenzialmente romantica, attribuiva al soggetto del dipinto e alla correttezza tecnica dell'esecuzione, gli faceva apprezzare perfino un Meissonier, lodatissimo a quel tempo e che pure era molto lontano dal suo spirito. Sapeva tuttavia che l'abilità tecnica non doveva essere il fine dell'arte ma solo il mezzo per poter esprimere quello che sentiva: «quando non posso farlo in modo soddisfacente, mi sforzo di correggermi. Ma se il mio linguaggio non piace, ciò mi lascia completamente indifferente».
Agostina Segatori, olio su tela, 55,5x46,5 cm, 1887, AmsterdamL'osservazione più puntuale delle opere degli impressionisti gli fece comprendere l'originalità e i valori racchiusi in quella nuova concezione della visione: anche se non aderì mai a quella scuola, perché egli intese sempre esprimere solo quello che aveva «dentro la mente e il cuore»,[12] guardò con favore a Guillaumin e aPissarro, e la sua tavolozza, fino a quel momento scura e terrosa, si schiarì proprio grazie all'influsso della pittura impressionista e alleggerì i propri soggetti, tralasciando i temi sociali per i paesaggi e le nature morte; sperimentò anche l'accostamento dei colori complementari cimentandosi, nell' Interno di ristorante, con la tecnica puntinista inventata da Seurat.
Con Bernard, suo grande amico all'epoca, andò spesso a dipingere ad Asnières, il sobborgo che sorgeva sulle rive della Senna; espose suoi dipinti nella bottega di colori di père Tanguy e, insieme con il gruppo del Petit boulevard di Anquetin, Bernard, Gauguin e Toulouse-Lautrec, nel café Tambourin, gestito dall'ex-modella diDegas, l'italiana Agostina Segatori, con la quale, per qualche mese, ebbe una relazione.
I rapporti con il fratello Théo non erano sempre facili: pur volendosi molto bene, entrambi soffrivano di disturbi nervosi. Il carattere, generoso ma imprevedibile e collerico di Vincent, non gli rendeva agevole mantenere durevoli rapporti di amicizia; egli stesso si rendeva conto di non riuscire a non esprimere direttamente i propri sentimenti e a non manifestare con violenza le proprie opinioni: «non riesco a starmene tranquillo, le mie idee fanno talmente parte di me stesso che, talora, mi sembra che mi prendano alla gola».
Il desiderio di conoscere il Mezzogiorno francese, «dove c'è più colore, più sole», con la sua luce e i suoi colori mediterranei così lontani dal cromatismo nordico, fu una buona occasione per porre fine a una convivenza divenuta difficile.
Arles (1888)La casa gialla, olio su tela, 76x94 cm, 1888, Van Gogh Museum, AmsterdamTrasferitosi ad Arles il 20 febbraio 1888, andò ad alloggiare prima in albergo e poi, in maggio, affittò un appartamento di quattro stanze di una casa dalle mura gialle che si affacciava sulla piazza Lamartine, ritratta in un quadro famoso.
Produsse una tela dopo l'altra, come temesse che la sua ispirazione, esaltata dalla novità del nuovo modello del mondo provenzale, potesse abbandonarlo. Si sentiva trascinato dall'emozione, che egli identificava con la sincerità dei suoi sentimenti verso la natura: le emozioni che provava di fronte alla natura provenzale potevano essere così forti da costringerlo a lavorare senza sosta, allo stesso modo per il quale non si possono fermare i pensieri, quando questi si sviluppano in una coerente sequenza nella propria mente. D'altra parte, affermava di mettere sulla tela non impressioni momentanee, ma immagini studiate a lungo e assimilate nel suo spirito attraverso una lunga e precedente osservazione del modello.
Del modello naturale confessava di non poter fare a meno: non si sentiva in grado di inventare un soggetto anzi, per quanto riguarda le forme, aveva «il terrore di allontanarsi dal verosimile» ma non aveva problemi a combinare diversamente i colori, accentuandone alcuni e semplificando altri. Scrisse alla sorella Wilhelmina:
« La natura di questo paesaggio meridionale non può essere resa con precisione con la tavolozza di un Mauve, per esempio, che appartiene al Nord e che è un maestro e rimane un maestro del grigio. La tavolozza di oggi è assolutamente colorata: celeste, arancione rosa, vermiglio, giallo vivissimo, verde chiaro, il rosso trasparente del vino, violetto. Ma, pur giocando con tutti questi colori, si finisce con il creare la calma, l'armonia »Al fratello confidò di aver abbandonato le tecniche utilizzate a Parigi, che risentivano dell'esperienza impressionista, per ribadire la visione romantica di Delacroix, non ritraendo fedelmente quello che gli sta di fronte ma ricercando il vigore dell'espressione attraverso il libero uso del colore. E all'amico pittore Bernard:
Albicocchi in fiore, olio su tela, 65,5x80,5 cm, 1888, Van Gogh Museum, Amsterdam« Non seguo alcun sistema di pennellatura: picchio sulla tela a colpi irregolari che lascio tali e quali. Impasti, pezzi di tela lasciati qua e là, angoli totalmente incompiuti, ripensamenti, brutalità: insomma, il risultato è, sono portato a crederlo, piuttosto inquietante e irritante, per non fare la felicità delle persone con idee preconcette in fatto di tecnica [...] gli spazi, limitati da contorni espressi o no, ma in ogni caso sentiti, li riempio di toni ugualmente semplificati, nel senso che tutto ciò che sarà suolo parteciperà di un unico tono violaceo, tutto il cielo avrà una tonalità azzurra, le verzure saranno o dei verdi blu o dei verdi gialli, esagerando di proposito, in questo caso, le qualità gialle o blu »Sperimentava tecniche diverse, ora mettendo in risalto le forme circondandole di contorni scuri e pennellando lo sfondo a strati, per creare una struttura a traliccio, ora ondulando i contorni per accentuare la struttura delle forme, ora punteggiando con brevi pennellate e ora invece spremendo il colore dal tubetto direttamente sulla tela. Altre volte si convinceva «di non disegnare più il quadro con il carboncino. Non serve a niente; se si vuole un buon disegno, si deve eseguire direttamente con il colore».
Andando incontro a un desiderio di Vincent, nell'estate del 1888 Théo van Gogh contattò Gauguin, offrendo di pagargli il soggiorno ad Arles con il fratello e garantendogli l'acquisto di dodici suoi quadri ogni anno per 150 franchi. Gauguin, dopo qualche esitazione, accettò, pensando di mettere da parte quanto gli era necessario per realizzare il suo desiderio di trasferirsi, di lì a un anno, in Martinica.
Il dramma di ArlesLa camera di van Gogh, olio su tela, 72x90cm, 1888, Van Gogh Museum, AmsterdamNell'attesa dell'arrivo di Gauguin, Van Gogh si preoccupò di arredare con qualche altro mobile l'appartamento e ornò con propri quadri la camera da letto. Gli scrisse:
« ho fatto, sempre come decorazione, un quadro della mia camera da letto, con i mobili in legno bianco, come sapete. Ebbene, mi ha molto divertito fare questo interno senza niente, di una semplicità alla Seurat; a tinte piatte, ma date grossolanamente senza sciogliere il colore; i muri lilla pallido; il pavimento di un rosso qua e là rotto e sfumato; le sedie e il letto giallo cromo; i guanciali e le lenzuola verde limone molto pallido; la coperta rosso sangue, il tavolo da toilette arancione; la catinella blu; la finestra verde. Avrei voluto esprimere il riposo assoluto attraverso tutti questi toni così diversi e tra i quali non vi è che una piccola nota di bianco nello specchio incorniciato di nero, per mettere anche là dentro la quarta coppia di complementari »Eppure, vi è chi ha visto nel dipinto di questa camera da letto il desiderio mancato di rappresentare il sonno e il riposo: «La tragedia della sua mente si avvicinava con segni di squilibrio e non gli permetteva né riposo né sonno. Nella camera abbandonata regna la calma, ma è una calma senza speranza e senza pietà. È una camera vuota, ma non per caso. Essa è abbandonata per sempre causa la partenza o la morte. I colori sono brillanti e puri, senza ombre, ma non suggeriscono gioia, anzi soltanto tristezza. È un riposo nato dalla disperazione. Così i colori rivelano l'animo dell'artista a sua insaputa. Non si rende conto di quel che sente, né nella sua lettera, né nella sua pittura, e perciò il suo sentimento, la sua accorata umiltà, è espresso spontaneamente».
Gauguin giunse ad Arles il 29 ottobre 1888. All'opposto di Van Gogh, rimase subito deluso di Arles, «il luogo più sporco del Mezzogiorno», e della Provenza: «Trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone»; il sogno di Van Gogh di fondare un'associazione di pittori che perseguissero un'arte nuova lo lasciava scettico; quanto a sé, egli contava soltanto di trasferirsi, non appena ne avesse avuto la possibilità, ai tropici; lo irritavano anche le abitudini disordinate di Vincent e la sua scarsa oculatezza nell'amministrare il denaro che avevano messo in comune.
Paul Gauguin: Ritratto di Van Gogh, dicembre 1888Invece Van Gogh manifestava un'aperta ammirazione per Gauguin, che considerava un artista superiore: riteneva che le proprie teorie artistiche fossero molto banali se confrontate con le sue e la propria resa pittorica sempre inferiore, persino grossolana, rispetto al modello naturale. Nelle sue memorie, Gauguin volle attribuirsi, generalmente a torto, il merito di aver corretto la tavolozza di Van Gogh:
« Vincent, quando sono arrivato ad Arles, militava nella scuola neoimpressionista, anzi vi sguazzava, cosa che lo faceva soffrire, non perché questa scuola, come tutte le scuole, sia cattiva, ma perché non corrispondeva alla sua natura così impaziente e così indipendente. Con tutti questi gialli sui violetti, tutto questo lavoro sui complementari - lavoro disordinato, d'altra parte - non riusciva a raggiungere che delle dolci armonie, incomplete e monotone; ci mancava lo squillo di tromba. Mi assunsi il compito di chiarirglielo, e mi fu facile, perché trovavo un terreno ricco e fecondo »Anche nella valutazione degli altri pittori, le loro opinioni divergevano: Van Gogh ammirava Daumier, Daubigny, Félix Ziem, Théodore Rousseau, «tutte persone che non posso vedere», e non apprezzava, contrariamente a Gauguin, Raffaello, Ingres, Degas: di Vincent, «cervello disordinato», Gauguin non riusciva a spiegarsi né i principi critici né quelle che considerava contraddizioni fra i principi e la pittura realizzata, trovando anche in queste divergenze la radice del prossimo, drammatico conflitto.
Vaso di girasoli, olio su tela, 92x73 cm, 1888, Neue Pinakothek, MünichNei primi giorni del dicembre 1888 Gauguin fece il ritratto di Van Gogh, rappresentandolo nell'atto di dipingere girasoli. Vincent commentò: «Sono certamente io, ma io divenuto pazzo». Nelle sue memorie Gauguin scrive che quella sera stessa, al caffè, i due pittori bevvero molto e improvvisamente Vincent scagliò il suo bicchiere contro la sua testa, che Gauguin riuscì appena a evitare: da quel momento Gauguin prese la decisione di partire da Arles. Seguirono giorni di tensione: anche una visita al museo di Montpellier per osservare le opere di Delacroix e di Courbet degenerò in litigio.
L'episodio più grave accadde il pomeriggio del 23 dicembre: Van Gogh - la ricostruzione del fatto è tuttavia controversa - avrebbe rincorso per strada Gauguin con un rasoio, rinunciando ad aggredirlo quando Gauguin si voltò, affrontandolo. Tornato a casa, mentre Gauguin andò ad alloggiare in albergo, preparandosi a lasciare Arles, Van Gogh, in preda ad allucinazioni, si tagliò metà dell'orecchio sinistro, lo incartò, lo consegnò a Rachele, una prostituta del bordello che i due pittori erano soliti frequentare, e tornò a dormire a casa sua. La mattina seguente venne fatto ricoverare dalla polizia in ospedale: ne uscì il 7 gennaio 1889. Tuttavia, due storici di Amburgo, Hans Kaufmann e Rita Wildegans sostengono nel libro "L'orecchio di Van Gogh, Paul Gauguin e il patto del silenzio" che fu Gauguin a mutilare l'amico dopo la lite, mentre l'esperto francese Pascal Bonafoux sostiene che questa teoria è clamorosamente errata.
Suoi buoni amici, in questi frangenti, furono il dottor Rey, il pastore Salles e il postino Roulin, del quale aveva fatto qualche mese prima un ritratto rimasto celebre: in questa occasione dipinse cinque versioni del ritratto della moglie Augustine, spedendone una a Gauguin, e dipinse anche sé stesso, con l'orecchio bendato. Alternava periodi di serenità, nei quali era in grado di valutare lucidamente e ironicamente tutto quello che gli era successo, a momenti di ricadute nella malattia: il 9 febbraio, dopo una crisi nella quale credette che qualcuno volesse avvelenarlo, fu nuovamente ricoverato in ospedale. Uscito, vi fu ricondotto in marzo dalla polizia a seguito di una petizione firmata il 26 febbraio da ottanta cittadini di Arles.
In ospedale, ricevette la visita di Signac, che ottenne il permesso di accompagnarlo nella sua casa gialla: «Per tutto il giorno mi parlò di pittura, diletteratura, di socialismo. La sera era un po' stanco. Tirava un maestrale spaventoso che forse lo aveva innervosito. Volle bere un litro di essenza ditrementina che si trovava sul tavolo in camera. Era ora di rientrare all'ospedale».
Augustine Roulin, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Kröller-Müller M., OtterloIl 17 aprile il fratello Théo si sposò. Vincent scrisse alla sorella, come rassegnato di dover ormai convivere per sempre con la sua malattia:
« Leggo poco per aver tempo di riflettere. È molto probabile che abbia ancora tanto da soffrire. E questo non mi va affatto, a dire il vero, perché in nessun modo desidero il ruolo di martire [...] Prendo tutti i giorni il rimedio che l'incomparabile Dickens prescriveva contro il suicidio. Consiste in un bicchiere di vino, un boccone di pane e di formaggio e una pipa di tabacco »Al fratello espresse la volontà di essere internato in una casa di cura:
« Mi sento decisamente incapace di ricominciare a riprendere un nuovo studio e di restarci solo, qui ad Arles [...] a te, a Salles, a Rey io chiedo di fare in modo che alla fine del mese o all'inizio di maggio io possa andare come pensionato internato [...] se l'alcool è stato certamente una delle più grandi cause della mia follia, allora è venuta molto lentamente e se ne andrà molto lentamente, se se ne andrà [...] Infine, bisogna prendere una posizione di fronte alle malattie del nostro tempo [...] io non avrei precisamente scelto la follia, se c'era da scegliere, ma una volta che le cose stanno così, non vi si può sfuggire. Tuttavia esisterà forse ancora la possibilità di lavorare con la pittura »L'8 maggio 1889 Van Gogh, accompagnato dal pastore Salles, entrò volontariamente nella Maison de santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico, a Saint-Rémy-de-Provence a venti chilometri da Arles.
A Saint-Rémy-de-Provence (1889)La diagnosi del direttore della clinica, il dottor Peyron, fu di epilessia. Oggi si ritiene che Van Gogh soffrisse di psicosi epilettica o "latente epilessia mentale": preceduti dallo "stadio crepuscolare", egli subiva attacchi di panico e allucinazioni ai quali reagiva con atti di violenza e tentativi di suicidio, seguendo alla fine uno stato di torpore. Nei lunghi intervalli della malattia era in grado di comportarsi in modo del tutto normale.
Cipressi, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Kröller-Müller M. OtterloNella clinica di Saint-Rémy non veniva praticata nessuna cura, a meno di definire cura i due bagni settimanali cui i pazienti erano sottoposti. Non se ne lamentava il pittore, che scriveva che «osservando la realtà della vita dei pazzi in questo serraglio, perdo il vago terrore, la paura della cosa e a poco a poco posso arrivare a considerare la pazzia una malattia come un'altra».
La finestra munita di sbarre guardava un giardino della clinica e, al di là di quello, i campi e, più lontano, le montagne delle Alpilles, l'ultima catena delle Alpi francesi. Aveva a disposizione per lavorare un'altra camera vuota, poteva anche andare a dipingere fuori dal manicomio, accompagnato da un sorvegliante, e si manteneva in contatto epistolare con il fratello che gli spediva libri e giornali.
« Osservo negli altri che anch'essi durante le crisi percepiscono suoni e voci strane come me e vedono le cose trasformate. E questo mitiga l'orrore che conservavo delle crisi che ho avuto [...] oso credere che una volta che si sa quello che si è, una volta che si ha coscienza del proprio stato e di poter essere soggetti a delle crisi, allora si può fare qualcosa per non essere sorpresi dall'angoscia e dal terrore [...] Quelli che sono in questo luogo da molti anni, a mio parere soffrono di un completo afflosciamento. Il mio lavoro mi preserverà in qualche misura da un tale pericolo »(Lettera a Théo van Gogh, 25 maggio 1889)A giugno cominciò a dipingere cipressi: «il cipresso è bello come legno e come proporzioni, è come un obelisco egiziano. E il verde è di una qualità così particolare. È una macchia nera in un paesaggio assolato, ma è una delle note più interessanti, la più difficile a essere dipinta che io conosca» e spedì al fratello un gruppo di tele, che gli vennero lodate.
Ad agosto subì un grave attacco, con allucinazioni e un tentativo di suicidio, dal quale si rimise a fatica a settembre, quando ricevette la notizia che due suoi dipinti, la Notte stellata e le Piante di iris, erano state esposte al Salon des Artistes Indépendants di Parigi.
Nella Notte stellata Van Gogh sembra allontanarsi decisamente dalla diretta osservazione della natura, per esprimere uno stato d'animo attraverso la libera fantasia, per liberare le proprie emozioni piuttosto che ricercare un aspetto nascosto del paesaggio. Ma in quella visione della luna, delle stelle e di fantasiose comete è «come se il cielo, passando attraverso i suoi gialli e i suoi azzurri, diventasse un irradiarsi di luci in moto per incutere un timor panico agli umani che sentono il mistero della natura». E l'intento perseguito nel Oliveto con nuvola bianca, viene spiegato da Vincent al fratello come risultato di ricerca stilistica:
Oliveto con nuvola bianca, olio su tela, 73x92 cm, 1889, Museum of Modern Art, New York« Gli ulivi con la nuvola bianca e lo sfondo di montagne, così come il sorgere della luna e l'effetto notturno, costituiscono un'esagerazione dal punto di vista dell'esecuzione; le linee sono incisive come quelle degli antichi legni. Là dove queste linee sono serrate e volute comincia il quadro, anche se può sembrare esagerato. È un po' quello che sentono Bernard e Gauguin. Non ricercano la forma esatta di un albero, ma vogliono assolutamente che sia definito se essa è tonda o quadrata, e io do loro ragione, perché sono esasperato dalla perfezione fotografica e banale di certuni [...] io mi sento spinto a ricercare, se vuoi, uno stile, ma intendendo con questo un disegno più maturo e più intenzionale [...] gli studi disegnati con grandi linee nodose come nell'ultimo invio non erano quello che dovevano essere, ma voglio convincerti che nei paesaggi si continuerà ad ammassare le cose mediante un disegno che cerca di esprimere il groviglio delle masse »A novembre ricevette l'invito a esporre sue tele all'associazione «Les XX», a Bruxelles: accettò, inviando sei quadri, due Girasoli, L'edera, Frutteto in fiore, Campo di grano all'alba e La vigna rossa.
Davanti al manicomio di Saint-Rémy, olio su tela, 58x45 cm, 1888, Musée d'Orsay, ParigiFu il pittore Bernard a invitare il critico d'arte Albert Aurier, redattore de «Le Moderniste» e ammiratore della letteratura simbolista, a interessarsi di Van Gogh: questi pubblicò allora sul «Mercure de France» del gennaio 1890 l'articolo Les Isolés: Vincent van Gogh in cui analizzò ed esaltò entusiasticamente la sua pittura. Definì inizialmente la sua personalità:
« La scelta dei soggetti, il rapporto costante delle annotazioni più ardite, lo studio coscienzioso dei caratteri, la continua ricerca del segno essenziale per ogni cosa, mille significativi particolari testimoniano irrefutabilmente la sua profonda e quasi infantile sincerità, il suo grande amore per la natura e per la verità, per la sua verità. Ciò che caratterizza tutta la sua opera è l'eccesso, l'eccesso della forza, l'eccesso della nervosità, la violenza dell'espressione. nella sua categorica affermazione della caratteristica delle cose, nella sua sovente temeraria semplificazione delle forme, nella sua insolenza nel guardare il sole in faccia, nella foga del suo disegno e del suo colore, fino ai più piccoli particolari della sua tecnica, si rivela una personalità potente, maschia, audace, molto brutale ma a volte ingenuamente delicata. Questo, inoltre, si intuisce anche dalle esagerazioni quasi orgiastiche presenti in tutta la sua pittura: è un esaltato, nemico della sobrietà borghese e delle minuzie, una specie di gigante ebbro [...] un genio folle e terribile, spesso sublime, qualche volta grottesco, quasi sempre svelante qualcosa di patologico »In seguito, Aurier rintracciò la sostanza della sua pittura nella poetica del simbolismo: Van Gogh percepirebbe
« le segrete caratteristiche delle linee e delle forme, ma più ancora dei colori, le sfumature invisibili alle menti sane, le magiche irradiazioni delle ombre [...] egli è quasi sempre un simbolista [...] perché sente la continua necessità di rivestire le sue idee di forme precise, consistenti, tangibili, di involucri materiali e carnali. In tutti i suoi quadri, sotto questo involucro fisico, sotto questa carne trasparente, sotto questa materia così materia, è nascosta, per gli spiriti che la sanno cogliere, un'Idea [...] »Notte stellata, olio su tela, 73x92 cm, 1889, Museum of Modern Art, New YorkPer quanto riguarda la sua tecnica,
« l'esecuzione è vigorosa, esaltata, brutale, intensa. Il suo disegno rabbioso, potente, spesso maldestro e un po' grossolano, esagera il carattere, lo semplifica, elimina abilmente i dettagli, attinge una sintesi magistrale, qualche volta il grande stile [...] è il solo pittore che concepisca il cromatismo degli oggetti con questa intensità, con questa qualità da metallo prezioso »Non credeva che Van Gogh potesse mai godere del successo che pure avrebbe meritato:
« quando anche la moda farà sì che i suoi quadri vengano comprati - cosa poco probabile - ai prezzi delle infamie di Meissonier, non penso che tanta sincerità possa suscitare la tardiva ammirazione del grosso pubblico. Vincent van Gogh è al contempo troppo semplice e troppo raffinato per lo spirito borghese contemporaneo. Sarà completamente compreso soltanto dai suoi fratelli, gli artisti »Per quanto Van Gogh potesse essere lusingato dalle lodi, giudicò l'articolo più un interessante pezzo di letteratura, piuttosto che un'analisi corretta della sua pittura. Al critico rispose direttamente che le valutazioni sul suo cromatismo gli sembravano più pertinenti se riferite a un pittore comeAdolphe Monticelli e difese anche la pittura di Meissonier, per il quale espresse «un'ammirazione senza limiti».
La vigna rossa, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Museo Puškin, MoscaRiguardo al suo presunto simbolismo, si espresse con il fratello respingendo ogni sua adesione a quella corrente: «mi è così cara la verità, mi è così caro cercare di fare il vero che credo di preferire rimanere un calzolaio piuttosto che un musicista con i colori».
In ogni caso, l'articolo suscitò interesse nell'ambiente artistico e durante la mostra dei XX a Bruxelles uno dei quadri inviati da Van Gogh, La vigne rouge, dipinto l'anno prima ad Arles, fu acquistato il 14 febbraio per 400 franchi dalla pittrice belga Anna Boch[36], sorella del pittore Eugène, conosciuto da Vincent e fondatore del gruppo dei XX: il primo e unico dipinto venduto in vita da Van Gogh.
Qualche giorno dopo si recò da solo ad Arles: al ritorno in clinica ebbe una grave e lunghissima crisi, dalla quale sembrava non potersi rimettere mai, tanto che fu lasciato a se stesso, libero di fare quel che voleva finché, ingeriti i colori, gli fu impedito di dipingere. Solo alla fine di aprile fu in grado di riprendersi e manifestò allora il suo desiderio di lasciare la clinica, vista la mancanza di benefici per la sua salute.
Vaso con iris, olio su tela, 73x92 cm, 1889, Metropolitan, N. Y.Si era intanto aperta a Parigi, il 19 marzo, una mostra dei pittori indipendenti, inaugurata dal Presidente della Repubblica - dimostrazione di quanto la moderna pittura impressionista, neo-impressionista e post-impressionista fosse ormai divenuta «rispettabile» - e Van Gogh vi partecipava con dieci tele. erano esposti dipinti di Seurat,Signac, Toulouse-Lautrec, il doganiere Rousseau, Guillaumin, Dubois-Pillet, Théo van Rysselberghe, Anquetin,Lucien Pissarro, Henry van de Velde. Monet sostenne che le opere di Van Gogh erano le cose migliori della mostra e anche Gauguin gli scrisse, congratulandosi: «con soggetti ispirati alla natura, là siete il solo che pensa»
Decisa ormai la partenza - «qui l'ambiente comincia a pesarmi più di quanto possa esprimere: ho pazientato più di un anno, ho bisogno d'aria, mi sento oppresso dalla noia e dal dolore» - i soggetti degli ultimi dipinti di Vincent a Saint-Rémy si alleggeriscono: sono rose e iris su un fondo uniforme, ora con un «effetto dolce e armonioso per la combinazione dei verdi, rosa, violetti», ora con «un effetto di complementari terribilmente disparati che si esaltano per la loro opposizione».
Il 16 maggio 1890 Vincent lasciò definitivamente Saint-Rémy per raggiungere il fratello a Parigi. Il direttore della clinica aveva rilasciato regolare autorizzazione e stilato l'ultima scheda. Rilevate le molte crisi avute dall'artista durante la sua permanenza, della durata ciascuna di alcune settimane - ma l'ultima di quasi due mesi - e i suoi tentativi di avvelenarsi con i colori e il petrolio, il dottor Peyron concludeva le sue osservazioni scrivendo: «Guarito».
Ad Auvers-sur-Oise (1890)Vincent arrivò a Parigi il 17 maggio e conobbe per la prima volta il nipotino e la signora Van Gogh, la quale trovò il cognato un uomo «forte, largo di spalle, con un colorito sano, un'espressione allegra e un'aria decisa». Passò tre giorni in casa del fratello, riesaminando i tanti suoi quadri che nel tempo gli aveva mandato, visitò il Salon, dove rimase colpito da un Puvis de Chavannes, e una mostra d'arte giapponese. Poi, come convenuto, il 21 maggio partì per stabilirsi a Auvers-sur-Oise, un villaggio a 30 chilometri da Parigi, dove risiedeva un medico amico di Théo, il dottor Paul-Ferdinand Gachet (1828-1909), che si sarebbe preso cura di lui.
Ritratto del dottor Gachet, olio su tela, 68×57 cm, 1890, Collezione privataVan Gogh prese alloggio nel caffè-locanda gestito dai coniugi Ravoux, nella piazza del Municipio. Appariva abbastanza soddisfatto della nuova sistemazione: «Auvers è di una bellezza severa, e la campagna è caratteristica e pittoresca».
Il sessantaduenne dottor Gachet, omeopata, darwinista, favorevole alla cremazione dei defunti - un'opinione scandalosa a quei tempi - repubblicano, socialista e libero pensatore, era un personaggio molto noto a Auvers dove abitava in un villino che dominava il paese. Laureatosi a Montpellier in medicina generale e con un particolare interesse per la psichiatria, aveva a lungo esercitato a Parigi, dove aveva conosciuto molti artisti, da Victor Hugo a Gustave Courbet, daManet a Renoir e a Cézanne, e la sua casa conservava parecchie tele di impressionisti, oltre a una notevole quantità di soprammobili e oggetti vari che Van Gogh chiamava «nere anticaglie».
Era anche disegnatore, pittore - partecipò a esposizioni firmandosi con lo pseudonimo di van Ryssel - e incisore dilettante: nella macchina della sua casa Cézanne, Pissarro e Guillaumin avevano eseguito alcune incisioni e fu su suo consiglio che Van Gogh eseguì la sua unica acquaforte, rappresentante lo stesso dottor Gachet. La sua competenza nelle cose artistiche, certe comuni preferenze e anche il suo garbo e la sua natura fondamentalmente malinconica fecero presa sul pittore, che frequentò spesso la sua casa, ritraendo due volte la figlia Marguerite e non mancando di fargli il ritratto, che replicò in una seconda versione:
« lavoro al suo ritratto; la testa, con un berretto bianco, molto bionda, molto chiara; anche la carnagione delle mani molto bianca, un frac blu e uno sfondo blu cobalto; appoggiato a una tavola rossa, sopra la quale c'è un libro giallo e una pianta di digitale dai fiori purpurei [...] Gachet è assolutamente fanatico di questo ritratto »In quegli stessi giorni Van Gogh confidò che il suo maggior interesse, nella pittura, era il ritratto, «il ritratto moderno»:
« Vorrei fare dei ritratti che tra un secolo, alla gente di quel tempo, sembrassero delle apparizioni. Non cerco di raggiungere questo risultato attraverso la somiglianza fotografica, ma attraverso un'espressione appassionata, impiegando come mezzo di espressione e di esaltazione del carattere la nostra conoscenza e il nostro gusto moderno del colore »In giugno Théo e la famiglia gli fecero visita e progettarono la possibilità di affittare a Auvers una casa dove Vincent avrebbe potuto vivere insieme a qualche altro artista. La visita fu ricambiata da Vincent il 6 luglio a Parigi, dove incontrò Toulouse-Lautrec e, per la prima volta, il critico d'arte Albert Aurier. In quei giorni Théo, oltre ad avere il figlio seriamente malato, era afflitto da problemi di lavoro: così, Vincent preferì ritornare presto a Auvers, non sopportando il clima di tensione che percepiva nella famiglia del fratello.
Campo di grano con volo di corvi, olio su tela, 50,3x103 cm, 1890, Van Gogh Museum, AmsterdamCominciava a temere una nuova crisi, e l'eventualità lo rendeva particolarmente nervoso: ebbe una violenta lite con Gachet per motivi banali - gli rimproverava di non aver fatto incorniciare una tela di Guillaumin che il dottore teneva in casa - e scrisse al fratello:
« Credo che non bisogna contare in alcun modo sul dottor Gachet. Mi sembra che sia più malato di me, o almeno quanto me. Ora, quando un cieco guida un altro cieco, non andranno a finire tutti e due nel fosso? Non so che dire. Certamente la mia ultima crisi, che fu terribile, fu in gran parte dovuta all'influenza di altri malati; e poi la prigione mi opprimeva e il dottor Peyron non ci faceva caso, lasciandomi vegetare in quell'ambiente profondamente corrotto »Dipinse il Paesaggio con cielo tempestoso, il Campo di grano con volo di corvi e Il giardino di Daubigny e scrisse:
« Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la mia tristezza, l'estrema solitudine »È certo che egli non faceva nulla per alleviare la sua solitudine nonostante ne fosse oppresso: non frequentò mai i non pochi pittori che soggiornavano a Auvers - uno di essi, l'olandese Anton Hirschig, alloggiava nel suo stesso albergo - anche se forse loro stessi, spaventati, lo evitavano, a causa della sua malattia. Per lo stesso Hirschig, egli «aveva un'espressione assolutamente folle, con gli occhi infuocati, che non osavo guardare»
Il suicidioLa sera del 27 luglio 1890, una domenica, dopo essere uscito per dipingere i suoi quadri come al solito nelle campagne che circondavano il paese, rientrò sofferente nella locanda e si rifugiò subito nella sua camera: al Ravoux che, non vedendolo presentarsi per il pranzo, salì per accertarsi della sua salute e lo trovò sdraiato sul letto, confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella al petto in un campo vicino.
Le tombe di Vincent e Théo van Gogh ad Auvers-sur-OiseAl dottor Gachet che, non potendo estrargli il proiettile, si limitò a fasciarlo ma gli esprimeva, per rincuorarlo, la sua speranza di salvarlo, rispose che egli aveva tentato coscientemente il suicidio e che, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto «riprovarci» - «volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca» - esclamò; rifiutò di dare spiegazioni del suo gesto ai gendarmi e, con il fratello Théo che, avvertito, era accorso la mattina dopo, Vincent passò tutto il 28 luglio, fumando la pipa e chiacchierando seduto sul letto: gli confidò ancora che la sua «tristezza non avrà mai fine». Sembra che le sue ultime parole fossero: «ora vorrei ritornare». Poco dopo ebbe un accesso di soffocamento, poi perse conoscenza e morì quella notte stessa, verso l'1,30 del 29 luglio.
In tasca gli trovarono una lettera non spedita a Théo, dove aveva scritto, tra l'altro: «Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità ... per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione ... ».
In quanto suicida, il parroco di Auvers si rifiutò di benedire la salma e il carro funebre fu fornito da un municipio vicino. Il 30 luglio la bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta di fiori gialli, fu calata in una fossa accanto al muro del piccolo cimitero di Auvers: assistevano Théo, che non smetteva di piangere, il dottor Gachet e i pochi amici giunti da Parigi: Lucien Pissarro, figlio di Camille, Emile Bernard, père Tanguy.
Pochi mesi dopo anche Théo van Gogh venne ricoverato in una clinica parigina per malattie mentali. Dopo un apparente miglioramento, si trasferì a Utrecht, dove morì il 25 gennaio 1891, a sei mesi di distanza dal fratello. Nel 1914 le sue spoglie, per volontà della vedova, furono trasferite ad Auvers e tumulate accanto a quelle di Vincent.
L'arte di Van GoghNon si può sostenere che la pittura sia stata una vocazione per Van Gogh, che infatti cominciò a dipingere dopo aver compiuto ventotto anni. A giudicare dagli anni della sua piena giovinezza, se egli ebbe una vocazione, fu quella di essere vicino ai miseri della terra, i braccianti, i contadini poveri e gli operai per i quali il lavoro rappresentava la maggiore sofferenza, quelli delle miniere. Figlio di un pastore protestante, cercò di unire la solidarietà sociale al messaggio evangelico, ma la Chiesa ufficiale sembrò sospettosa e forse spaventata dell'unione di quel duplice messaggio e gli negò il suo appoggio.
Un'altra contingenza familiare - l'attività del fratello Théo nell'ambito del commercio d'arte - lo indirizzò alla pittura, dove raccolse e fece proprio il messaggio, che non era soltanto artistico, ma ancora sociale ed etico, di Daumier, Courbet e Millet. La maggiore realizzazione di questo periodo fu I mangiatori di patate, nei quali, oltre a voler esprimere la propria simpatia verso gli umili, immedesimando in loro se stesso, volle soprattutto rappresentare - come scrisse - coloro che esprimono la dignità della propria umanità, vivendo pur miseramente ma del prodotto del loro lavoro, seppure, come è stato detto, egli qui non fu «ben servito né dal suo disegno pesante e materiale, né dal suo colore assai scuro e sporco, senza energia né vitalità». E tuttavia, ancora alla fine del 1887, da Parigi confidava che «le scene di contadini che mangiano patate» erano ancora le cose migliori che avesse mai fatto.
A Parigi Van Gogh comprese la necessità di concentrarsi non tanto su un soggetto determinato, ma su come dipingere: assimilò il modo impressionista ma senza accettarlo, perché egli aveva necessità di porsi direttamente di fronte alle cose, eliminando la mediazione degli effetti atmosferici e delle vibrazioni di luce. Il paesaggio meridionale della Provenza, con la certezza della sua visione immobile e assolata, serviva al meglio al suo scopo.
La pianura della Crau, olio su tela, 73 x 92 cm, 1888, Van Gogh Museum, AmsterdamCosì, nella Pianura della Crau, dipinta nel giugno del 1888 ad Arles, i colori si distendono in zone compatte, susseguendosi in profondità,
« risultano a un tempo più intensi e preziosi e più calmi, di quella calma che è propria della certezza alfine raggiunta. Se in primo piano vi sono ancora i tocchi impressionistici, più lontano le zone danno al motivo una consistenza e una chiarezza assoluta. I toni di giallo, dal limone all'arancio, appaiono interrotti da una zona di verde, si spingono all'orizzonte che è alto ma lontano, così da apparire infinito, contro il cielo di un verde azzurro tendente al grigio. L'arte di Van Gogh, che era estremamente soggettiva, si è fatta oggettiva, l'anima dell'artista si è distaccata dal suo prodotto, si è annullata nell'oggetto, l'ha reso stupendo per sé, un'immagine da adorare »Ci si chiede perché egli abbia abbandonato la polemica sociale, pur mantenendo costante il suo impegno morale: o forse, se egli abbia realmente abbandonato quella polemica e non l'abbia invece trasformata in una ancora più generale e radicale.
Da Arles, nell'agosto 1888, scriveva di essere tornato alle idee sostenute prima di trasferirsi a Parigi, ossia alla necessità di rendere con maggior forza la realtà attraverso un uso «arbitrario» del colore: così, il ritratto di un artista dovrà essere sì il più fedele possibile quanto ai lineamenti, ma per esprimere che quell'artista «sogna sogni grandiosi» e «lavora come l'usignolo canta, perché così è la sua natura», dovrà esagerare il biondo dei capelli, arrivando fino «al limone pallido», e come sfondo, anziché la banale parete di un appartamento, dipingere «l'infinito», il «turchino più intenso e più violento», in modo che «la testa bionda illuminata sullo sfondo turchino cupo» ottenga un effetto misterioso, «come una stella nel profondo azzurro».
In generale, egli si pone il problema di
Ritratto del postino Joseph Roulin, olio su tela, 69x63 cm, 1888, Museum of Fine Arts, Boston« dipingere degli uomini e delle donne con un non so che di eterno [...] mediante la vibrazione dei notri colori [...] il ritratto con dentro il pensiero, l'anima del modello [...] esprimere l'amore di due innamorati con il matrimonio di due colori complementari, la loro mescolanza e i loro contrasti, le vibrazioni misteriose dei loro contrasti [...] esprimere la speranza con qualche stella. L'ardore di un essere con un'irradiazione di sole calante [...] non è forse una cosa che esiste realmente? »Detto altrimenti, si potrebbe sostenere che van Gogh,
« ha capito che l'arte non deve essere uno strumento, ma un agente della trasformazione della società e, più a monte, dell'esperienza che l'uomo fa del mondo. Nel generale attivismo, l'arte deve inserirsi come una forza attiva, ma di segno contrario: lampante scoperta della verità contro la crescente tendenza all'alienazione e alla mistificazione. Anche la tecnica della pittura deve mutare, opporsi alla tecnica meccanica dell'industria come un fare suscitato dalle forze profonde dell'essere: il fare etico dell'uomo contro il fare razionale della macchina. Non si tratta più di rappresentare il mondo in modo superficiale o profondo: ogni segno di Van Gogh è un gesto con cui affronta la realtà per cogliere e far proprio il suo contenuto essenziale, la vita »La vita che esprime nel modo più immediato è certamente quella data da un modello vivente, quale che sia, come il signor Joseph Roulin, il postino di Arles. La realtà del suo modello è indubitabile: è un uomo biondo, dagli occhi azzurri e veste una divisa blu. Ma è nella possibilità del pittore costruire mediante il colore quell'esistenza che, da oggetto indipendente, viene rifatto, rivivendo così un'esistenza che è propria solo in quanto è stata ricreatadall'artista. Poiché i colori dominanti del dipinto sono il blu e il giallo, il tavolo diviene verde in quanto è la fusione dei due colori fondamentali, e il fondo bianco della parete, nel riflesso del blu della divisa, diviene celeste: «la materia pittorica acquista un'esistenza autonoma, esasperata, quasi insopportabile: il quadro non rappresenta, è».
Il ritratto di Joseph Roulin non ha nulla di «tragico» in sé: la tragedia sta nel vedere e vedersi
« con così lucida, perentoria evidenza. È tragico riconoscere il nostro limite nel limite delle cose e non potersene liberare. È tragico, di fronte alla realtà, non poterla contemplare, ma dover fare e fare con passione e con furia: lottare per impedire che la sua esistenza sopraffaccia e distrugga la nostra. L'arte diventa allora (avrebbe detto Pavese) il mestiere di vivere: ed è questo mestiere della vita che Van Gogh disperatamente contrappone al lavoro meccanico dell'industria, che non è vita. La polemica iniziale non è stata dunque abbandonata, ma portata a un livello più profondo, dove non è in gioco soltanto il contenuto, il soggetto, la tesi, ma la sostanza, l'esistenza dell'arte »
Marc Chagall (Vitebsk, 7 luglio 1887 – Saint-Paul de Vence, 28 marzo 1985) è stato un pittore russo naturalizzato francese.
Il suo vero nome era Moishe Segal (משה סג"ל - Segal è un cognome levita, acronimo di סגן לוי Segan Levi, "assistente levita"); il suo nome russo era Mark Zacharovič Šagalov, abbreviato in Šagal (Шагал; Chagall, secondo la trascrizione francese).
Marc Chagall nasce in una famiglia di cultura e religione ebraica, a Vitebsk, allora facente parte dell'Impero Russo, oggi in Bielorussia. È il maggiore di nove fratelli. Il padre, Khatskl (Zakhar) Chagall, era mercante di aringhe, sposato con Feige-Ite. Nelle opere dell'artista ritorna spesso il periodo dell'infanzia, felice nonostante la condizione di vita.
Iniziò a studiare pittura nel 1906 con il maestro Yehuda (Yudl) Pen, il solo pittore di Vitebsk, ma l'anno successivo si trasferì a San Pietroburgo. Qui frequentò le Belle Arti, con il maestro Nikolai Roerich, e conobbe artisti di ogni scuola e stile. Tra il 1908 e il 1910 studiò, invece, alla scuola Zvantseva con Leon Bakst. Questo fu un periodo difficile per Chagall: gli ebrei potevano infatti vivere a San Pietroburgo solo con un permesso apposito e per breve tempo venne imprigionato. Rimase nella città fino al 1910, anche se di tanto in tanto tornava nel paese natale, dove, nel 1909 incontrò la sua futura moglie, Bella Rosenfeld conosciuta ai tempi in cui si accompagnava con il maestro Nikolai Roerich.
Una volta divenuto noto come artista, lasciò San Pietroburgo per stabilirsi a Parigi, per essere più vicino alla comunità artistica di Montparnasse, dove entrò in amicizia con Guillaume Apollinaire, Robert Delaunay, e Fernand Léger. Nel 1914 ritornò a Vitebsk e l'anno successivo si sposò con la fidanzata Bella. La prima guerra mondiale scoppiò mentre Chagall era in Russia. Nel 1916, il pittore ebbe la sua prima figlia, Ida.
L'edificio della "Scuola dell'Arte del Popolo" dove era situato il Museo dell'Arte Moderna di VitebskNel 1917 prese parte attiva alla rivoluzione russa: il ministro sovietico della cultura lo nominò Commissario dell'arte nella regione di Vitebsk, dove fondò una scuola d'arte. Non ebbe tuttavia successo in politica nel governo soviet, e per di più entrò in contrasto con la sua stessa scuola (in cui militava El Lissitzky), che per motivi politici era conforme al suprematismo, assolutamente agli antipodi dello stile fresco ed "infantile" di Chagall. Nel 1920 si trasferì con la moglie aMosca e poi a Parigi nel 1923. In questo periodo pubblicò le sue memorie in Yiddish, scritte inizialmente in lingua russa e poi tradotte in lingua francese dalla moglie Bella; scrisse anche articoli e poesie pubblicati in diverse riviste e, postumi, raccolti in forma di libro. Divenne cittadino francese nel 1937.
Durante l'occupazione nazista in Francia, nella seconda guerra mondiale, con la deportazione degli Ebrei e l'Olocausto, gli Chagall fuggirono da Parigi. Si nascosero presso Villa Air-Bel a Marsiglia e il giornalista americano Varian Fry li aiutò nella fuga verso la Spagna ed il Portogallo. Nel 1941 la famiglia Chagall si stabilì negli Stati Uniti, dove sbarcò il 22 giugno, giorno dell'invasione nazista della Russia.
Il 2 settembre 1944, Bella, compagna amatissima, soggetto frequente nei suoi dipinti e compagna di vita, morì per malattia. Due anni dopo, Chagall fece ritorno in Europa e nel 1949 si stabilì in Provenza.
Uscì dalla depressione dovuta alla morte della moglie quando conobbe Virginia Haggard, dalla quale ebbe un figlio. Fu anche aiutato dalle commissioni che ricevette per lavori per il teatro.
In questi anni intensi, riscoprì colori liberi e brillanti: le sue opere sono dedicate all'amore e alla gioia di vivere, con figure morbide e sinuose. Si cimentò anche con la scultura, la ceramica e il vetro.
La tomba di Chagall nel cimitero di Saint-Paul de Vence.Chagall si risposò nel 1952 con Valentina (detta "Vavà") Brodsky: viaggiò diverse volte in Grecia, nel 1957 si recò in Israele, dove nel 1960 creò una vetrata per la sinagoga dell'ospedale Hadassah Ein Kerem e nel 1966 progettò un affresco per il nuovo parlamento. Viaggerà anche in Russia dove sarà accolto trionfalmente, ma si rifiuterà di tornare nella natìa Vitebsk.
Durante la guerra dei sei giorni l'ospedale venne bombardato e le vetrate di Chagall rischiarono di essere distrutte: solo una venne danneggiata, mentre le altre vennero messe in salvo. In seguito a questo, Chagall scrisse una lettera in cui affermava di essere preoccupato non per i suoi lavori ma per la salvezza di Israele.
Chagall morì a novantasette anni, a Saint-Paul de Vence, il 28 marzo 1985.
Chagall nei suoi lavori si ispirava alla vita popolare della Russia europea e ritrasse numerosi episodi biblici che rispecchiano la sua cultura giudaica. Negli anni sessanta e settanta, si occupò di progetti su larga scala che coinvolgevano aree pubbliche e importanti edifici religiosi e civili.
Le opere di Chagall si inseriscono in diverse categorie dell'arte contemporanea: prese parte ai movimenti parigini che precedettero la prima guerra mondiale e venne coinvolto nelle avanguardie. Tuttavia, rimase sempre ai margini di questi movimenti, compresi il cubismo e il fauvismo. Fu molto vicino alla Scuola di Parigi e ai suoi esponenti, comeAmedeo Modigliani.
I suoi dipinti sono ricchi di riferimenti alla sua infanzia, anche se spesso preferì tralasciare i periodi più difficili. Riuscì a comunicare felicità e ottimismo tramite la scelta di colori vivaci e brillanti. Il mondo di Chagall era colorato, come se fosse visto attraverso una vetrata di una chiesa.
Marc Chagall si è occupato anche di Mailart vedi volume "Il recupero della memoria" del milanese Eraldo Di Vita.
Durante il suo primo soggiorno a Parigi rimane colpito dalle ricerche sul colore dei Fauves e a quelle di Delaunay (definito il meno cubista dei cubisti). Il suo mondo poetico si nutre di una fantasia che richiama all'ingenuità infantile e alla fiaba, sempre profondamente radicata nella tradizione russa. La semplicità delle forme di Marc lo collega al primitivismo della pittura russa del primo Novecento e lo affianca alle esperienze della Goncharova e di Larionov. Con il tempo il colore di Chagall supera i contorni dei corpi espandendosi sulla tela. In tal modo i dipinti si compongono di macchie o fasce di colore, sul genere di altri artisti degli anni Cinquanta appartenenti alla corrente del tachisme (da tache, macchia). Il colore diventa così elemento libero ed indipendente dalla forma.
Il suo vero nome era Moishe Segal (משה סג"ל - Segal è un cognome levita, acronimo di סגן לוי Segan Levi, "assistente levita"); il suo nome russo era Mark Zacharovič Šagalov, abbreviato in Šagal (Шагал; Chagall, secondo la trascrizione francese).
Marc Chagall nasce in una famiglia di cultura e religione ebraica, a Vitebsk, allora facente parte dell'Impero Russo, oggi in Bielorussia. È il maggiore di nove fratelli. Il padre, Khatskl (Zakhar) Chagall, era mercante di aringhe, sposato con Feige-Ite. Nelle opere dell'artista ritorna spesso il periodo dell'infanzia, felice nonostante la condizione di vita.
Iniziò a studiare pittura nel 1906 con il maestro Yehuda (Yudl) Pen, il solo pittore di Vitebsk, ma l'anno successivo si trasferì a San Pietroburgo. Qui frequentò le Belle Arti, con il maestro Nikolai Roerich, e conobbe artisti di ogni scuola e stile. Tra il 1908 e il 1910 studiò, invece, alla scuola Zvantseva con Leon Bakst. Questo fu un periodo difficile per Chagall: gli ebrei potevano infatti vivere a San Pietroburgo solo con un permesso apposito e per breve tempo venne imprigionato. Rimase nella città fino al 1910, anche se di tanto in tanto tornava nel paese natale, dove, nel 1909 incontrò la sua futura moglie, Bella Rosenfeld conosciuta ai tempi in cui si accompagnava con il maestro Nikolai Roerich.
Una volta divenuto noto come artista, lasciò San Pietroburgo per stabilirsi a Parigi, per essere più vicino alla comunità artistica di Montparnasse, dove entrò in amicizia con Guillaume Apollinaire, Robert Delaunay, e Fernand Léger. Nel 1914 ritornò a Vitebsk e l'anno successivo si sposò con la fidanzata Bella. La prima guerra mondiale scoppiò mentre Chagall era in Russia. Nel 1916, il pittore ebbe la sua prima figlia, Ida.
L'edificio della "Scuola dell'Arte del Popolo" dove era situato il Museo dell'Arte Moderna di VitebskNel 1917 prese parte attiva alla rivoluzione russa: il ministro sovietico della cultura lo nominò Commissario dell'arte nella regione di Vitebsk, dove fondò una scuola d'arte. Non ebbe tuttavia successo in politica nel governo soviet, e per di più entrò in contrasto con la sua stessa scuola (in cui militava El Lissitzky), che per motivi politici era conforme al suprematismo, assolutamente agli antipodi dello stile fresco ed "infantile" di Chagall. Nel 1920 si trasferì con la moglie aMosca e poi a Parigi nel 1923. In questo periodo pubblicò le sue memorie in Yiddish, scritte inizialmente in lingua russa e poi tradotte in lingua francese dalla moglie Bella; scrisse anche articoli e poesie pubblicati in diverse riviste e, postumi, raccolti in forma di libro. Divenne cittadino francese nel 1937.
Durante l'occupazione nazista in Francia, nella seconda guerra mondiale, con la deportazione degli Ebrei e l'Olocausto, gli Chagall fuggirono da Parigi. Si nascosero presso Villa Air-Bel a Marsiglia e il giornalista americano Varian Fry li aiutò nella fuga verso la Spagna ed il Portogallo. Nel 1941 la famiglia Chagall si stabilì negli Stati Uniti, dove sbarcò il 22 giugno, giorno dell'invasione nazista della Russia.
Il 2 settembre 1944, Bella, compagna amatissima, soggetto frequente nei suoi dipinti e compagna di vita, morì per malattia. Due anni dopo, Chagall fece ritorno in Europa e nel 1949 si stabilì in Provenza.
Uscì dalla depressione dovuta alla morte della moglie quando conobbe Virginia Haggard, dalla quale ebbe un figlio. Fu anche aiutato dalle commissioni che ricevette per lavori per il teatro.
In questi anni intensi, riscoprì colori liberi e brillanti: le sue opere sono dedicate all'amore e alla gioia di vivere, con figure morbide e sinuose. Si cimentò anche con la scultura, la ceramica e il vetro.
La tomba di Chagall nel cimitero di Saint-Paul de Vence.Chagall si risposò nel 1952 con Valentina (detta "Vavà") Brodsky: viaggiò diverse volte in Grecia, nel 1957 si recò in Israele, dove nel 1960 creò una vetrata per la sinagoga dell'ospedale Hadassah Ein Kerem e nel 1966 progettò un affresco per il nuovo parlamento. Viaggerà anche in Russia dove sarà accolto trionfalmente, ma si rifiuterà di tornare nella natìa Vitebsk.
Durante la guerra dei sei giorni l'ospedale venne bombardato e le vetrate di Chagall rischiarono di essere distrutte: solo una venne danneggiata, mentre le altre vennero messe in salvo. In seguito a questo, Chagall scrisse una lettera in cui affermava di essere preoccupato non per i suoi lavori ma per la salvezza di Israele.
Chagall morì a novantasette anni, a Saint-Paul de Vence, il 28 marzo 1985.
Chagall nei suoi lavori si ispirava alla vita popolare della Russia europea e ritrasse numerosi episodi biblici che rispecchiano la sua cultura giudaica. Negli anni sessanta e settanta, si occupò di progetti su larga scala che coinvolgevano aree pubbliche e importanti edifici religiosi e civili.
Le opere di Chagall si inseriscono in diverse categorie dell'arte contemporanea: prese parte ai movimenti parigini che precedettero la prima guerra mondiale e venne coinvolto nelle avanguardie. Tuttavia, rimase sempre ai margini di questi movimenti, compresi il cubismo e il fauvismo. Fu molto vicino alla Scuola di Parigi e ai suoi esponenti, comeAmedeo Modigliani.
I suoi dipinti sono ricchi di riferimenti alla sua infanzia, anche se spesso preferì tralasciare i periodi più difficili. Riuscì a comunicare felicità e ottimismo tramite la scelta di colori vivaci e brillanti. Il mondo di Chagall era colorato, come se fosse visto attraverso una vetrata di una chiesa.
Marc Chagall si è occupato anche di Mailart vedi volume "Il recupero della memoria" del milanese Eraldo Di Vita.
Durante il suo primo soggiorno a Parigi rimane colpito dalle ricerche sul colore dei Fauves e a quelle di Delaunay (definito il meno cubista dei cubisti). Il suo mondo poetico si nutre di una fantasia che richiama all'ingenuità infantile e alla fiaba, sempre profondamente radicata nella tradizione russa. La semplicità delle forme di Marc lo collega al primitivismo della pittura russa del primo Novecento e lo affianca alle esperienze della Goncharova e di Larionov. Con il tempo il colore di Chagall supera i contorni dei corpi espandendosi sulla tela. In tal modo i dipinti si compongono di macchie o fasce di colore, sul genere di altri artisti degli anni Cinquanta appartenenti alla corrente del tachisme (da tache, macchia). Il colore diventa così elemento libero ed indipendente dalla forma.
Pablo Picasso (nome completo Pablo Diego José Francisco de Paula Juan Nepomuceno María de los Remedios Cipriano de la Santisima Trinidàd
Málaga, 25 ottobre 1881 – Mougins, 8 aprile 1973) è stato un pittore, scultore e litografo spagnolo di fama mondiale, considerato uno dei maestri della pittura del XX secolo. Usava dire agli amici di considerarsi «anche un poeta». Picasso è figlio di María Picasso López e di José Ruiz Blasco, anch'egli pittore ed insegnante.
~Pablo Picasso nacque nel 1881 a Málaga, in Spagna, primogenito di José Ruiz y Blasco e María Picasso y López che aveva ascendenze, in parte, italiane (il bisnonno materno, Tommaso, lasciò il comune ligure di Sori per stabilirsi a Malaga). Il padre di Picasso, José Ruiz, era un pittore specializzato nella rappresentazione naturalistica (soprattutto degli uccelli), in vita fu professore presso la locale scuola di belle arti e curatore di un museo. Il giovane Picasso manifestò sin da piccolo passione e talento per il disegno; secondo la madre la prima parola da lui pronunciata fu "piz", abbreviazione dello spagnolo lápiz, "matita". Fu il padre ad impartire a Picasso le basi formali dell'arte figurativa, quali il disegno e la pittura a olio. Picasso non completò i corsi superiori all'Accademia di San Fernando di Madrid, lasciando l'istituto entro il primo anno di studi.
Dopo aver trascorso a Málaga i primi dieci anni della sua vita e dopo aver abitato a La Coruña nel periodo tra i dieci e i quattordici anni, Picasso arriva dunque a Barcellona e vi resta fino all'età di ventiquattro anni. Da allora in poi, pur cambiando talvolta residenza ed effettuando anche diversi viaggi, egli si stabilisce in Francia dove resterà fino alla sua morte, avvenuta l'8 aprile del 1973. I suoi ricordi di Malaga sono ricordi d'infanzia in una città molto provinciale e in seno ad una famiglia della piccola borghesia, di condizioni modeste, molto chiusa nel proprio ambiente, formalista ed abitudinaria. Tuttavia, il fatto che il padre di Picasso fosse professore di disegno alla scuola di belle arti ebbe un influsso decisivo sulla formazione culturale dell'artista. Picasso, come ha ricordato in seguito, non avrebbe potuto partecipare ad un concorso di disegni per bambini, in quanto, già nella sua infanzia aveva già nozioni tecniche di un adulto, imparate si dal padre ma dovute anche all'innato dono prodigioso che egli fu ben presto in grado di sviluppare. Durante i quattro anni che passò a La Coruña, Picasso sviluppò queste nozioni tecniche ad un punto tale che suo padre, un giorno, notando la qualità eccezionale di un esercizio di disegno che egli stesso aveva proposto, spinto dall'emozione, decise di consegnare definitivamente al figlio la tavolozza e i pennelli, considerandolo fin da allora in grado di farne un uso molto migliore di quanto lui stesso ne avesse mai fatto. Il passaggio da una città andalusa piena di allegria e di luci ad una tetra città galiziana fu sicuramente, nella formazione della personalità del pittore, una esperienza importante.
La sua mente era già presa dalle preoccupazioni e dall'eccezionale potere creativo che dettero vita, in seguito, alla sua opera. Picasso, avendo raggiunto il massimo grado di perfezione nella tecnica appresa da suo padre, acquistò una grande fiducia in se stesso, al punto tale, di realizzare, non ancora quattordicenne, una mostra dei suoi lavori a la Coruna. Durante il periodo barcellonese, l'opera di Picasso ha subito una evoluzione di capitale importanza per capire le sue tappe successive e l'insieme in generale. Picasso arrivò a Barcellona con una solida formazione accademica, acquisita soprattutto durante il periodo di vicinanza al padre. Le sue doti eccezionali ne fecero subito un giovane pittore di grandi qualità, come lo dimostrano gli onori tributati al suo quadro "Scienza e Carità". Ma il contatto con gli artisti barcellonesi lo portò a riflettere sulle possibilità che la libertà creatrice. allora fermamente proclamata, poteva offrirgli. Era più che naturale che Picasso, tenuto conto delle realizzazioni dei suoi nuovi amici e delle opere che richiamavano all'impressionismo e al postimpressionismo, cominciasse a liberarsi dalla rigidità accademica per lanciarsi in creazioni di ben più ampio respiro e di maggior forza espressiva.
Agli inizi si avverte un certo schematismo delle forme e l'uso di un cromatismo più audace e più libero. Non si può dire che Picasso sia passato attraverso una tappa impressionistica; in realtà, se adottò la tecnica divisionista non fu affatto con lo scopo di dissociare la luce e di fissare gli elementi fuggenti della natura. Egli usa forme semplici e colori puri soprattutto per ottenere una maggiore intensità espressiva.
Picasso a ParigiQuesta sezione sugli argomenti arte e biografie è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti dei progetti di riferimento.Modigliani, Picasso e Salmon davanti al Café de la Rotonde di Parigi nel 1916Nei primi anni del XX secolo, a Parigi, il giovane Picasso iniziò una lunga relazione affettiva con Fernande Olivier. È lei che appare ritratta in molti dei quadri del "periodo rosa". Fu lasciata per Marcelle Humbert, che Picasso chiamava Eva, inserendo dichiarazioni d'amore per lei in molti dei suoi quadricubisti. Picasso frequentava i quartieri di Montmartre e Montparnasse, annoverando tra le sue amicizie André Breton, Guillaume Apollinaire e la scrittrice Gertrude Stein.
La seconda guerra mondialeDurante la seconda guerra mondiale Picasso rimase nella Parigi occupata dai tedeschi. Il regime nazista disapprovava il suo stile, pertanto non gli fu permesso di esporre. Riuscì inoltre ad evitare il divieto di realizzare sculture in bronzo, imposto dai nazisti per economizzare il metallo. Uno dei più famosi lavori di Picasso è "Guernica", tela dedicata al bombardamento della cittadina basca di Guernica ad opera dei tedeschi, in cui sono rappresentate la disumanità, la brutalità e la disperazione della guerra. Quello di Guernica fu infatti il primo bombardamento aereo contro una popolazione civile inerme che la storia ricordi. La tela ha un forte significato simbolico: il toro rappresenta la furia della guerra, il cavallo il popolo ferito, i caduti a terra la sconfitta dell'umanità. Deformando i volti dei personaggi, le espressioni, riesce a denunciare in modo sconvolgente la guerra.
Le donne di PicassoSposato due volte, ha avuto cinque figli da quattro donne diverse e numerose relazioni extra-coniugali. Nel 1918 sposò a Parigi Ol'ga Chochlova, una ballerina della troupe di Sergej Djagilev, per cui Picasso stava curando il balletto Parade. La Chochlova introdusse Picasso nell'alta società parigina degli anni venti. I due ebbero un figlio, Paulo, che successivamente si dedicherà alle corse motociclistiche. L'insistenza della moglie sul corretto apparire in società collideva però con lo spirito bohémien di Picasso creando tra i due motivo di continua tensione. Nel 1927 Picasso conobbe la diciassettenne Marie-Thérèse Walter e iniziò una relazione con lei. Il matrimonio con Ol'ga Chochlova si concluse in una separazione anziché in un divorzio perché secondo le leggi francesi un divorzio avrebbe significato dividere equamente le proprietà della coppia tra i due coniugi, cosa che Picasso non volle fare. I due rimasero legalmente sposati fino alla morte della Chochlova, avvenuta nel 1955. Dalla relazione con Marie-Thérèse Walter nacque la figlia Maia. Marie-Thérèse visse nella vana speranza di unirsi in matrimonio all'artista e si suiciderà impiccandosi quattro anni dopo la sua morte. Anche la fotografa Dora Marr fu amica e amante di Picasso. I due si frequentarono spesso tra la fine degli anni trenta e l'inizio degli anni quaranta; fu lei a documentare la realizzazione di Guernica.
Dopo la liberazione di Parigi nel 1944, Picasso divenne il compagno di una giovane studentessa d'arte, Françoise Gilot. Insieme ebbero due figli, Claude e Paloma. Fu lei, unica tra le tante, a lasciare l'artista, stanca delle sue infedeltà. Dopo l'abbandono di Françoise Gilot, Picasso passò un brutto periodo; molti dei disegni a china di quella stagione riprendono il tema di un nano vecchio e brutto come contrappunto ad una giovane ragazza, mostrando come Picasso, ormai sulla settantina, inizi a percepire sé stesso come grottesco e poco attraente. Tra quei disegni vi sono quelli dedicati aGeneviève Laporte, che lei metterà successivamente all'asta nel giugno del 2005. Non rimase tuttavia solo per molto tempo; conobbe Jacqueline Roque alla Madoura Pottery, mentre lavorava alla produzione di ceramiche da lui decorate. I due rimasero insieme fino alla morte dell'artista, sposandosi nel 1961.Picasso ebbe anche alcuni flirts con nobildonne italiane, quali la Principessa della dolce vita.Giovanna Pignatelli Aragona Cortes alla quale regalo' un quadro della Promenade des Anglais a Nizza, in occasione della nascita di suo figlio Olivier Doria il 7/12/1957. Oltre alla sua produzione artistica, Picasso ebbe anche una carriera cinematografica, apparendo in alcuni film sempre nel ruolo di sé stesso. Tra i "cameo", la sua apparizione nel Testamento di Orfeo di Jean Cocteau. Collaborò inoltre alla realizzazione del film "Il mistero Picasso" di Henri-Georges Clouzot.
La mortePablo Picasso morì per un attacco di cuore l'8 aprile 1973 a Mougins, in Provenza, all'età di 91 anni, dove aveva fatto erigere la propria residenza. Alcune biografie accennano al fatto che Picasso prima di morire abbia pronunciato il nome del suo presunto rivale: Amedeo Modigliani[senza fonte]. Fu sepolto nel parco del castello di Vauvenargues.
PacifismoUn francobollo dedicato a Picasso dell'URSSPicasso rimase neutrale durante la guerra civile spagnola, la prima e la seconda guerra mondiale, rifiutandosi di prendere posizione per qualsiasi parte. Non si espresse mai al riguardo, ma incoraggiò l'idea che ciò fosse dovuto alle sue convinzioni pacifiste, di cui i suoi contemporanei non furono però completamente convinti. In quanto cittadino spagnolo residente in Francia, non fu obbligato a combattere contro l'invasore tedesco nelle due guerre mondiali; durante la guerra civile spagnola gli spagnoli residenti all'estero non erano obbligati ad arruolarsi, avrebbe potuto far ritorno in Spagna aggregandosi sia al fronte falangismo che a quello repubblicano. Attraverso la sua arte espresse tuttavia condanna e rabbia contro Franco e il franchismo.
Rimase inoltre distante dal movimento indipendentista catalano, benché durante gli anni giovanili esprimesse un generale supporto e amicizia a numerosi dei suoi attivisti. Nessun movimento politico sembrava coinvolgerlo in grande misura, ciò nonostante si iscrisse al partito comunista francese. Dopo la seconda guerra mondiale Picasso si reiscrisse al partito comunista francese e partecipò ad una conferenza internazionale per la pace in Polonia. Le critiche del partito rivolte ad un suo ritratto diStalin ritenuto insufficientemente realistico raffreddarono tuttavia il suo impegno politico, anche se rimase membro del partito fino alla sua morte. Nel 1949, recandosi a Roma per l'assemblea della presidenza mondiale del movimento dei partigiani della pace, in una celebre colazione ritrasse con uno schizzo a matita il volto "splendente" di Rita Pisano (anch'ella presente in quell'occasione, e componente di spicco del comitato dei pacifisti), e lo intitolò La jeune fille de Calabre. L'opera è oggi conservata nella collezione privata che apparteneva a Carlo Muscetta. Durante i suoi soggiorni romani frequenta una trattoria, quella dei Fratelli Menghi, intorno a cui si ritrovano tutti gli artisti di Roma, pittori, poeti, ma anche attori, registi e sceneggiatori.
L'arte di PicassoScultura in Daley square (Chicago, USA)Il lavoro di Picasso è spesso categorizzato in "periodi". Benché i nomi dei periodi più recenti siano oggetto di discussione, quelli più comunemente accettati sono il "periodo blu" (1901-1904), il "periodo rosa" (1905-1907), il "periodo africano" (1908-1909), il "cubismo analitico" (1909-1912), il "cubismo sintetico" (1912-1919).
Prima del 1901L'apprendistato di Picasso col padre iniziò prima del 1890; i suoi progressi possono essere osservati nella collezione dei primi lavori conservati presso il Museo Picasso di Barcellona, che raccoglie una delle più complete raccolte dei primi lavori dell'artista. Il carattere infantile dei suoi quadri scompare tra il 1893 e il 1894, anno in cui si può considerare un pittore agli inizi. Il realismo accademico dei lavori della metà degli anni '90 è ben visibile nella "Prima comunione" (1896), dove viene ritratta la sorella Lola. Nello stesso anno dipinge il "Ritratto di zia Pepa", considerato "senza dubbio uno dei più grandi dell'intera storia della pittura spagnola". Nel 1897 il suo realismo viene influenzato dalsimbolismo in una serie di paesaggi dipinti con innaturali toni del violetto e del verde. Seguì quello che alcuni chiamano il "periodo modernista" (1899-1900). La conoscenza delle opere di Rossetti, Steinlen, Toulouse-Lautrec ed Edvard Munch, unita all'ammirazione per i suoi vecchi maestri preferiti come El Greco, portò Picasso ad elaborare nei lavori di questo periodo una visione personale del modernismo.
Il periodo bluIl periodo blu 1901-1904 consiste di dipinti cupi realizzati nei toni del blu e del turchese, solo occasionalmente ravvivati da altri colori. Si tratta, come dice il nome stesso, di una pittura monocromatica, giocata sui colori freddi, dove i soggetti umani rappresentati, appartenenti alla categoria degli emarginati e degli sfruttati, sembrano sospesi in un'atmosfera malinconica che simboleggia l’esigenza di interiorizzazione: l’umanità rappresentata è quella deprimente di creature vinte e sole che appaiono oppresse e senza speranza. Tra le opere di questo periodo ricordiamo: Donna con lo scialletto blu (Collezione privata, 1902), Celestina (Collezione privata, 1903), La stiratrice (New York, Guggenheim Museum, 1904). L'inizio del periodo è incerto tra la primavera del 1901 in Spagna o l'autunno dello stesso anno a Parigi.
Nel suo austero uso del colore e dei soggetti (prostitute e mendicanti sono soggetti frequenti) Picasso fu influenzato da un viaggio attraverso la Spagna e dal suicidio dell'amico Carlos Casagemas. Dall'inizio del 1901 dipinse diversi ritratti postumi di Casagemas, culminanti nel triste dipinto allegorico La Vita (1903) oggi conservato presso il museo d'arte di Cleveland. Lo stesso umore pervade la nota acquaforte Il pasto frugale (1904) che ritrae un uomo cieco e una donna, entrambi emaciati, seduti ad una tavola praticamente vuota. Anche la cecità è un tema ricorrente nei lavori di Picasso di questo periodo, rappresentata inoltre nella tela Il pasto del cieco (1903, conservato presso il Metropolitan Museum of Art) e nel ritratto Celestina (1903). Altri soggetti frequenti sono gli artisti, gli acrobati e gli arlecchini. Questi ultimi, dipinti nel tipico costume a quadri, diventano un simbolo personale dell'artista.
Il periodo rosaIl "periodo rosa" (1905-1907) è caratterizzato da uno stile più allegro, ravvivato dai colori rosa e arancione e ancora contraddistinto dagli arlecchini. In questo periodo Picasso frequenta Fernande Olivier e molti di questi lavori risentono positivamente della relazione tra i due, oltre che del contatto con la pittura francese. Nel Periodo Rosa giace un rinnovato interesse per lo spazio ed il volume, ma nel quale la malinconia, per quanto temperata, è sempre presente. I soggetti privilegiati sono arlecchini, saltimbanchi, acrobati ambulanti o comunque soggetti legati al mondo del circo quasi tutti i quadri rappresentano le persone del circo dietro le quinte, ma mai sul palco per far comprendere a tutti quanto sia difficile praticare quello stile di vita che è in netta contrapposizione con lo scopo del loro mestiere: far ridere.
Tra le opere di questo periodo ricordiamo: Famiglia d'acrobati (1905, Goteborg, Konstmuseum), Donna col ventaglio (1905, New York, Collezione Whitney), Due fratelli (1906, Basilea, Museo di belle arti). Oltretutto Picasso pubblica dei dipinti "spinti" ad esempio donne mestruate o scene sessuali.
Il periodo africanoPicasso ebbe un periodo in cui la sua produzione artistica risultò influenzata dall'arte africana (1907-1909); se ne considera l'inizio il quadro Les demoiselles d'Avignon, in cui due figure sulla destra del dipinto sono ispirate da oggetti d'artigianato africano. Le idee sviluppate in questo periodo portano quindi al successivo periodo cubista. Nell'opera di Les Demoiselles d'Avignon Picasso, attraverso l'abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità, abolisce lo spazio: si simboleggia perciò una presa di coscienza riguardo ad una terza dimensione non visiva, ma mentale. Nella realizzazione delle figure centrali Picasso ricorda la scultura iberica, mentre nelle due figure di destra è evidente l'influsso delle maschere rituali dell'Africa.
Soprattutto la figura in basso, con gli occhi ad altezza diversa, la torsione esagerata del naso e del corpo, evidenzia come Picasso sia giunto alla simultaneità delle immagini, cioè la presenza contemporanea di più punti di vista.La struttura dell’opera è data da un incastro geometricamente architettato di piani taglienti, ribaltati sulla superficie della tela quasi a voler rovesciare gli oggetti verso lo spettatore, coinvolto direttamente dalla fissità dello sguardo delle figure femminili e dallo scivolamento della natura morta quasi fuori del quadro. L’immagine si compone di una serie di piani solidi che si intersecano secondo angolazioni diverse. Ogni angolazione è il frutto di una visione parziale per cui lo spazio si satura di materia annullando la separazione tra un corpo ed un altro.
Il cubismo analitico (1910-1912)Il periodo analitico inizia nel 1910 in corrispondenza al fatto che ora il paesaggio occupa soltanto un ruolo limitato nelle opere di Picasso e di Braque. Chiusi nei loro atelier, i due artisti producono numerose nature morte a cui si aggiungono alcune figure e ritratti. L’immagine del visibile si frantuma, e i visi e gli oggetti (chitarre, bicchieri, violini, boccali...), a loro volta, si frammentano in una miriade di faccette. L’adozione di una molteplicità di punti di vista permette così di raggiungere una visione totale e di creare un oggetto estetico estremamente strutturato. Questa nuova concezione dello spazio pittorico e della forma favorisce la monocromia e lo studio della luce. Poiché si caratterizzano attraverso una ricerca comune, risulta ora quasi impossibile distinguere con precisione le opere di Picasso da quelle di Braque, opere in cui, fra l’altro, i toni sono volontariamente ridotti alla gamma degli ocra e dei grigi.
Il cubismo sintetico (1912-1914)Dopo il cubismo analitico (che porta a una sorta di “esplosione” del visibile) si presenta alla ribalta del movimento cubista il periodo sintetico. La “sintesi” (quale è realizzata soprattutto da Picasso, Braque, Gris...) inizia con l'introduzione progressiva di lettere stampate, di listelli di legno e di altri oggetti in tromp-l’oeil 1, attraverso collages2 e papiers collés3, che si presentano come autentici brani di realtà integrati al quadro. Léger, da parte sua, che non fu mai analitico nel senso proprio della parola, gioca sugli incastri e i contrasti di forme introducendo nel cubismo i tre colori primari costituiti dal rosso, dal giallo e dal blu.
Classicismo e surrealismoNel periodo successivo alla prima guerra mondiale Picasso produsse lavori di stile neoclassico. Questo "ritorno all'ordine" è evidente nel lavoro di numerosi artisti europei negli anni venti; tra essi Derain,De Chirico, Severini, gli artisti dei movimenti del neooggettivismo in Germania e di Valori Plastici e Novecento in Italia. I dipinti e i disegni di Picasso di questo periodo richiamano volontariamente all'opera dei grandi maestri del Rinascimento italiano, in particolare a Raffaello, ed alla pittura neoclassica di Ingres. Durante gli anni trenta il minotauro sostituisce l'arlecchino come motivo ricorrente e compare anche in "Guernica". L'uso del minotauro è parte da ascriversi all'influenza del surrealismo. Considerato da molti il più famoso lavoro di Picasso, Guernica è dedicato al bombardamento tedesco della cittadina basca di Guernica ed è rimasto esposto al Museum of Modern Art di New York fino al 1981, anno in cui è stato restituito alla Spagna. Esposto inizialmente al Casón del Buen Retiro e poi al museo del Prado, nel 1992 è stato trasferito al Reina Sofía in occasione della sua apertura.
Gli ultimi lavoriLa scultura donata alla città di Chicago nel 1967Picasso fu uno dei 250 scultori che esposero alla "Terza mostra Internazionale di Scultura" tenutasi presso il museo delle arti di Filadelfia nell'estate del 1949. Negli anni cinquanta il suo stile cambia nuovamente; l'artista si dedica alla reinterpretazione dell'arte dei maestri producendo una serie di lavori ispirati al dipinto Las Meninas diVelázquez e dipinti ispirati all'arte di Goya, Nicolas Poussin, Manet, Courbet e Delacroix. Gli venne commissionato un bozzetto per una scultura di oltre quindici metri da installare a Chicago. Accolse l'invito con entusiasmo realizzando una scultura (Il Picasso di Chicago) dall'aspetto ambiguo e controverso.
Non è chiaro cosa la figura rappresenti, può sembrare un uccello, un cavallo, una donna o una figura completamente astratta. La scultura fu svelata nel 1967 e Picasso la donò alla città rifiutandone il pagamento di 100.000 dollari. Gli ultimi lavori di Picasso furono una miscela di stili. Dedicando tutte le sue energie al lavoro, Picasso divenne ancora più audace, colorato ed espressivo producendo dal 1968 al 1971 tantissimi dipinti e centinaia di acqueforti. All'epoca questi lavori furono pesantemente accolti dalla critica, salvo essere riscoperti dopo la morte dell'artista e valutati come opere di neoespressionismo in anticipo sui tempi. Picasso si è occupato anche di Mail art.[
Genio o malattia?Secondo il neuroscienziato olandese Michel Ferrari, all'origine dei quadri cubisti di Picasso ci sarebbe stata l'emicrania: volti tagliati in verticale e particolari del volto sproporzionati sono infatti il frutto delle visioni "spezzate" dei malati di aura visiva, una patologia di cui Picasso probabilmente soffriva, come anche De Chirico. Picasso era inoltre dislessico.
LascitiIl museo Picasso di ParigiAl momento della sua morte, molti dei suoi dipinti erano di sua proprietà, dato che Picasso tenne fuori dal mercato le opere che non aveva bisogno di vendere. Oltre a ciò, Picasso possedeva una considerevole collezione di opere di artisti suoi contemporanei come ad esempio Henri Matisse, con cui scambiò lavori. Non lasciando un testamento, le tasse di successione vennero pagate allo stato francese attingendo alle sue opere e alla sua collezione. Questi lavori andarono a formare il nucleo dell'immensa collezione del Musée Picasso di Parigi. Nel 2003 i parenti di Picasso inaugurarono un museo dedicato ai suoi lavori nella sua città natale in Spagna, il Museo Picasso Málaga.
Il Museo Picasso di Barcellona ospita molti dei primi lavori di Picasso, creati durante la sua vita in Spagna, incluse alcune opere raramente esibite in cui si rivela la sua solida preparazione classica. Il museo inoltre possiede alcuni studi di figura fatti sotto la guida del padre nonché la collezione di Jaime Sabartés, amico di Picasso dai suoi giorni di Barcellona che fu per molti anni anche suo segretario personale. Nel filmSurviving Picasso (1996) l'artista viene raccontato attraverso l'esperienza personale di Françoise Gilot. L'artista è interpretato da Anthony Hopkins.Aneddoti e curiositàQuesta sezione contiene «curiosità» da riorganizzare.Contribuisci a migliorarla integrando se possibile le informazioni nel corpo della voce e rimuovendo quelle inappropriate.CURIOSITA'
Málaga, 25 ottobre 1881 – Mougins, 8 aprile 1973) è stato un pittore, scultore e litografo spagnolo di fama mondiale, considerato uno dei maestri della pittura del XX secolo. Usava dire agli amici di considerarsi «anche un poeta». Picasso è figlio di María Picasso López e di José Ruiz Blasco, anch'egli pittore ed insegnante.
~Pablo Picasso nacque nel 1881 a Málaga, in Spagna, primogenito di José Ruiz y Blasco e María Picasso y López che aveva ascendenze, in parte, italiane (il bisnonno materno, Tommaso, lasciò il comune ligure di Sori per stabilirsi a Malaga). Il padre di Picasso, José Ruiz, era un pittore specializzato nella rappresentazione naturalistica (soprattutto degli uccelli), in vita fu professore presso la locale scuola di belle arti e curatore di un museo. Il giovane Picasso manifestò sin da piccolo passione e talento per il disegno; secondo la madre la prima parola da lui pronunciata fu "piz", abbreviazione dello spagnolo lápiz, "matita". Fu il padre ad impartire a Picasso le basi formali dell'arte figurativa, quali il disegno e la pittura a olio. Picasso non completò i corsi superiori all'Accademia di San Fernando di Madrid, lasciando l'istituto entro il primo anno di studi.
Dopo aver trascorso a Málaga i primi dieci anni della sua vita e dopo aver abitato a La Coruña nel periodo tra i dieci e i quattordici anni, Picasso arriva dunque a Barcellona e vi resta fino all'età di ventiquattro anni. Da allora in poi, pur cambiando talvolta residenza ed effettuando anche diversi viaggi, egli si stabilisce in Francia dove resterà fino alla sua morte, avvenuta l'8 aprile del 1973. I suoi ricordi di Malaga sono ricordi d'infanzia in una città molto provinciale e in seno ad una famiglia della piccola borghesia, di condizioni modeste, molto chiusa nel proprio ambiente, formalista ed abitudinaria. Tuttavia, il fatto che il padre di Picasso fosse professore di disegno alla scuola di belle arti ebbe un influsso decisivo sulla formazione culturale dell'artista. Picasso, come ha ricordato in seguito, non avrebbe potuto partecipare ad un concorso di disegni per bambini, in quanto, già nella sua infanzia aveva già nozioni tecniche di un adulto, imparate si dal padre ma dovute anche all'innato dono prodigioso che egli fu ben presto in grado di sviluppare. Durante i quattro anni che passò a La Coruña, Picasso sviluppò queste nozioni tecniche ad un punto tale che suo padre, un giorno, notando la qualità eccezionale di un esercizio di disegno che egli stesso aveva proposto, spinto dall'emozione, decise di consegnare definitivamente al figlio la tavolozza e i pennelli, considerandolo fin da allora in grado di farne un uso molto migliore di quanto lui stesso ne avesse mai fatto. Il passaggio da una città andalusa piena di allegria e di luci ad una tetra città galiziana fu sicuramente, nella formazione della personalità del pittore, una esperienza importante.
La sua mente era già presa dalle preoccupazioni e dall'eccezionale potere creativo che dettero vita, in seguito, alla sua opera. Picasso, avendo raggiunto il massimo grado di perfezione nella tecnica appresa da suo padre, acquistò una grande fiducia in se stesso, al punto tale, di realizzare, non ancora quattordicenne, una mostra dei suoi lavori a la Coruna. Durante il periodo barcellonese, l'opera di Picasso ha subito una evoluzione di capitale importanza per capire le sue tappe successive e l'insieme in generale. Picasso arrivò a Barcellona con una solida formazione accademica, acquisita soprattutto durante il periodo di vicinanza al padre. Le sue doti eccezionali ne fecero subito un giovane pittore di grandi qualità, come lo dimostrano gli onori tributati al suo quadro "Scienza e Carità". Ma il contatto con gli artisti barcellonesi lo portò a riflettere sulle possibilità che la libertà creatrice. allora fermamente proclamata, poteva offrirgli. Era più che naturale che Picasso, tenuto conto delle realizzazioni dei suoi nuovi amici e delle opere che richiamavano all'impressionismo e al postimpressionismo, cominciasse a liberarsi dalla rigidità accademica per lanciarsi in creazioni di ben più ampio respiro e di maggior forza espressiva.
Agli inizi si avverte un certo schematismo delle forme e l'uso di un cromatismo più audace e più libero. Non si può dire che Picasso sia passato attraverso una tappa impressionistica; in realtà, se adottò la tecnica divisionista non fu affatto con lo scopo di dissociare la luce e di fissare gli elementi fuggenti della natura. Egli usa forme semplici e colori puri soprattutto per ottenere una maggiore intensità espressiva.
Picasso a ParigiQuesta sezione sugli argomenti arte e biografie è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti dei progetti di riferimento.Modigliani, Picasso e Salmon davanti al Café de la Rotonde di Parigi nel 1916Nei primi anni del XX secolo, a Parigi, il giovane Picasso iniziò una lunga relazione affettiva con Fernande Olivier. È lei che appare ritratta in molti dei quadri del "periodo rosa". Fu lasciata per Marcelle Humbert, che Picasso chiamava Eva, inserendo dichiarazioni d'amore per lei in molti dei suoi quadricubisti. Picasso frequentava i quartieri di Montmartre e Montparnasse, annoverando tra le sue amicizie André Breton, Guillaume Apollinaire e la scrittrice Gertrude Stein.
La seconda guerra mondialeDurante la seconda guerra mondiale Picasso rimase nella Parigi occupata dai tedeschi. Il regime nazista disapprovava il suo stile, pertanto non gli fu permesso di esporre. Riuscì inoltre ad evitare il divieto di realizzare sculture in bronzo, imposto dai nazisti per economizzare il metallo. Uno dei più famosi lavori di Picasso è "Guernica", tela dedicata al bombardamento della cittadina basca di Guernica ad opera dei tedeschi, in cui sono rappresentate la disumanità, la brutalità e la disperazione della guerra. Quello di Guernica fu infatti il primo bombardamento aereo contro una popolazione civile inerme che la storia ricordi. La tela ha un forte significato simbolico: il toro rappresenta la furia della guerra, il cavallo il popolo ferito, i caduti a terra la sconfitta dell'umanità. Deformando i volti dei personaggi, le espressioni, riesce a denunciare in modo sconvolgente la guerra.
Le donne di PicassoSposato due volte, ha avuto cinque figli da quattro donne diverse e numerose relazioni extra-coniugali. Nel 1918 sposò a Parigi Ol'ga Chochlova, una ballerina della troupe di Sergej Djagilev, per cui Picasso stava curando il balletto Parade. La Chochlova introdusse Picasso nell'alta società parigina degli anni venti. I due ebbero un figlio, Paulo, che successivamente si dedicherà alle corse motociclistiche. L'insistenza della moglie sul corretto apparire in società collideva però con lo spirito bohémien di Picasso creando tra i due motivo di continua tensione. Nel 1927 Picasso conobbe la diciassettenne Marie-Thérèse Walter e iniziò una relazione con lei. Il matrimonio con Ol'ga Chochlova si concluse in una separazione anziché in un divorzio perché secondo le leggi francesi un divorzio avrebbe significato dividere equamente le proprietà della coppia tra i due coniugi, cosa che Picasso non volle fare. I due rimasero legalmente sposati fino alla morte della Chochlova, avvenuta nel 1955. Dalla relazione con Marie-Thérèse Walter nacque la figlia Maia. Marie-Thérèse visse nella vana speranza di unirsi in matrimonio all'artista e si suiciderà impiccandosi quattro anni dopo la sua morte. Anche la fotografa Dora Marr fu amica e amante di Picasso. I due si frequentarono spesso tra la fine degli anni trenta e l'inizio degli anni quaranta; fu lei a documentare la realizzazione di Guernica.
Dopo la liberazione di Parigi nel 1944, Picasso divenne il compagno di una giovane studentessa d'arte, Françoise Gilot. Insieme ebbero due figli, Claude e Paloma. Fu lei, unica tra le tante, a lasciare l'artista, stanca delle sue infedeltà. Dopo l'abbandono di Françoise Gilot, Picasso passò un brutto periodo; molti dei disegni a china di quella stagione riprendono il tema di un nano vecchio e brutto come contrappunto ad una giovane ragazza, mostrando come Picasso, ormai sulla settantina, inizi a percepire sé stesso come grottesco e poco attraente. Tra quei disegni vi sono quelli dedicati aGeneviève Laporte, che lei metterà successivamente all'asta nel giugno del 2005. Non rimase tuttavia solo per molto tempo; conobbe Jacqueline Roque alla Madoura Pottery, mentre lavorava alla produzione di ceramiche da lui decorate. I due rimasero insieme fino alla morte dell'artista, sposandosi nel 1961.Picasso ebbe anche alcuni flirts con nobildonne italiane, quali la Principessa della dolce vita.Giovanna Pignatelli Aragona Cortes alla quale regalo' un quadro della Promenade des Anglais a Nizza, in occasione della nascita di suo figlio Olivier Doria il 7/12/1957. Oltre alla sua produzione artistica, Picasso ebbe anche una carriera cinematografica, apparendo in alcuni film sempre nel ruolo di sé stesso. Tra i "cameo", la sua apparizione nel Testamento di Orfeo di Jean Cocteau. Collaborò inoltre alla realizzazione del film "Il mistero Picasso" di Henri-Georges Clouzot.
La mortePablo Picasso morì per un attacco di cuore l'8 aprile 1973 a Mougins, in Provenza, all'età di 91 anni, dove aveva fatto erigere la propria residenza. Alcune biografie accennano al fatto che Picasso prima di morire abbia pronunciato il nome del suo presunto rivale: Amedeo Modigliani[senza fonte]. Fu sepolto nel parco del castello di Vauvenargues.
PacifismoUn francobollo dedicato a Picasso dell'URSSPicasso rimase neutrale durante la guerra civile spagnola, la prima e la seconda guerra mondiale, rifiutandosi di prendere posizione per qualsiasi parte. Non si espresse mai al riguardo, ma incoraggiò l'idea che ciò fosse dovuto alle sue convinzioni pacifiste, di cui i suoi contemporanei non furono però completamente convinti. In quanto cittadino spagnolo residente in Francia, non fu obbligato a combattere contro l'invasore tedesco nelle due guerre mondiali; durante la guerra civile spagnola gli spagnoli residenti all'estero non erano obbligati ad arruolarsi, avrebbe potuto far ritorno in Spagna aggregandosi sia al fronte falangismo che a quello repubblicano. Attraverso la sua arte espresse tuttavia condanna e rabbia contro Franco e il franchismo.
Rimase inoltre distante dal movimento indipendentista catalano, benché durante gli anni giovanili esprimesse un generale supporto e amicizia a numerosi dei suoi attivisti. Nessun movimento politico sembrava coinvolgerlo in grande misura, ciò nonostante si iscrisse al partito comunista francese. Dopo la seconda guerra mondiale Picasso si reiscrisse al partito comunista francese e partecipò ad una conferenza internazionale per la pace in Polonia. Le critiche del partito rivolte ad un suo ritratto diStalin ritenuto insufficientemente realistico raffreddarono tuttavia il suo impegno politico, anche se rimase membro del partito fino alla sua morte. Nel 1949, recandosi a Roma per l'assemblea della presidenza mondiale del movimento dei partigiani della pace, in una celebre colazione ritrasse con uno schizzo a matita il volto "splendente" di Rita Pisano (anch'ella presente in quell'occasione, e componente di spicco del comitato dei pacifisti), e lo intitolò La jeune fille de Calabre. L'opera è oggi conservata nella collezione privata che apparteneva a Carlo Muscetta. Durante i suoi soggiorni romani frequenta una trattoria, quella dei Fratelli Menghi, intorno a cui si ritrovano tutti gli artisti di Roma, pittori, poeti, ma anche attori, registi e sceneggiatori.
L'arte di PicassoScultura in Daley square (Chicago, USA)Il lavoro di Picasso è spesso categorizzato in "periodi". Benché i nomi dei periodi più recenti siano oggetto di discussione, quelli più comunemente accettati sono il "periodo blu" (1901-1904), il "periodo rosa" (1905-1907), il "periodo africano" (1908-1909), il "cubismo analitico" (1909-1912), il "cubismo sintetico" (1912-1919).
Prima del 1901L'apprendistato di Picasso col padre iniziò prima del 1890; i suoi progressi possono essere osservati nella collezione dei primi lavori conservati presso il Museo Picasso di Barcellona, che raccoglie una delle più complete raccolte dei primi lavori dell'artista. Il carattere infantile dei suoi quadri scompare tra il 1893 e il 1894, anno in cui si può considerare un pittore agli inizi. Il realismo accademico dei lavori della metà degli anni '90 è ben visibile nella "Prima comunione" (1896), dove viene ritratta la sorella Lola. Nello stesso anno dipinge il "Ritratto di zia Pepa", considerato "senza dubbio uno dei più grandi dell'intera storia della pittura spagnola". Nel 1897 il suo realismo viene influenzato dalsimbolismo in una serie di paesaggi dipinti con innaturali toni del violetto e del verde. Seguì quello che alcuni chiamano il "periodo modernista" (1899-1900). La conoscenza delle opere di Rossetti, Steinlen, Toulouse-Lautrec ed Edvard Munch, unita all'ammirazione per i suoi vecchi maestri preferiti come El Greco, portò Picasso ad elaborare nei lavori di questo periodo una visione personale del modernismo.
Il periodo bluIl periodo blu 1901-1904 consiste di dipinti cupi realizzati nei toni del blu e del turchese, solo occasionalmente ravvivati da altri colori. Si tratta, come dice il nome stesso, di una pittura monocromatica, giocata sui colori freddi, dove i soggetti umani rappresentati, appartenenti alla categoria degli emarginati e degli sfruttati, sembrano sospesi in un'atmosfera malinconica che simboleggia l’esigenza di interiorizzazione: l’umanità rappresentata è quella deprimente di creature vinte e sole che appaiono oppresse e senza speranza. Tra le opere di questo periodo ricordiamo: Donna con lo scialletto blu (Collezione privata, 1902), Celestina (Collezione privata, 1903), La stiratrice (New York, Guggenheim Museum, 1904). L'inizio del periodo è incerto tra la primavera del 1901 in Spagna o l'autunno dello stesso anno a Parigi.
Nel suo austero uso del colore e dei soggetti (prostitute e mendicanti sono soggetti frequenti) Picasso fu influenzato da un viaggio attraverso la Spagna e dal suicidio dell'amico Carlos Casagemas. Dall'inizio del 1901 dipinse diversi ritratti postumi di Casagemas, culminanti nel triste dipinto allegorico La Vita (1903) oggi conservato presso il museo d'arte di Cleveland. Lo stesso umore pervade la nota acquaforte Il pasto frugale (1904) che ritrae un uomo cieco e una donna, entrambi emaciati, seduti ad una tavola praticamente vuota. Anche la cecità è un tema ricorrente nei lavori di Picasso di questo periodo, rappresentata inoltre nella tela Il pasto del cieco (1903, conservato presso il Metropolitan Museum of Art) e nel ritratto Celestina (1903). Altri soggetti frequenti sono gli artisti, gli acrobati e gli arlecchini. Questi ultimi, dipinti nel tipico costume a quadri, diventano un simbolo personale dell'artista.
Il periodo rosaIl "periodo rosa" (1905-1907) è caratterizzato da uno stile più allegro, ravvivato dai colori rosa e arancione e ancora contraddistinto dagli arlecchini. In questo periodo Picasso frequenta Fernande Olivier e molti di questi lavori risentono positivamente della relazione tra i due, oltre che del contatto con la pittura francese. Nel Periodo Rosa giace un rinnovato interesse per lo spazio ed il volume, ma nel quale la malinconia, per quanto temperata, è sempre presente. I soggetti privilegiati sono arlecchini, saltimbanchi, acrobati ambulanti o comunque soggetti legati al mondo del circo quasi tutti i quadri rappresentano le persone del circo dietro le quinte, ma mai sul palco per far comprendere a tutti quanto sia difficile praticare quello stile di vita che è in netta contrapposizione con lo scopo del loro mestiere: far ridere.
Tra le opere di questo periodo ricordiamo: Famiglia d'acrobati (1905, Goteborg, Konstmuseum), Donna col ventaglio (1905, New York, Collezione Whitney), Due fratelli (1906, Basilea, Museo di belle arti). Oltretutto Picasso pubblica dei dipinti "spinti" ad esempio donne mestruate o scene sessuali.
Il periodo africanoPicasso ebbe un periodo in cui la sua produzione artistica risultò influenzata dall'arte africana (1907-1909); se ne considera l'inizio il quadro Les demoiselles d'Avignon, in cui due figure sulla destra del dipinto sono ispirate da oggetti d'artigianato africano. Le idee sviluppate in questo periodo portano quindi al successivo periodo cubista. Nell'opera di Les Demoiselles d'Avignon Picasso, attraverso l'abolizione di qualsiasi prospettiva o profondità, abolisce lo spazio: si simboleggia perciò una presa di coscienza riguardo ad una terza dimensione non visiva, ma mentale. Nella realizzazione delle figure centrali Picasso ricorda la scultura iberica, mentre nelle due figure di destra è evidente l'influsso delle maschere rituali dell'Africa.
Soprattutto la figura in basso, con gli occhi ad altezza diversa, la torsione esagerata del naso e del corpo, evidenzia come Picasso sia giunto alla simultaneità delle immagini, cioè la presenza contemporanea di più punti di vista.La struttura dell’opera è data da un incastro geometricamente architettato di piani taglienti, ribaltati sulla superficie della tela quasi a voler rovesciare gli oggetti verso lo spettatore, coinvolto direttamente dalla fissità dello sguardo delle figure femminili e dallo scivolamento della natura morta quasi fuori del quadro. L’immagine si compone di una serie di piani solidi che si intersecano secondo angolazioni diverse. Ogni angolazione è il frutto di una visione parziale per cui lo spazio si satura di materia annullando la separazione tra un corpo ed un altro.
Il cubismo analitico (1910-1912)Il periodo analitico inizia nel 1910 in corrispondenza al fatto che ora il paesaggio occupa soltanto un ruolo limitato nelle opere di Picasso e di Braque. Chiusi nei loro atelier, i due artisti producono numerose nature morte a cui si aggiungono alcune figure e ritratti. L’immagine del visibile si frantuma, e i visi e gli oggetti (chitarre, bicchieri, violini, boccali...), a loro volta, si frammentano in una miriade di faccette. L’adozione di una molteplicità di punti di vista permette così di raggiungere una visione totale e di creare un oggetto estetico estremamente strutturato. Questa nuova concezione dello spazio pittorico e della forma favorisce la monocromia e lo studio della luce. Poiché si caratterizzano attraverso una ricerca comune, risulta ora quasi impossibile distinguere con precisione le opere di Picasso da quelle di Braque, opere in cui, fra l’altro, i toni sono volontariamente ridotti alla gamma degli ocra e dei grigi.
Il cubismo sintetico (1912-1914)Dopo il cubismo analitico (che porta a una sorta di “esplosione” del visibile) si presenta alla ribalta del movimento cubista il periodo sintetico. La “sintesi” (quale è realizzata soprattutto da Picasso, Braque, Gris...) inizia con l'introduzione progressiva di lettere stampate, di listelli di legno e di altri oggetti in tromp-l’oeil 1, attraverso collages2 e papiers collés3, che si presentano come autentici brani di realtà integrati al quadro. Léger, da parte sua, che non fu mai analitico nel senso proprio della parola, gioca sugli incastri e i contrasti di forme introducendo nel cubismo i tre colori primari costituiti dal rosso, dal giallo e dal blu.
Classicismo e surrealismoNel periodo successivo alla prima guerra mondiale Picasso produsse lavori di stile neoclassico. Questo "ritorno all'ordine" è evidente nel lavoro di numerosi artisti europei negli anni venti; tra essi Derain,De Chirico, Severini, gli artisti dei movimenti del neooggettivismo in Germania e di Valori Plastici e Novecento in Italia. I dipinti e i disegni di Picasso di questo periodo richiamano volontariamente all'opera dei grandi maestri del Rinascimento italiano, in particolare a Raffaello, ed alla pittura neoclassica di Ingres. Durante gli anni trenta il minotauro sostituisce l'arlecchino come motivo ricorrente e compare anche in "Guernica". L'uso del minotauro è parte da ascriversi all'influenza del surrealismo. Considerato da molti il più famoso lavoro di Picasso, Guernica è dedicato al bombardamento tedesco della cittadina basca di Guernica ed è rimasto esposto al Museum of Modern Art di New York fino al 1981, anno in cui è stato restituito alla Spagna. Esposto inizialmente al Casón del Buen Retiro e poi al museo del Prado, nel 1992 è stato trasferito al Reina Sofía in occasione della sua apertura.
Gli ultimi lavoriLa scultura donata alla città di Chicago nel 1967Picasso fu uno dei 250 scultori che esposero alla "Terza mostra Internazionale di Scultura" tenutasi presso il museo delle arti di Filadelfia nell'estate del 1949. Negli anni cinquanta il suo stile cambia nuovamente; l'artista si dedica alla reinterpretazione dell'arte dei maestri producendo una serie di lavori ispirati al dipinto Las Meninas diVelázquez e dipinti ispirati all'arte di Goya, Nicolas Poussin, Manet, Courbet e Delacroix. Gli venne commissionato un bozzetto per una scultura di oltre quindici metri da installare a Chicago. Accolse l'invito con entusiasmo realizzando una scultura (Il Picasso di Chicago) dall'aspetto ambiguo e controverso.
Non è chiaro cosa la figura rappresenti, può sembrare un uccello, un cavallo, una donna o una figura completamente astratta. La scultura fu svelata nel 1967 e Picasso la donò alla città rifiutandone il pagamento di 100.000 dollari. Gli ultimi lavori di Picasso furono una miscela di stili. Dedicando tutte le sue energie al lavoro, Picasso divenne ancora più audace, colorato ed espressivo producendo dal 1968 al 1971 tantissimi dipinti e centinaia di acqueforti. All'epoca questi lavori furono pesantemente accolti dalla critica, salvo essere riscoperti dopo la morte dell'artista e valutati come opere di neoespressionismo in anticipo sui tempi. Picasso si è occupato anche di Mail art.[
Genio o malattia?Secondo il neuroscienziato olandese Michel Ferrari, all'origine dei quadri cubisti di Picasso ci sarebbe stata l'emicrania: volti tagliati in verticale e particolari del volto sproporzionati sono infatti il frutto delle visioni "spezzate" dei malati di aura visiva, una patologia di cui Picasso probabilmente soffriva, come anche De Chirico. Picasso era inoltre dislessico.
LascitiIl museo Picasso di ParigiAl momento della sua morte, molti dei suoi dipinti erano di sua proprietà, dato che Picasso tenne fuori dal mercato le opere che non aveva bisogno di vendere. Oltre a ciò, Picasso possedeva una considerevole collezione di opere di artisti suoi contemporanei come ad esempio Henri Matisse, con cui scambiò lavori. Non lasciando un testamento, le tasse di successione vennero pagate allo stato francese attingendo alle sue opere e alla sua collezione. Questi lavori andarono a formare il nucleo dell'immensa collezione del Musée Picasso di Parigi. Nel 2003 i parenti di Picasso inaugurarono un museo dedicato ai suoi lavori nella sua città natale in Spagna, il Museo Picasso Málaga.
Il Museo Picasso di Barcellona ospita molti dei primi lavori di Picasso, creati durante la sua vita in Spagna, incluse alcune opere raramente esibite in cui si rivela la sua solida preparazione classica. Il museo inoltre possiede alcuni studi di figura fatti sotto la guida del padre nonché la collezione di Jaime Sabartés, amico di Picasso dai suoi giorni di Barcellona che fu per molti anni anche suo segretario personale. Nel filmSurviving Picasso (1996) l'artista viene raccontato attraverso l'esperienza personale di Françoise Gilot. L'artista è interpretato da Anthony Hopkins.Aneddoti e curiositàQuesta sezione contiene «curiosità» da riorganizzare.Contribuisci a migliorarla integrando se possibile le informazioni nel corpo della voce e rimuovendo quelle inappropriate.CURIOSITA'
- Un uomo criticò Picasso perché creava arte poco realistica. Picasso gli chiese: «Mi può mostrare dell'arte realistica?» L'uomo gli mostrò la foto della moglie. Picasso osservò: «Quindi sua moglie è alta cinque centimetri, bidimensionale, senza braccia né gambe, e senza colori tranne sfumature di grigio?»[10]
- Il Guinness dei Primati cita Picasso come il pittore più prolifico.
- I soldati del caudillo Francisco Franco domandarono a Picasso vedendo il quadro di Guernica "Avete fatto voi questo orrore, maestro?" e lui rispose "No, è opera vostra."
- Ad un uomo che lo accusava di dipingere come un bambino di cinque anni il pittore rispose: "Magari potessi!"
- Picasso era mancino.
- In seguito al furto della Gioconda, (1911) dal Museo del Louvre, per il suo carattere estroso ed irregolare fu sospettato di essere l'autore del furto; fu indagato ed interrogato per questo, risultando poi del tutto estraneo ai fatti.
- Accusato di plagio rispose: «I mediocri imitano, i grandi copiano».
- Era peniafobico, vale a dire che aveva il timore di diventare povero.
- In un'intervista il cantante Miguel Bosé ha raccontato, «andavamo spesso nella sua villa vicino a Cannes, la Californie. E lui ci faceva disegnare. Metteva i pennelli in mano a me e a mia sorella Lucia, e ci chiedeva di aiutarlo, usando solo due colori: il verde e il rosa. [...] Una volta, a New York, in casa di amici, davanti a un Picasso, ho riconosciuto un angolo rosa che avevo fatto io».
Paul Gauguin (Parigi, 7 giugno 1848 – Hiva Oa, 8 maggio 1903) è stato un pittore francese.
Formatosi, dalla metà degli anni Settanta, nell'Impressionismo, si distaccò dall'espressione naturalistica accentuando progressivamente l'astrazione della visione pittorica, realizzata in forme piatte di colore puro e semplificate con la rinuncia alla prospettiva e agli effetti di luce e di ombra, secondo uno stile che fu chiamato sintetismo o cloisonnisme, al quale rimase sempre fedele pur sviluppandolo durante tutta la sua vita e portandolo a piena maturità nelle isole dei mari del Sud, quando egli si propose il tema di rappresentare artisticamente l'accordo armonico della vita umana con quella di tutte le forme naturali, secondo una concezione allora ritenuta tipica delle popolazioni primitive.
I pittori nabis e i simbolisti si richiamarono esplicitamente a lui, mentre la libertà decorativa delle sue composizioni aprì la via all'Art Nouveau, così come il suo trattamento della superficie lo rese un precursore del fauvismo e la semplificazione delle forme fu tenuta presente da tutta la pittura del Novecento.
Gli anni giovanili (1848 - 1873)Miette Gauguin che cuce, olio su tela, 116x81 cm, 1878, Collezione privata.Paul Gauguin nasce a Parigi il 7 giugno 1848 nella casa di rue Notre-Dame-de-Lorette 56, secondogenito del giornalista liberale, originario di Orléans, Clovis Gauguin (1814-1849) e di Aline Marie Chazal (1831-1867), figlia dell'incisore francese André Chazal e della scrittrice peruviana Flora Tristán, socialista, femminista ante-litteram e sostenitrice dell'amore libero.
L'avvento al potere di Napoleone III convince Clovis Gauguin ad abbandonare la Francia e a trasferirsi con la famiglia in Perù: egli muore il 30 ottobre 1849durante il viaggio in piroscafo: la vedova e i figli Paul e Marie Marceline sono ospiti a Lima della famiglia materna. Alla morte, avvenuta ad Orléans nel 1855, del nonno paterno Guillaume, che lascia eredi Aline Chazal e i suoi figli, la famiglia ritorna in Francia, ospiti dello zio Isidore Gauguin.
A Orléans, Paul studia nel Petit-Séminaire dal 1859 e nel 1865 partecipa al concorso per entrare nella scuola navale, ma non supera l'esame. Il 7 dicembres'imbarca allora come allievo pilota in un mercantile che viaggia da Le Havre a Rio de Janeiro: a questo, seguono altri viaggi finché, dopo la morte della madre, avvenuta nel 1867, il 26 febbraio 1868 si arruola nella marina militare, prestando servizio a bordo della corvetta Jéröme Napoleon e partecipando alla successivaguerra franco-prussiana.
Smobilitato, nel 1871 si stabilisce a Parigi dove, attraverso la raccomandazione del tutore Gustave Arosa, che è anche un collezionista d'arte, s'impiega nell'agenzia di cambio Bertin: qui conosce il pittore Émile Schuffenecker. È in questo periodo che, autodidatta, inizia a dipingere, ospite del tutore nella sua proprietà di Saint-Cloud, insieme con la figlia di questi, Marguerite Arosa.
Nel 1873 conosce a Parigi e sposa, sia civilmente che con rito luterano, il 22 novembre, Mette Sophie Gad, una cittadina danese, allora governante e dama di compagnia della moglie del futuro (1875-1894) Presidente del Consiglio danese Jacob Estrup, dalla quale avrà cinque figli: Émile (1874), Aline (1877-1897), Clovis (1879-1900), Jean-René (1881) e Paul, chiamato anche Pola (1883). Anche Jean-René e Pola seguiranno, dopo la morte del padre, la carriera artistica.
La scelta impressionista (1874 - 1887)Nudo di donna che cuce, olio su tela, 115x80 cm, 1880, Ny Carlsberg, CopenaghenAppassionato d'arte, nel 1874 si iscrive all'«Accademia Colarossi» e frequenta anche il pittore Camille Pissarro, i cui consigli gli sono preziosi, così come quelli dello scultore, suo vicino di casa, Bouillot: acquista tele di pittori impressionisti e partecipa, nel 1879, alla quarta mostra impressionista con una scultura.
Per quanto capisca che la pittura impressionista non si adatti al proprio temperamento, replica le sue partecipazioni alle successive rassegne: alla quinta mostra degli impressionisti, nel 1880, presenta un'altra scultura e sette dipinti, nel 1881 presenta due sculture e otto tele, fra le quali il Nudo di donna che cuce, ove la luce è ancora impressionista ma sono ben marcati gli accenti realistici, e la varietà dei colori utilizzati lo denuncia come poco portato ai trapassi di tono. Il dipinto viene tuttavia notato dallo scrittore Joris-Karl Huysmans che ne scrive con ammirazione nella rivista «Art moderne»:
« L'anno scorso, M. Gauguin espose per la prima volta; era una serie di paesaggi, una diluizione di opere ancora incerte di Pissarro; quest'anno, M. Gauguin si presenta con una tela tutta sua, che rivela un incontestabile temperamento di pittore moderno. Porta il titolo: Studio di nudo: non ho timore di affermare che tra i pittori contemporanei che hanno lavorato sul nudo, nessuno ha ancora dato una nota così veemente [...] Che verità, in ogni parte del corpo, in quel ventre un po' grosso che cade sulle gambe »Alla settima mostra, nel 1882, presenta una scultura e dodici tele, fra le quali il Vaso con fiori alla finestra, oggi al Louvre.
La crisi economica che investe l'Europa ha un riflesso anche nella vita di Gauguin che, nel gennaio del 1883, dopo un drammatico crollo della Borsa di Parigi, viene licenziato, come l'amico pittore Schuffenecker, dall'agenzia Bertin: per far fronte alla difficile situazione familiare, in un primo tempo si trasferisce a Rouen, poi rimanda a Copenaghen la moglie e i figli che raggiunge l'anno dopo, nel 1884, avendo lì ottenuto un lavoro di rappresentante. Ma gli affari non vanno bene e allora, nel 1885, ritorna a Parigi con il figlio Clovis. Le difficoltà di guadagnarsi da vivere lo spingono in primo tempo a stabilirsi per tre mesi in Inghilterra, poi ad accettare a Parigi un lavoro di attacchino di manifesti: a causa dell'impossibilità di pagarsi la pensione, cambia spesso alloggio ed è anche ospite nella casa di Schuffenecker. Con tutto ciò, non trascura la pittura e nel maggio del 1886 partecipa all'ottava e ultima mostra degli impressionisti, esponendo diciotto dipinti: uno di questi è le Mucche in un pantano, ora nella Galleria d'Arte Moderna di Milano.
Alberi e figure sulla spiaggia, olio su tela, 46 x 61 cm, 1887, Collezione privata, ParigiIn giugno soggiorna a Pont-Aven, in Bretagna, dove conosce il pittore Charles Laval; tornato a novembre a Parigi, conosce Théo van Gogh, che gestisce una piccola galleria d'arte, e Vincent van Gogh. Nuovamente deciso a cercare fortuna fuori della Francia, il 10 aprile 1887, dopo aver rimandato il figlio Clovis a Copenaghen dalla madre, parte per l'America insieme con il pittore Charles Laval. A Panamá sono in corso i lavori per la costruzione del canalee Gauguin per più di un mese si guadagna da vivere come sterratore; in estate, con Laval, parte per la Martinica, dove dipinge una ventina di tele, finché a novembre, senza soldi, s'ingaggia come marinaio in una nave che lo riporta in Francia, nuovamente ospite, a Parigi, di Schuffenecker.
Il breve soggiorno in Martinica segna un ulteriore distacco della pittura di Gauguin dai principi dell'Impressionismo, come mostrano le tele lì dipinte, esposte nella galleria parigina di Théo van Gogh. Come scrisse successivamente un critico d'arte, egli semplificò i colori, istituendo forti contrasti, che l'amico e primo mentore, l'impressionista Pissarro, giustificò con il fatto che nei paesi tropicali come la Martinica la forma viene assorbita dalla luce, cosicché le sfumature di tono sono impercettibili e allora occorre ripiegare sui contrasti di colore, ma si tratta in realtà, per Gauguin, di una consapevole presa di distanze dalla pittura impressionista. Vincent van Gogh, giudicando quei quadri, vi trovò «un'immensa poesia [...] qualcosa di gentile, di sconsolato, di meraviglioso» e rilevò il «turbamento» di Gauguin di fronte al mancato apprezzamento delle sue opere.
La svolta di Pont-AvenRifiutato l'invito di van Gogh di andare a vivere ad Arles, Gauguin riparte nuovamente, nel febbraio 1888, per Pont-Aven. Della Bretagna e di Pont-Aven – oltre all'ampio credito che la pensione Gloanec, dove alloggia e allestisce lo studio, gli accorda – lo attira «l'elemento selvaggio e primitivo. Quando i miei zoccoli risuonano su questo granito, sento l'eco attutito e potente che vorrei ottenere quando dipingo».
In estate, Pont-Aven si popola di pittori e Gauguin viene raggiunto anche da Charles Laval. Conoscenza decisiva è però quella del giovanissimo Émile Bernard, che in agosto si reca da Saint-Briac nel villaggio bretone portando con sé alcune tele. Egli, insieme con l'amico pittore Anquetin, aveva elaborato un nuovo stile neo-impressionista.
« Quando uno spettacolo naturale viene esageratamente accentuato, finisce per assumere un tono troppo realistico, così che colpisce i nostri occhi a detrimento della mente. Dobbiamo cercare di semplificarlo per poterne penetrare il significato. Io avevo due modi per ottenere tutto questo. Il primo modo consisteva nell'osservare la natura semplificandola al massimo, riducendo le sue linee a eloquenti contrasti, le sue sfumature ai sette colori fondamentali del prisma. Il secondo sistema consisteva nell'affidarsi alle idee e alla memoria, liberandosi da qualsiasi contatto diretto. La prima possibilità comportava una calligrafia semplificata che si proponeva di affermare il simbolismo inerente alla pittura, la seconda era l'atto della mia volontà, che esprimeva, con mezzi analoghi, la mia sensibilità, la mia immaginazione, la mia anima »Già mesi prima, nel maggio 1888, il critico Eduard Dujardin[5] si era espresso in termini altamente elogiativi nei confronti della nuova espressione d'arte, che chiamò cloisonnisme ed attribuì esclusivamente ad Anquetin:
La visione dopo il sermone, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Nat. Gall. of Scotland, Edinburgh« questi quadri danno l'impressione di una pittura decorativa, un tracciato esterno, un colore violento e di getto richiamano inevitabilmente l'imagerie e le giapponeserie. Poi, sotto il tono ieratico del disegno e del colore, s'intuisce una verità sorprendente che si libera dal romanticismo della passione, e soprattutto, poco a poco, la nostra analisi viene richiamata sulla costruzione intenzionale, razionale, intellettuale e sistematica [...] il pittore traccerà il disegno entro linee chiuse entro cui porrà diversi toni, la sovrapposizione dei quali darà la sensazione della colorazione generale ricercata, poiché colore e disegno si compenetrano a vicenda. Il lavoro di questo pittore è qualcosa come una pittura per compartimentisimile al cloisonné, e la sua tecnica risulterà una specie di cloisonnisme »Gauguin è favorevolmente impressionato dallo stile di Bernard, come scrive a Schuffenecker il 14 agosto: «C'è qui il giovane Bernard che ha portato da Saint-Briac alcune cose interessanti. Ecco un individuo che non ha paura di nulla [...] I miei recenti lavori sono sulla buona strada; credo che vi troverete un tono particolare, o meglio una conferma delle mie indagini precedenti, la sintesi di una forma e di un colore che tiene conto solo dell'elemento dominante».
Gauguin fu colpito in particolare da un quadro dipinto da Bernard a Pont-Aven, Donne bretoni in un prato, che egli si fece offrire in cambio di una sua tela. Su uno sfondo verde e piatto, Bernard aveva accentuato i contorni delle masse delle figure e dei vestiti, senza modellare le forme, ottenendo così una forte astrazione dell'immagine. Il dipinto che Gauguin portò a termine nel settembre 1888, la La visione dopo il sermone, è certamente debitore del quadro di Bernard, che nei suoi Ricordi inediti non manca di rilevarlo: nella La visione dopo il sermone, Gauguin «aveva semplicemente messo in atto non la teoria colorata di cui gli avevo parlato, ma lo stile precipuo delle mie Donne bretoni in un prato, dopo aver stabilito un fondo del tutto rosso in luogo del mio giallo-verde. In primo piano mise le mie stesse grandi figure dalle cuffie monumentali di castellane».
Gauguin si disse invece convinto di aver fatto qualcosa di assolutamente nuovo, che segnava il suo cosciente abbandono della maniera impressionista. Spiegava che il dipinto rappresentava delle donne che, dopo aver ascoltato il sermone del loro parroco, immaginavano di assistere all'episodio biblico: «il paesaggio e la lotta dei due contendenti esistono solo nell'immaginazione di questa gente che prega, è il risultato del sermone. Ecco perché vi è un contrasto fra quelle donne reali e la lotta di Giacobbe e l'angelo inserita nel paesaggio, che resta irreale e sproporzionata».
Pissarro, da parte sua, criticò l'opera per mancanza di originalità e per aver fatto un passo indietro rispetto alle moderne tendenze, rimproverandogli di aver «rubacchiato ai pittori giapponesi, ai bizantini e ad altri; gli rimprovero di non aver applicato la sua sintesi alla nostra filosofia moderna, che è assolutamente sociale, anti-autoritaria e anti-mistica».
Il sintetismoNel nuovo stile di Gauguin – il cloisonnisme o sintetismo – il colore si chiude in zone, così che la scena si presenta in superficie e si annulla ogni rapporto tra spazio e volumi. Allo stesso Bernard, a proposito dell'uso delle ombre, Gauguin scrive:
Il Cristo giallo, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo.« Guardate i giapponesi, che pure dipingono in modo ammirevole e vedrete una vita all'aria aperta e al sole, senza ombre. Usano i colori solo come combinazione di toni, di armonie diverse [...] voglio staccarmi quanto più è possibile da qualsiasi cosa che dia l'illusione di un oggetto, e poiché le ombre sono il trompe-l'oeil del sole, sono propenso a eliminarle. Ma se una sfumatura entra nella composizione come forma necessaria, allora è diverso [...] Così, mettete pure delle ombre, se le giudicate utili, oppure non le mettete: è la stessa cosa, se non siete schiavi dell'ombra. È piuttosto questa che deve essere al vostro servizio »Per evitare, dipingendo all'aperto, di essere condizionato dagli effetti di luce, dipinge a memoria, semplificando le sensazioni ed eliminando i particolari; di qui l'espressione di una forma, più che sintetica – giacché ogni forma in arte è sempre necessariamente sintetica – sintetistica, perché volutamente semplificata. Egli rinuncia anche ai colori complementari che, se avvicinati, si fondono e preferisce mantenere ed esaltare il colore puro: «Il colore puro. Bisogna sacrificargli tutto».
Tuttavia egli non porta alle estreme conseguenze questa concezione, perché l'uso di soli colori puri avrebbe distrutto spazio e volumi e allora attenua l'intensità delle tinte: ne deriva il tono generalmente «sordo» e un disegno piuttosto sommario, come confida a Bernard: «La mia natura porta alsommario in attesa del completo alla fine della mia carriera». Evita anche di cadere nella triviale decorazione, come spesso accade all'Art Nouveau che origina da quegli stessi presupposti, racchiudendo «nelle sue superfici decorative un contenuto fantastico, onde creò il simbolismo pittorico».
Il Cristo giallo, dipinto nel 1889, è un chiaro esempio di come concepisca la sua arte: «La forma sommaria del Cristo rappresenta abbastanza bene l'opera popolaresca, ma è appunto sommaria, non messa a punto per sostenere il rapporto delle tinte pure. L'interesse dell'artista è altrove, nel color giallo dell'immagine in rapporto con il giallo del fondo e con gli azzurri delle ombre, per esprimere la tristezza del paese, la sua aridità, il suo aspetto autunnale. Il simbolismo è dunque per Gauguin un modo di esprimersi indirettamente. Le scene della vita quotidiana sono un'occasione ora per un ritmo decorativo, ora per un motivo paesistico, e l'uno e l'altro alludono a uno stato di tristezza che dovrebbe accompagnare la vita religiosa».
Il pittore Paul Sérusier, presente a Pont-Aven in quell'estate del 1888, apprese dallo stesso Gauguin una «lezione» di pittura impartita secondo il principio sintetistico, che così riassunse:
« L'impressione della natura deve essere legata al senso estetico che seleziona, ordina, semplifica e sintetizza. Il pittore non dovrebbe fermarsi, finché non ha dato vita sotto forma plastica al frutto della sua immaginazione, nato dalla fusione della sua mente con la realtà. Gauguin insisteva sulla costruzione logica della composizione, sull'armonia di colori chiari e di colori scuri, sulla semplificazione delle forme e delle proporzioni, così da accentuarne i contorni con un'espressione eloquente e poderosa »[modifica]Il dramma di Arles (1888)260pxMiserie umane, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Ordrupgaard M., CopenaghenIn quell'estate del 1888 Théo van Gogh stipula con Gauguin un contratto che garantisce al pittore uno stipendio di 150 franchi in cambio di un quadro ogni mese; lo invita poi a raggiungere il fratello Vincent ad Arles, in Provenza, pagandogli il soggiorno. Gauguin, non abituato a ricevere tanto denaro, non può rifiutare e il 29 ottobre 1888 raggiunge Arles.
Mentre van Gogh apprezza il paesaggio mediterraneo e dimostra grande ammirazione per il suo nuovo compagno, con il quale spera di fondare un'associazione di pittori, Gauguin rimane deluso della Provenza - «trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone», scrive a Bernard – e non crede possibile una lunga convivenza con Vincent, dal quale tutto lo divide: carattere, abitudini, gusti e concezioni artistiche: van Gogh «ammira molto i miei quadri, ma quando li faccio, trova sempre che ho torto qui, ho torto là. Lui è romantico, io invece sono portato verso uno stato primitivo. Dal punto di vista del colore, lui maneggia la pasta come Monticelli, io detesto fare intrugli».
Vanno tuttavia insieme a dipingere i dintorni della cittadina: la Vendemmia (o Miserie umane) viene così descritta a Bernard:
« Vigne rosse che formano triangolo verso l'alto giallo cromo. A sinistra, una bretone del Pouldu nero, grembiule grigio. Due bretoni abbassate dai vestiti blu-verde chiaro e corsetto nero. In primo piano, terreno rosa, e poveretta dai capelli arancione, camicia bianca e sottana (terra verde con del bianco). Il tutto eseguito a grandi tratti riempiti di toni quasi uniti con una spatola molto spessa su grossa tela di sacco. È un effetto di vigne che ho visto ad Arles. Ci ho messo delle bretoni: tanto peggio per l'esattezza. È il mio quadro più bello di quest'anno e appena sarà asciugato lo manderò a Parigi »Gauguin fa anche un ritratto di van Gogh, intento a dipingere gli amati girasoli, a proposito del quale Vincent esclama: «Sono certamente io, ma io divenuto pazzo». Quella sera stessa vi è un litigio violento in un caffè di Arles e van Gogh, ubriaco, scaglia il suo bicchiere contro Gauguin.
Scrive allora a Théo van Gogh di essere costretto, data la situazione, a tornare a Parigi. il 23 dicembre, secondo il racconto di Gauguin, van Gogh lo rincorre per strada con in mano un rasoio. Si volta e lo fissa: van Gogh si ferma e ritorna a casa dove, in preda a una crisi psicotica, si taglia un orecchio. Gauguin, che è andato a dormire in albergo, la mattina dopo trova i gendarmi che in un primo tempo lo fermano, accusandolo di aver ucciso l'amico, poi si rendono conto che van Gogh si è ferito da solo e dorme, e lo rilasciano. La vigilia di Natale Gauguin parte per Parigi.
Il ritorno in Bretagna (1889)Durante i tre mesi passati a Parigi, riceve l'invito di esporre alla mostra dei XX tenuta nel febbraio 1889 a Bruxelles: vi spedisce dodici tele, ma i suoi dipinti, che rimangono tutti invenduti, con i loro prati rossi, gli alberi blu e i cieli gialli, provocano l'ilarità del pubblico ma l'apprezzamento del critico Maus: «Esprimo la mia sincera ammirazione per Paul Gauguin, uno dei coloristi più raffinati che io conosca e il pittore più alieno dai consueti trucchi che esista. L'elemento primitivo della sua pittura mi attrae come mi attrae l'incanto delle sue armonie. Vi è in lui del Cézanne e del Guillaumin; ma le sue tele più recenti testimoniano che si è avuta un'evoluzione rispetto a quelli e che già l'artista si è liberato da tutte le influenze ossessive».
La belle Angèle, olio su tela, 92x72 cm, 1889, Musée d'Orsay, ParigiTornato in aprile a Pont-Aven, a maggio ritorna ancora a Parigi – in quell'anno, centenario della Rivoluzione, si teneva l'Esposizione Internazionale con l'inaugurazione della Tour Eiffel – per organizzare la mostra del Gruppo impressionista e sintetista nei locali del Caffè Volpini: vi partecipano anche Louis Anquetin, Émile Bernard, Léon Fauché, Charles Laval, Daniel de Monfreid, Louis Roy ed Émile Schuffenecker. Il critico Fénéon sostenne che Gauguin era influenzato da Anquetin - «un'influenza puramente formale, perché nelle sue opere abili e di gusto decorativo, non sembra circolare la minima emozione» - mentre Albert Aurier rilevò in Gauguin, Bernard e Anquetin «una netta tendenza al sintetismo del disegno, della composizione e del colore, così come alla ricerca dei mezzi di semplificazione di espressione».
Nessuno degli espositori, malgrado il nome dato al gruppo, era comunque un impressionista e infatti la mostra ebbe la disapprovazione dei «veri» impressionisti, Pissarro in testa. Così, senza che nessuno degli espositori fosse riuscito a vendere un solo quadro, Gauguin ritornò a Pont-Aven e di qui si trasferì in autunno nel vicino Le Pouldu, allora un minuscolo villaggio, anch'esso affacciato sull'Oceano.
Composto nel 1889 è, tra gli altri, La belle Angèle, ossia Angèle Satre, moglie del sindaco di Pont-Aven, dipinto lodato da van Gogh per quel «qualcosa di così fresco e, ancora, contadinesco, che è bello a vedersi». Il ritratto è iscritto in una sorta di cerchio magico, spostato a destra per far posto, a sinistra, alla raffigurazione di un idolo orientale, come a istituire un'analogia tra le due immagini e alludere a un'ansia mistica del pittore.
Egli è il leader incontestato di un gruppo di giovani pittori, Sérusier, Meyer de Haan, Roy, Charles Filliger, Laval, Maxime Maufra, ai quali s'impone tanto per il suo prestigio che per la sua maggiore età e per una sua certa arrogante durezza di carattere, ma non nasconde la sua amarezza per il mancato riconoscimento pubblico della sua arte. Vuole allontanarsi dalla Francia, dalla quale poco spera: fa domanda al governo francese per essere inviato come colono nel Tonchino, i territori indocinesi sottoposti dal 1884 a protettorato francese, ma la sua domanda viene respinta. Per intanto, nel gennaio 1890, torna a Parigi, ancora una volta ospitato da Schuffanecker.
Parigi (1890 - 1891): Gauguin e il simbolismoOndina, olio su tela, 92x72 cm, 1889, Museum of Art, Cleveland.Nella capitale conosce un inventore, un certo Charlopin, che gli offre, per un consistente gruppo di quadri, 5.000 franchi, una somma con la quale Gauguin potrebbe permettersi un lunghissimo soggiorno in qualunque terra tropicale, ma l'offerta non va in porto. Passa mesi febbrili, tra Parigi e la Bretagna, in cerca di compagni e di denaro.
Non sa neanche decidersi in quale paese andare, se in Tonchino prima o se poi nel Madagascar: infine opta per la Polinesia. Al pittore simbolista Odilon Redon, che gli ha fatto un ritratto e cerca di dissuaderlo a partire, scrive di aver «deciso di andare a Tahiti per finire là la mia esistenza. Credo che la mia arte, che voi ammirate tanto, non sia che un germoglio, e spero di poterla coltivare laggiù per me stesso allo stato primitivo e selvaggio. Per far questo mi occorre la calma: che me ne importa della gloria di fronte agli altri! Per questo mondo Gauguin sarà finito, non si vedrà più niente di lui».
Dal novembre 1890, a Parigi, frequenta un gruppo di giovani pittori che, con il nome di «Nabis», profeti in ebraico, hanno dato vita a circolo di pittura simbolista, in gran parte debitrice dei principi sintetisti di Gauguin. Ne fanno parte Paul Sérusier, Denis, Pierre Bonnard, Ker-Xavier Roussel, Félix Vallotton e Édouard Vuillard, sostenuti da critici come Albert Aurier e Lugné-Poe e poeti e scrittori come Mallarmé, Jean Moréas, Maurice Barrès, Paul Fort e Charles Morice, il quale, dopo averlo descritto come uomo dal «grande viso ossuto e massiccio, dalla fronte stretta, dal naso non curvo, non adunco, ma come spezzato, con una bocca dalle labbra strette e senza inflessione, con delle palpebre pesanti [...] in cui una altezzosa nobiltà, evidentemente connaturata, si mescolava a una semplicità che confinava con la trivialità», testimonia dell'elogio dell'arte primitiva fatta da Gauguin in occasione di uno di quegli incontri:
« L'arte primitiva parte dallo spirito e si serve della natura. L'arte cosiddetta raffinata parte dalla sensualità e serve la natura. La natura è la serva della prima e la padrona della seconda. Ma la serva non può dimenticare la sua origine e avvilisce l'artista lasciandosi adorare da lui. È così che siamo caduti nell'abominevole errore del naturalismo. Il naturalismo comincia con i greci di Pericle. Poi non si sono avuti più o meno grandi artisti che tra coloro che più o meno hanno reagito contro questo errore. Ma le loro reazioni non sono state che trasalimenti di memoria, bagliori di buon senso in un movimento di decadenza che prosegue ininterrotto nei secoli. La verità è nell'arte cerebrale pura, nell'arte primitiva; il più sapiente di tutti i paesi è l'Egitto. Là è il principio. Nella nostra miseria attuale non c'è salvezza possibile che nel ritorno sincero e consapevole al principio. E questo ritorno deve costituire la meta del simbolismo in poesia e in arte! »La perdita della verginità, olio su tela, 90x130 cm, 1891, Chrysler Art Museum, Norfolk, USAL'intento di Gauguin non è tanto quello di presentarsi come l'iniziatore e il promotore della poetica simbolista, quanto quello di procurarsi la massima pubblicità e solidarietà in vista di una progettata vendita all'asta dei suoi dipinti, con il cui ricavato contava di poter finalmente salpare per le isole polinesiane. Egli infatti si preoccupa di dipingere una tela in pretto stile simbolista, La perdita della verginità, in cui una giovane, sulla quale posa una volpe, simbolo della lussuria, è adagiata su un paesaggio che nulla ha di naturalistico, al fondo del quale si svolge un corteo nuziale. Modella del dipinto fu la ventenne Juliette Huet, sua attuale amante, dopo il tentativo di Gauguin di stabilire una relazione con Madame Schuffenacker, che naturalmente portò all'interruzione dei rapporti con Émile Schuffenecker.
L'asta delle opere di Gauguin, tenuta a Parigi il 23 febbraio 1891, frutta più di 9.000 franchi, come comunica alla moglie la quale, pur dovendo mantenere a Copenaghen cinque figli facendo traduzioni dal francese, non ottiene un soldo. L'asta era stata preparata da diversi articoli che esaltavano l'opera del pittore e fu seguita da un lungo articolo di Albert Aurier che consacrava Gauguin come capostipite del simbolismo in pittura.
Dopo aver premesso che lo scopo dell'arte non può essere la diretta rappresentazione delle cose, ma delle «Idee», degli «Esseri assoluti», gli unici che abbiano una autentica realtà, di cui gli oggetti naturali sono soltanto «segni», compito dell'artista «ideista» è esprimersi mediante questi segni, sapendo che la realtà è solo l'idea. Dunque il segno rappresentato dal pittore nella tela non sarà un oggetto concreto, così come nella tela dovrà essere evitato ogni illusionismo fallace:
« È logico che l'artista rifugga dall'analisi per non incorrere nei pericoli della verità concreta. Ogni particolare in realtà non è che un simbolo parziale molto spesso inutile in rapporto al significato totale dell'oggetto. Di conseguenza, stretto dovere del pittore ideista è effettuare una selezione naturale tra i molteplici elementi che compongono l'oggettività, non utilizzare nelle sue opere che le linee, le forme, i colori generali e distintivi che servono a esprimere chiaramente il significato ideico dell'oggetto, piuttosto che qualche simbolo parziale che avalla il simbolo generale »Natura morta con mele, pere e ceramica, olio su tela, 28x36 cm, 1890, Fogg Art Museum, Cambridge, Mass., USAForme, linee e colori potranno essere esagerati, attenuati o deformati, seguendo tanto la necessità dell'espressione dell'«Idea» che la propria visione artistica. L'arte simbolista sarà dunque ideista, perché espressione di un'idea; simbolista, perché esprime l'idea attraverso una forma, ossia un insieme dei segni; sintetica, perché questa forma dovrà essere generalmente comprensibile; soggettiva, perché ogni oggetto rappresentato non sarà un oggetto naturale, ma un segno dell'idea percepita dal soggetto, il pittore; decorativa, termine che in Aurier riassume il significato dell'arte che è insieme «soggettiva, sintetica e ideista».
Naturalmente, un artista, per essere all'altezza del compito di esprimere l'astratto significato di un oggetto dovrà avere un «dono sublime», riservato a pochi, un «dono dell' emotività così grande e così prezioso, da far rabbrividire l'anima di fronte al dramma sfuggente delle astrazioni»: se questo dono è concesso al pittore, allora «i simboli, cioè le Idee, sorgono dalle tenebre, si animano, si mettono a vivere di una vita che non è più la nostra vita contingente e relativa, ma di una vita abbagliante che è la vita essenziale, la vita dell'Arte». E concludeva che tale era l'arte di Gauguin, «grande artista di genio, dall'anima primitiva e un po' selvaggia».
L'articolo provoca la rottura dei rapporti di Gauguin con Bernard, che si considerava in qualche modo l'ispiratore di Gauguin, offeso per non essere stato invitato a esporre le sue opere all'asta e per non essere stato affatto citato nell'articolo dell'Aurier, e la reazione del vecchio impressionista Pissarro, che ironizza, in una lettera al figlio Lucien, con il critico, rimproverandogli di non tener conto che quei segni, di cui l'Aurier parla, «devono essere più o meno disegnati. È anche necessario possedere un po' di armonia per rendere le idee e di conseguenza bisogna avere delle sensazioni per avere delle idee. Questo signore sembra prenderci per imbecilli!». E sul «cattolico Gauguin» Pissarro, da socialista e comunardo, è ancora più duro, dandogli del calcolatore e dell'arrivista:
« Gauguin non è un veggente, è un essere diabolico che si è accorto che la borghesia tornava indietro sotto le grandi idee di solidarietà che germogliano tra il popolo: idea incosciente ma feconda e la sola legittima! I simbolisti si trovano nella stessa situazione! Per questo bisogna combatterli come la peste! »A marzo, grazie all'intercessione del figlio di Ernest Renan, Gauguin ottiene dal Ministro francese delle Belle Arti Rouvier il riconoscimento di «missione gratuita» del suo viaggio – in sostanza, la promessa di acquistare un suo quadro al suo ritorno in Francia – oltre a uno sconto sul biglietto di viaggio.
Il 23 marzo 1891 Gauguin saluta gli amici simbolisti in un pranzo tenuto nel loro ritrovo abituale del Café Voltaire di Parigi; il 4 aprile parte per Marsiglia dove, il 24 aprile, lo attendeva la nave per Tahiti. Da pochi giorni era morto Seurat; Renoir, a Parigi, conosciuta la partenza di Gauguin, commentò semplicemente: «Si può dipingere anche alle Batignolles».
A Tahiti (1891 - 1893)« Io partirò. Battello che dondoli l'alberatura
leva l'àncora verso la natura esotica! »(Mallarmé, Brise marine)Il viaggio da Parigi durò 63 giorni, a causa dei lunghi scali – a Bombay, a Perth, a Melbourne, a Sidney, a Auckland – effettuati lungo il percorso. Il 28 giugno 1891 Gauguin sbarca a Papeete, il capoluogo di Tahiti, presentandosi al governatore per specificargli la sua condizione di «inviato in missione artistica»; ha la sfortuna, due settimane dopo, di apprendere la notizia della morte del re dell'isola, Pomaré V, dal quale sperava di ottenere dei favori particolari: ora, invece, l'amministrazione passa in mani francesi.
Vahine no te tiare, olio su tela, 70x46 cm, 1891, Ny Carsberg, Copenaghen.Tahiti, dove per la prima volta sbarcò l'inglese Samuel Wallis nel 1767, divenne protettorato francese nel 1842 e fu annessa alla Francia nel 1880, con un atto firmato dal re Pomaré V. I tahitiani divenivano cittadini francesi e mantenevano la proprietà delle terre. L'emigrazione europea aveva condotto alla formazione di famiglie miste e introdotto modi di vita europei, allo sviluppo del commercio, della piccola industria, dell'agricoltura intensiva, e all'introduzione del culto cristiano, prevalentemente cattolico.
Vahine no te tiare (Donna col fiore), è un capolavoro: Gauguin
« ama la bellezza squadrata, senza finezze, sicura e forte, delle donne di Tahiti; sente simpatia per la loro ingenua naturalità; è entusiasta dei toni caldi e ricchi della loro carne. Egli ama troppo la sua modella per sacrificarla al sintetismo; e perciò dipinge in modo sintetico ma non sintetistico.; la sua forma è tutta accenti, ma nulla che valga è tralasciato; e nulla è astratto, perché ogni linea e ogni tono son pieni di ammirazione e di gioia. Il doloroso, malefico Gauguin è scomparso. lontano dalla civiltà, oltre Papeete, nella foresta, egli ha ritrovato la sua calma, la sua umanità, la sua gioia. E con la sua gioia ritrova la giustezza del tono, scuro su chiaro, e l'armonia calma non più esasperata dei colori. Il giallo bruno delle carni, l'azzurro nero dei capelli e l'azzurro viola della veste (appena interrotti da qualche zona bianco-rosa) risaltano sul fondo chiaro, arancione in alto e rosso in basso, sparso di foglie verdi. E persino certe mancanze costruttive, proporzionali, volumetriche o luministiche, diventano qualità perché sottintendono freschezza o vivacità d'espressione, spontaneità creativa. Gauguin ha fatto opere belle come questa, ma non migliori »Questo è il primo dipinto tahitiano di Gauguin a essere inviato in Francia e a essere esposto, nel settembre 1892, nella Galleria d'arte Goupil, deludendo però gli amici che si attendevano un quadro in pretto stile simbolista.
Ia Orana Maria, olio su tela, 114x89 cm, 1891, Metropolitan, New York.La capitale Papeete accoglie soprattutto funzionari francesi e le famiglie dei notabili indigeni, delle quali l'effigiata è un'esponente: non vi può essere, in quel luogo, l'espressione dell'autentica civiltà maori, dei genuini caratteri e dei ritmi vitali degli indigeni non ancora toccati dal dominante influsso coloniale, che possono essere rintracciati solo nei villaggi più lontani. Perciò, dopo qualche mese, insieme con la meticcia Titi, si trasferisce venti chilometri più lontano, a Pacca; lasciata poi anche Titi, troppo «civilizzata», va nel villaggio di Mataiea, dove si stabilisce in una capanna davanti all'Oceano: in un altro villaggio conosce la tredicenne Tehura, che accetta di andare a vivere con lui.
In Noa-Noa, la profumata – il racconto biografico e romanzato della sua scoperta dell'isola – scrive che «la civiltà mi sta lentamente abbandonando. Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per il mio prossimo, anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Sfuggo alla fatica, penetro nella natura: con la certezza di un domani uguale al presente, così libero, così bello, la pace discende in me; mi evolvo normalmente e non ho più vane preoccupazioni». Non è proprio così, perché il denaro comincia a diminuire, dalla Francia non ne arriva altro e le comunicazioni epistolari sono lentissime.
In Ia Orana Maria (Ave Maria) opera una contaminazione fra cattolicesimo e religione orientale – le due figure di donne richiamano un bassorilievo del tempio di Borobudur, nell'isola di Giava – nell'ambiente paganeggiante dei Tropici. Ne scrive al de Monfreid: «Un angelo dalle ali gialle indica a due donne tahitiane Maria e Gesù, anch'essi tahitiani, una sorta di nudo rivestito dal pareo, specie di cotonina a fiori che si attacca come si vuole alla cintura. Sfondo di montagne molto scure e alberi in fiore. Strada viola cupo e primo piano verde smeraldo; a destra, delle banane. Ne sono molto contento».
Manao tupapau, olio su tela, 73x92 cm, 1892, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo.Nel marzo 1892 Gauguin scrive a de Monfreid di essere stato ammalato: il suo cuore non va infatti come dovrebbe, e a Sérusier di essere alla fine dei soldi e di aver poche speranze di poterne ricavare, né a Tahiti né dalla Francia: giudica infatti i suoi quadri «brutti da tutti i punti di vista», tali da non poter essere accettati e venduti ai collezionisti parigini. In compenso, si mostra più ottimista con la moglie, che gli chiedeva spiegazioni sulla sua lunga assenza, sostenendo di aver prodotto 44 tele molto importanti, dal valore presuntivo di almeno 15.000 franchi, assicurandola che «quello che sto facendo qui non è mai stato fatto da nessuno e che in Francia non si conosce. Spero che questa novità potrà decidere in mio favore».
Fra i suoi dipinti più noti di quest'anno e sul quale più si è dilungato nei suoi scritti è Manao tupapau (Pensa allo spettro, tradotto anche come Lo spirito dei morti veglia), dove ritrae Tahura sdraiata prona sul letto, con espressione terrorizzata.
In Noa-Noa scrive che, tornato a notte alta nella sua capanna, trovò «immobile, nuda, supina sul letto, gli occhi enormemente sbarrati dalla paura, Tehura mi guardava e sembrava non riconoscermi [...] Mi sembrava che una luce fosforescente uscisse dai suoi occhi dallo sguardo sbarrato. Non l'avevo mai vista così bella, soprattutto mai di una bellezza così commovente».
Alla moglie comunica di star facendo un nudo di donna: «Una delle nostre giovani avrebbe paura di essere sorpresa in questa posizione (la donna qui no). Allora conferisco al suo volto un po' di terrore [...] Questo popolo ha, tradizionalmente, una grande paura dello spirito dei morti [...] Allora faccio così: armonia generale cupa, triste, spaventosa, che sembri quasi un rintocco funebre. Il violetto, il blu cupo, il giallo arancio. Faccio la biancheria gialla verdastra, prima di tutto perché la biancheria di questi selvaggi è diversa dalla nostra [...] in secondo luogo perché suggerisce la luce artificiale [...] in terzo luogo, questo giallo, combinandosi con il giallo arancio e il blu, completa l'accordo musicale».
Il fantasma dipinto in ossequio dei principi simbolistici è tuttavia inutile e disturba l'effetto che viene raggiunto per via puramente cromatica: tutte le spiegazioni sulla genesi del dipinto sono stati fatti a uso e consumo di coloro che pretendono di conoscere «il perché e il per come. Tuttavia, si tratta semplicemente di uno studio di nudo tropicale».
Gauguin si preoccupa di comprendere e di documentarsi sulla credenze indigene e sulle loro manifestazioni artistiche: trova oggetti d'uso comune, decorati con motivi geometrici che richiamano tuttavia le fattezze umane.
Lesse poi il Voyage aux Îles du Grand Océan di Jacques-Antoine Moerenhout, pubblicato nel 1837, trascrivendone stralci nel suo manoscritto Ancien culte mahorie. La triade divina della religione maori – che allora si credeva originaria dell'Indonesia – è costituita dal dio creatore Taaroa, dalla dea Hina, che richiama la luna e il ciclo naturale della vita, e dal loro figlio Fatu, la terra che anima ogni cosa ma rifiuta di concedere l'immortalità alle creature alle quali è concesso solo di generare e di perpetuarsi attraverso l'eterno ciclo della vita e della morte.
A Tahiti non esistevano rappresentazioni artistiche delle divinità, se non i tiki, gli idoli, sculture in legno rappresentanti divinità minori, utilizzate, fino all'arrivo dei missionari, alla fine del Settecento, a segnare i recinti (i marae) ove si svolgevano i riti sacrificali. Secondo il Moerenhout, i tahitiani utilizzavano lunghi legni avvolti da fibre vegetali, che rappresentavano gli atuas, i discendenti del dio Taaroa, fra le quali si inserivano delle piume rosse: queste piume erano l'immagine di Taaroa.
Gauguin creò sculture in legno e in ceramica rappresentando dei e idoli maori, senza scrupoli filologici, ma operando una contaminazione di motivi iconografici, ridando in qualche modo vita a immagini della tradizione religiosa tahitiana in via di estinzione, raggiungendo «il fine di ridare forma e speranza a una società sul punto di morire». Così, l' Idolo con la perla «ha i tratti del Buddha seduto assalito da Mara (il diavolo della religione buddhista) di un rilievo di Borobudur; la perla rappresenta il terzo occhio, la visione interiore». Oviri (Selvaggio), ceramica realizzata a Parigi nel 1894, prima della partenza per il secondo e definitivo viaggio a Tahiti, rappresenta la Tueuse (colei che uccide), una donna-mostro che schiaccia ai suoi piedi un lupo mentre con una mano si stringe al fianco un cucciolo di lupo: dunque è colei che uccide ma che dà anche la vita.
Il ritorno in Francia (1893 - 1895)Aita Tamari vahina Judith te Parari, olio su tela, 116x81 cm, 1896, Coll. privata, Winterthur.Senza più denaro, carico di debiti, perché le tele inviate in Francia fruttano poco denaro, non può che desiderare di lasciare Tahiti: nell'aprile 1893 riceve 700 franchi inviatogli dalla moglie, appena sufficienti per saldare i debiti e pagarsi il viaggio di ritorno. A maggio lascia Tehura e il suo bambino nato il mese prima e, carico delle sue tele, s'imbarca per la Francia: il 3 agosto sbarca a Marsiglia.
Grazie al denaro inviatogli dagli amici Paul Sérusier e Daniel de Monfreid, può trasferirsi da Marsiglia a Parigi, dove affitta un piccolo appartamento e va al ristorante pagandosi i pasti con i quadri. La morte dello zio Isidore lo soccorre con l'eredità di 9.000 franchi e Gauguin può traslocare insieme con Annah Martin, una giovane cameriera mulatta, di origine giavanese – rappresentata nel dipinto Aita Tamari vahina Judith te Parari – in un alloggio-studio confortevole e arredato esoticamente, dalle pareti dipinte in giallo e in verde, dove accoglie gli amici del circolo simbolista.
Tiene una mostra nella Galleria Durand-Ruel, il cui catalogo avrebbe dovuto avere una presentazione scritta da Strindberg che tuttavia rifiuta, rimproverando a Gauguin di aver creato, con le sue tele tahitiane, «una nuova terra e un nuovo cielo, ma io non mi piaccio all'interno della nuova creazione, e nel vostro paradiso abita una Eva che non è il mio ideale»
A dicembre rende l'ultima visita alla famiglia a Copenaghen e nel maggio del 1894 ritorna nei suoi luoghi preferiti della Bretagna: il 24, a Concarneau, alcuni marinai rivolgono pesanti apprezzamenti alla sua compagna Annah; egli reagisce, ma viene picchiato e si frattura una caviglia. Come non bastasse, mentre è ricoverato in ospedale, l'amica Annah torna a Parigi, s'impossessa del denaro – non dei dipinti – e fa perdere le sue tracce.
Gauguin non era certo tornato in Francia per rimanervi: nuovamente deciso a partire per la Polinesia, organizza il 18 febbraio 1895 una vendita delle sue tele: il ricavo è modesto ma sufficiente per partire. Si imbarca il 3 luglio a Marsiglia e durante lo scalo a Aukland, interessato all'arte maori, visita il Museo etnologico. Raggiunta Papeete l'8 settembre, si trasferisce nel villaggio di Paunaania, dove affitta un terreno nel quale, con l'aiuto degli indigeni, si costruisce una capanna.
Gli ultimi anni in Polinesia: a Tahiti (1895 - 1901)La donna dei manghi, olio su tela, 97x130 cm, 1896, Museo Puŝckin, Mosca.« Questo paese ci annoia, o Morte! Spieghiamo le vele!
Se il cielo e il mare sono neri come l'inchiostro,
I nostri cuori che tu conosci sono pieni di luce! »(Baudelaire, Voyage)Nell'aprile del 1896 Gauguin scrive al de Monfreid di avere appena dipinto
« una tela di 130 per un metro, che credo ancora migliore di quanto abbia fatto finora: una regina nuda, sdraiata su un tappeto verde, una serva coglie dei frutti, due vecchi, accanto al grosso albero, discutono sull'albero della scienza; fondo di spiaggia; questo leggero schizzo tremolante ve ne darà solo una vaga idea. Credo di non aver mai fatto con i colori una cosa di tanto grave sonorità. Gli alberi sono in fiore, il cane fa la guardia, le due colombe a destra tubano. A che pro inviare questa tela, se ce ne sono tante altre che non si vendono e fanno urlare? Questa farà urlare ancora di più. Sono dunque condannato a morire di buona volontà per non morire di fame »Si tratta probabilmente della prima tela dipinta dopo il suo ritorno in Polinesia, Te arii vahrine (La donna del re) o La donna dei manghi, che insieme richiama, nella posa, le Veneri del Rinascimento – o la Diana di Lucas Cranach il vecchio in particolare – con il suo segno regale del ventaglio e il simbolo sensuale dei manghi, ma anche la Eva del giardino dell'Eden e dell'«albero della scienza»: un'immagine sincretistica dei miti religiosi di tutta la storia dell'Occidente che si fa mito e presenza concreta nell'Oriente maori, secondo la teoria della religione naturale che egli stava elaborando sulla scorta della lettura del The Natural Genesis del filosofo spiritualista inglese Gerald Massey.
No te aha oe riri?, olio su tela, 95x130 cm, 1896, Art Institute, Chicago.Di altro genere è il contemporaneo No te aha oe riri? (Perché sei arrabbiata?): Al di là del titolo, qui vi è la rappresentazione del lento ritmo della vita quotidiana delle indigene, e soprattutto l'espressione dei valori pittorici raggiunti da Gauguin: «La donna in piedi ha la forma del suo colore, ampia e sintetica, bene piantata: è una cosa della natura. La direzione trasversa del primo piano incide con quella parallela al piano di fondo della capanna: cioè la visione è in superficie, con suggerimento di spazio in profondità. Il rosso-viola della terra e del tetto e l'arancio-oliva delle carni si accordano con il verde azzurro dell'ombra e con il giallo luminoso della capanna. Padrone del suo modo di comporre e dei suoi accordi cromatici Gauguin produce con naturalezza, sicuro di sé».[35]
Esempio della concezione della pittura di Gauguin, per il quale il dipinto non è il semplice risultato di un complesso di percezioni trasferite sulla tela, ma è un messaggio dell'artista, la comunicazione di un pensiero, è, tra gli altri, Te tamari no atua (La nascita di Cristo, figlio di Dio). In tal modo si comprende come venga trasformata «la struttura impressionista del quadro in una struttura di comunicazione, espressionista».
Te tamari no atua, olio su tela, 96x128 cm, 1895, N. Pinakothek, München.Il sonno e il sogno della ragazza si materializza nella tela con l'immagine della Sacra Famiglia tahitiana e del presepe; nello stesso tempo nella capanna è presente un totem dipinto, segno dell'unità sostanziale dei miti religiosi. La reale esistenza della giovane compagna dell'artista che attende un figlio e sogna la sua natività è abbinata alla concreta rappresentazione dei fantasmi del suo sogno, coerentemente alla teorizzazione della pittura di memoria, fatta da Gauguin. E poiché nella memoria i minuti particolari di una scena svaniscono e i colori si attenuano, essi non splendono e non vibrano sulla tela. Analogamente, «poiché l'immagine occupa uno spazio e un tempo interiori, non possono esservi effetti di luce: infatti la luce non incide ma emana dalle cose stesse, dal contrasto del corpo olivastro e della veste turchina col giallo chiaro del letto. Blu e giallo sono complementari, sommati danno il verde, e verdi sono le ombre della coperta, verdi e blu i toni dominanti nel fondo».[37]
La sua salute appare compromessa dalla frattura non risolta della caviglia, dalle numerose piaghe alle gambe e dalla sifilide: una degenza di due mesi in ospedale gli reca poco giovamento. Convive con la quattordicenne Pahura che, nel 1896 partorisce una figlia che tuttavia sopravvive solo un anno. Nel marzo del 1897 gli giunge dalla moglie anche la notizia della morte per polmonite della figlia Aline, avvenuta il precedente gennaio; da questo momento non avrà più notizie della famiglia.
Come reazione alla morte di Aline e alle vicissitudini di questo periodo Gauguin avrebbe dipinto di getto la tela Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? nel dicembre 1897. Ne scrisse in diverse lettere inviate in Francia: in quella diretta nel luglio 1901 a Charles Morice volle chiarire il significato del quadro:
Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, olio su tela 139 x 374,5 cm, 1897, Museum of Fine Arts, Boston.« Dove andiamo? Accanto alla morte di una vecchia. Un uccello strano stupido conclude. Che siamo? Esistenza giornaliera. L'uomo d'istinto si chiede che significa tutto ciò. Da dove veniamo? Fonte. Bambino. La vita comune. L'uccello conclude il poema in comparazione dell'essere inferiore di fronte all'essere intelligente in questo grande tutto che è il problema annunciato dal titolo. Dietro a un albero due figure sinistre, avvolte in vesti di colore triste, pongono accanto all'albero della scienza la loro nota di dolore causata da questa scienza stessa in confronto con gli esseri semplici in una natura vergine che potrebbe essere un paradiso di concezione umana, abbandonatasi alla gioia di vivere »E rilevava come, malgrado i passaggi di tono, l'aspetto del paesaggio fosse dato costantemente dal blu e dal verde Veronese. Inviato a Parigi ed esposto l'anno dopo, oltre a grande interesse a apprezzamento, ebbe la critica di essere astrattamente allegorico, espressione arbitraria di un'immaginazione metafisica. Ai suoi critici Gauguin rispose di aver voluto esprimere un sogno che, come tutti i sogni, non si lascia afferrare e non esprime allegorie, ma il cui oggetto era il mistero della vita, realizzato con il colore concepito alla maniera dei simbolisti: «il colore, che è vibrazione come la musica, sta per raggiungere ciò che vi è di più generale e dunque di più vago nella natura: la sua forza interiore»
Racconti barbari, olio su tela, 130x89 cm, 1902, Folkwang M., Essen.Il dipinto di Gauguin richiama quello, esposto al Salon di Parigi nel 1890, di Puvis de Chavannes, Inter Artes et Naturam. Nello schizzo del dipinto che aveva inviato nel febbraio 1898 a Daniel de Monfreid aveva rappresentato i simboli cristiani della croce e del pesce, che nella tela sono in realtà assenti: di fatto Gauguin sembra esprimere la sua adesione al buddhismo – nella quale, in stadi successivi di perfezione, si raggiunge il nirvana – avendovi invece rappresentato chiari simboli buddhisti, come la dea Hina, che richiama le statue del Buddha, il daino che richiama il bassorilievo del tempio di Borobudur, nel quale Buddha è rappresentato come re dei daini e il fiore di loto.
Alla fine di quell'anno porta a termine anche il manoscritto L'Église catholique et les temps modernes, un attacco alla Chiesa cattolica, accusata di «falsificazioni e imposture», in quanto avrebbe tradito lo spirito originario del Cristianesimo. Secondo Gauguin, esiste un'unica verità in tutte le religioni, dal momento che tutte sarebbero fondate su un mito primigenio, dal quale si sarebbero poi differenziate. Si tratta allora di recuperare il significato autentico della dottrina cristiana «corrispondente così esattamente a anche in modo grandioso alle aspirazioni ideali e scientifiche della nostra natura», attuando così «la nostra rigenerazione».
Con un prestito di 1.000 franchi concessogli dalla Cassa agricola di Tahiti compra un terreno a Paunaania e si fa costruire una casa, ma i debiti, le malattie e la depressione l'11 febbraio 1898 lo spingono al suicidio: si avvelena con l'arsenico ma rigetta e si salva.
Il cavallo bianco, olio su tela, 141x91 cm, 1898, Musée d'Orsay, Paris.Considerata la necessità di guadagnare, si trasferisce a Papeete dove s'impiega, per sei franchi al giorno, come scrivano nel Ministero dei Lavori Pubblici finché, con il denaro pervenutogli dall Francia grazie alla vendita di suoi quadri, riesce a estinguere il debito con la banca, lasciare l'impiego e tornare nella sua casa di Paunaania, dove la sua compagna Pahura gli dà un altro figlio, Émile.
Un esempio di felice concordanza cromatica e compositiva è Il cavallo bianco: «I colori sono quasi derivati e quasi complementari: è un accordo di dissonanze. Nel ruscello l'acqua è di un azzurro che tende al viola con luci gialle che tendono all'arancio. Ora, l'azzurro-viola e il giallo arancio sono fra loro complementari. Ma il giallo tende troppo all'arancio e l'azzurro tende troppo al viola per essere assolutamente complementari. Suggeriscono l'accordo complementare senza realizzarlo e riescono a esasperare l'intensità dei due singoli colori. Parimenti, il verde del prato e il rosso del cavallo (nel fondo a sinistra) non sono completamente complementari, perché il rosso tende all'arancio, senza che il verde diventi verdazzurro. Anche l'effetto di tono è trattato alla stessa guisa. Il cavallo "bianco" è di un grigio sensibile, delicato, in cui si riflettono tutti i colori attornianti. In quell'abbassamento di tono c'è una delicatezza, fatta di finezza e di quiete, ch'è un suggerimento di luce, senza che l'effetto di luce sia realizzato».[39]
Nel 1899 comincia a collaborare con il settimanale satirico di Papeete Les guëpes (Le vespe), pubblicandovi articoli e vignette contro l'amministrazione coloniale francese, accusata di opprimere gli abitanti indigeni; in agosto pubblica a sua spese un altro giornale satirico, Le Sourire (Il sorriso), sempre in polemica con l'autorità. Per tutto il 1900 sembra non aver dipinto una sola tela: è certo che la sua salute è malferma e trascorre due mesi in ospedale. Ne esce nel febbraio 1901; venduta la sua casa, lasciata la famiglia tahitiana, il 16 settembre approda in una delle Isole Marchesi, Hiva Oa, stabilendosi nel villaggio di Atuana, dove compra dal vescovo Martin un appezzamento di terra su cui fa costruire la sua nuova casa di 60 metri quadrati, ritta su pali alti 2,40 metri.
A Hiva Oa (1901 - 1903)Giovane tahitiana col ventaglio, olio su tela, 92x73 cm, 1902, Folkwang M., Essen.All'ingresso della sua casa, che chiama Maison du jouir (Casa del piacere), scrive in lingua maori Te Faruru, «Qui si fa l'amore», e la decora con pannelli in legno scolpiti – Soyez amoureuses, vous serez heureuses (Siate innamorate, sarete felici), Soyez mystèrieuses (Siate misteriose), Père Paillard (Padre Licenzioso), Thérèse, allusione ai costumi non irreprensibili del vescovo Martin e della sua perpetua Teresa – e, a ribadire la sua polemica contro il cattolicesimo, frequenta e ritrae il sacerdote indigeno Haapuani – che è costretto a esercitare di nascosto i suoi culti – e la moglie Tohotaua che ritrae rispettivamente ne Lo stregone di Hiva Oa e nella Donna col ventaglio, splendido e luminoso ritratto nei trapassi di tono del giallo dorato, dell'arancio e dell'ambra.
Anche nei Racconti barbari Tohotaua appare in primo piano, a incarnare la rappresentazione della religione maori, con al centro la rappresentazione di quella buddhista, mentre la figura alle loro spalle è l'immagine della religione cristiana, satireggiata nella figura dagli artigli e i tratti volpini.
Donne e cavallo bianco, olio su tela, 92x72 cm, 1903, M. of Fine Arts, Boston.La sua ostilità contro le autorità coloniali e la missione cattolica cresce al punto da fare propaganda presso i nativi perché si rifiutino di pagare le tasse e non mandino più i figli nella scuola missionaria: «La scuola è la Natura», proclama, e la sua opera di persuasione ha successo, tanto che la grande maggioranza degli abitanti dell'isola aderisce al suo invito. Egli denuncia un gendarme, tale Guichenay, accusandolo di favorire il traffico di schiavi e questi lo denuncia a sua volta, accusandolo di calunnia e di sovversione. Il 31 marzo 1903, il tribunale multa e condanna Gauguin a tre mesi di prigione.
Non sconterà la pena: la mattina dell'8 maggio il pastore protestante Vernier lo trova morto, disteso nel suo letto. Gauguin era ammalato di sifilide. Il vescovo Martin, accorso alla notizia, si preoccupa di distruggere quelle opere che giudica blasfeme e oscene: poi assolve la salma e gli concede una sepoltura senza nome nel cimitero della chiesa della missione, che appariva – immagine trascurabile e lontana, eppure incombente dall'alto – nella tela dipinta pochi mesi prima, Donne e cavallo bianco, una valle di paradiso naturale dove Gauguin volle fondere ancora in un'armonia senza tempo l'umanità e gli animali di Hiva Oa.
Pochi nativi assistettero alla sua sepoltura: presto dimenticata, la sua tomba fu ritrovata venti anni dopo e gli fu posta una lapide con la semplice scritta «Paul Gauguin 1903».
Formatosi, dalla metà degli anni Settanta, nell'Impressionismo, si distaccò dall'espressione naturalistica accentuando progressivamente l'astrazione della visione pittorica, realizzata in forme piatte di colore puro e semplificate con la rinuncia alla prospettiva e agli effetti di luce e di ombra, secondo uno stile che fu chiamato sintetismo o cloisonnisme, al quale rimase sempre fedele pur sviluppandolo durante tutta la sua vita e portandolo a piena maturità nelle isole dei mari del Sud, quando egli si propose il tema di rappresentare artisticamente l'accordo armonico della vita umana con quella di tutte le forme naturali, secondo una concezione allora ritenuta tipica delle popolazioni primitive.
I pittori nabis e i simbolisti si richiamarono esplicitamente a lui, mentre la libertà decorativa delle sue composizioni aprì la via all'Art Nouveau, così come il suo trattamento della superficie lo rese un precursore del fauvismo e la semplificazione delle forme fu tenuta presente da tutta la pittura del Novecento.
Gli anni giovanili (1848 - 1873)Miette Gauguin che cuce, olio su tela, 116x81 cm, 1878, Collezione privata.Paul Gauguin nasce a Parigi il 7 giugno 1848 nella casa di rue Notre-Dame-de-Lorette 56, secondogenito del giornalista liberale, originario di Orléans, Clovis Gauguin (1814-1849) e di Aline Marie Chazal (1831-1867), figlia dell'incisore francese André Chazal e della scrittrice peruviana Flora Tristán, socialista, femminista ante-litteram e sostenitrice dell'amore libero.
L'avvento al potere di Napoleone III convince Clovis Gauguin ad abbandonare la Francia e a trasferirsi con la famiglia in Perù: egli muore il 30 ottobre 1849durante il viaggio in piroscafo: la vedova e i figli Paul e Marie Marceline sono ospiti a Lima della famiglia materna. Alla morte, avvenuta ad Orléans nel 1855, del nonno paterno Guillaume, che lascia eredi Aline Chazal e i suoi figli, la famiglia ritorna in Francia, ospiti dello zio Isidore Gauguin.
A Orléans, Paul studia nel Petit-Séminaire dal 1859 e nel 1865 partecipa al concorso per entrare nella scuola navale, ma non supera l'esame. Il 7 dicembres'imbarca allora come allievo pilota in un mercantile che viaggia da Le Havre a Rio de Janeiro: a questo, seguono altri viaggi finché, dopo la morte della madre, avvenuta nel 1867, il 26 febbraio 1868 si arruola nella marina militare, prestando servizio a bordo della corvetta Jéröme Napoleon e partecipando alla successivaguerra franco-prussiana.
Smobilitato, nel 1871 si stabilisce a Parigi dove, attraverso la raccomandazione del tutore Gustave Arosa, che è anche un collezionista d'arte, s'impiega nell'agenzia di cambio Bertin: qui conosce il pittore Émile Schuffenecker. È in questo periodo che, autodidatta, inizia a dipingere, ospite del tutore nella sua proprietà di Saint-Cloud, insieme con la figlia di questi, Marguerite Arosa.
Nel 1873 conosce a Parigi e sposa, sia civilmente che con rito luterano, il 22 novembre, Mette Sophie Gad, una cittadina danese, allora governante e dama di compagnia della moglie del futuro (1875-1894) Presidente del Consiglio danese Jacob Estrup, dalla quale avrà cinque figli: Émile (1874), Aline (1877-1897), Clovis (1879-1900), Jean-René (1881) e Paul, chiamato anche Pola (1883). Anche Jean-René e Pola seguiranno, dopo la morte del padre, la carriera artistica.
La scelta impressionista (1874 - 1887)Nudo di donna che cuce, olio su tela, 115x80 cm, 1880, Ny Carlsberg, CopenaghenAppassionato d'arte, nel 1874 si iscrive all'«Accademia Colarossi» e frequenta anche il pittore Camille Pissarro, i cui consigli gli sono preziosi, così come quelli dello scultore, suo vicino di casa, Bouillot: acquista tele di pittori impressionisti e partecipa, nel 1879, alla quarta mostra impressionista con una scultura.
Per quanto capisca che la pittura impressionista non si adatti al proprio temperamento, replica le sue partecipazioni alle successive rassegne: alla quinta mostra degli impressionisti, nel 1880, presenta un'altra scultura e sette dipinti, nel 1881 presenta due sculture e otto tele, fra le quali il Nudo di donna che cuce, ove la luce è ancora impressionista ma sono ben marcati gli accenti realistici, e la varietà dei colori utilizzati lo denuncia come poco portato ai trapassi di tono. Il dipinto viene tuttavia notato dallo scrittore Joris-Karl Huysmans che ne scrive con ammirazione nella rivista «Art moderne»:
« L'anno scorso, M. Gauguin espose per la prima volta; era una serie di paesaggi, una diluizione di opere ancora incerte di Pissarro; quest'anno, M. Gauguin si presenta con una tela tutta sua, che rivela un incontestabile temperamento di pittore moderno. Porta il titolo: Studio di nudo: non ho timore di affermare che tra i pittori contemporanei che hanno lavorato sul nudo, nessuno ha ancora dato una nota così veemente [...] Che verità, in ogni parte del corpo, in quel ventre un po' grosso che cade sulle gambe »Alla settima mostra, nel 1882, presenta una scultura e dodici tele, fra le quali il Vaso con fiori alla finestra, oggi al Louvre.
La crisi economica che investe l'Europa ha un riflesso anche nella vita di Gauguin che, nel gennaio del 1883, dopo un drammatico crollo della Borsa di Parigi, viene licenziato, come l'amico pittore Schuffenecker, dall'agenzia Bertin: per far fronte alla difficile situazione familiare, in un primo tempo si trasferisce a Rouen, poi rimanda a Copenaghen la moglie e i figli che raggiunge l'anno dopo, nel 1884, avendo lì ottenuto un lavoro di rappresentante. Ma gli affari non vanno bene e allora, nel 1885, ritorna a Parigi con il figlio Clovis. Le difficoltà di guadagnarsi da vivere lo spingono in primo tempo a stabilirsi per tre mesi in Inghilterra, poi ad accettare a Parigi un lavoro di attacchino di manifesti: a causa dell'impossibilità di pagarsi la pensione, cambia spesso alloggio ed è anche ospite nella casa di Schuffenecker. Con tutto ciò, non trascura la pittura e nel maggio del 1886 partecipa all'ottava e ultima mostra degli impressionisti, esponendo diciotto dipinti: uno di questi è le Mucche in un pantano, ora nella Galleria d'Arte Moderna di Milano.
Alberi e figure sulla spiaggia, olio su tela, 46 x 61 cm, 1887, Collezione privata, ParigiIn giugno soggiorna a Pont-Aven, in Bretagna, dove conosce il pittore Charles Laval; tornato a novembre a Parigi, conosce Théo van Gogh, che gestisce una piccola galleria d'arte, e Vincent van Gogh. Nuovamente deciso a cercare fortuna fuori della Francia, il 10 aprile 1887, dopo aver rimandato il figlio Clovis a Copenaghen dalla madre, parte per l'America insieme con il pittore Charles Laval. A Panamá sono in corso i lavori per la costruzione del canalee Gauguin per più di un mese si guadagna da vivere come sterratore; in estate, con Laval, parte per la Martinica, dove dipinge una ventina di tele, finché a novembre, senza soldi, s'ingaggia come marinaio in una nave che lo riporta in Francia, nuovamente ospite, a Parigi, di Schuffenecker.
Il breve soggiorno in Martinica segna un ulteriore distacco della pittura di Gauguin dai principi dell'Impressionismo, come mostrano le tele lì dipinte, esposte nella galleria parigina di Théo van Gogh. Come scrisse successivamente un critico d'arte, egli semplificò i colori, istituendo forti contrasti, che l'amico e primo mentore, l'impressionista Pissarro, giustificò con il fatto che nei paesi tropicali come la Martinica la forma viene assorbita dalla luce, cosicché le sfumature di tono sono impercettibili e allora occorre ripiegare sui contrasti di colore, ma si tratta in realtà, per Gauguin, di una consapevole presa di distanze dalla pittura impressionista. Vincent van Gogh, giudicando quei quadri, vi trovò «un'immensa poesia [...] qualcosa di gentile, di sconsolato, di meraviglioso» e rilevò il «turbamento» di Gauguin di fronte al mancato apprezzamento delle sue opere.
La svolta di Pont-AvenRifiutato l'invito di van Gogh di andare a vivere ad Arles, Gauguin riparte nuovamente, nel febbraio 1888, per Pont-Aven. Della Bretagna e di Pont-Aven – oltre all'ampio credito che la pensione Gloanec, dove alloggia e allestisce lo studio, gli accorda – lo attira «l'elemento selvaggio e primitivo. Quando i miei zoccoli risuonano su questo granito, sento l'eco attutito e potente che vorrei ottenere quando dipingo».
In estate, Pont-Aven si popola di pittori e Gauguin viene raggiunto anche da Charles Laval. Conoscenza decisiva è però quella del giovanissimo Émile Bernard, che in agosto si reca da Saint-Briac nel villaggio bretone portando con sé alcune tele. Egli, insieme con l'amico pittore Anquetin, aveva elaborato un nuovo stile neo-impressionista.
« Quando uno spettacolo naturale viene esageratamente accentuato, finisce per assumere un tono troppo realistico, così che colpisce i nostri occhi a detrimento della mente. Dobbiamo cercare di semplificarlo per poterne penetrare il significato. Io avevo due modi per ottenere tutto questo. Il primo modo consisteva nell'osservare la natura semplificandola al massimo, riducendo le sue linee a eloquenti contrasti, le sue sfumature ai sette colori fondamentali del prisma. Il secondo sistema consisteva nell'affidarsi alle idee e alla memoria, liberandosi da qualsiasi contatto diretto. La prima possibilità comportava una calligrafia semplificata che si proponeva di affermare il simbolismo inerente alla pittura, la seconda era l'atto della mia volontà, che esprimeva, con mezzi analoghi, la mia sensibilità, la mia immaginazione, la mia anima »Già mesi prima, nel maggio 1888, il critico Eduard Dujardin[5] si era espresso in termini altamente elogiativi nei confronti della nuova espressione d'arte, che chiamò cloisonnisme ed attribuì esclusivamente ad Anquetin:
La visione dopo il sermone, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Nat. Gall. of Scotland, Edinburgh« questi quadri danno l'impressione di una pittura decorativa, un tracciato esterno, un colore violento e di getto richiamano inevitabilmente l'imagerie e le giapponeserie. Poi, sotto il tono ieratico del disegno e del colore, s'intuisce una verità sorprendente che si libera dal romanticismo della passione, e soprattutto, poco a poco, la nostra analisi viene richiamata sulla costruzione intenzionale, razionale, intellettuale e sistematica [...] il pittore traccerà il disegno entro linee chiuse entro cui porrà diversi toni, la sovrapposizione dei quali darà la sensazione della colorazione generale ricercata, poiché colore e disegno si compenetrano a vicenda. Il lavoro di questo pittore è qualcosa come una pittura per compartimentisimile al cloisonné, e la sua tecnica risulterà una specie di cloisonnisme »Gauguin è favorevolmente impressionato dallo stile di Bernard, come scrive a Schuffenecker il 14 agosto: «C'è qui il giovane Bernard che ha portato da Saint-Briac alcune cose interessanti. Ecco un individuo che non ha paura di nulla [...] I miei recenti lavori sono sulla buona strada; credo che vi troverete un tono particolare, o meglio una conferma delle mie indagini precedenti, la sintesi di una forma e di un colore che tiene conto solo dell'elemento dominante».
Gauguin fu colpito in particolare da un quadro dipinto da Bernard a Pont-Aven, Donne bretoni in un prato, che egli si fece offrire in cambio di una sua tela. Su uno sfondo verde e piatto, Bernard aveva accentuato i contorni delle masse delle figure e dei vestiti, senza modellare le forme, ottenendo così una forte astrazione dell'immagine. Il dipinto che Gauguin portò a termine nel settembre 1888, la La visione dopo il sermone, è certamente debitore del quadro di Bernard, che nei suoi Ricordi inediti non manca di rilevarlo: nella La visione dopo il sermone, Gauguin «aveva semplicemente messo in atto non la teoria colorata di cui gli avevo parlato, ma lo stile precipuo delle mie Donne bretoni in un prato, dopo aver stabilito un fondo del tutto rosso in luogo del mio giallo-verde. In primo piano mise le mie stesse grandi figure dalle cuffie monumentali di castellane».
Gauguin si disse invece convinto di aver fatto qualcosa di assolutamente nuovo, che segnava il suo cosciente abbandono della maniera impressionista. Spiegava che il dipinto rappresentava delle donne che, dopo aver ascoltato il sermone del loro parroco, immaginavano di assistere all'episodio biblico: «il paesaggio e la lotta dei due contendenti esistono solo nell'immaginazione di questa gente che prega, è il risultato del sermone. Ecco perché vi è un contrasto fra quelle donne reali e la lotta di Giacobbe e l'angelo inserita nel paesaggio, che resta irreale e sproporzionata».
Pissarro, da parte sua, criticò l'opera per mancanza di originalità e per aver fatto un passo indietro rispetto alle moderne tendenze, rimproverandogli di aver «rubacchiato ai pittori giapponesi, ai bizantini e ad altri; gli rimprovero di non aver applicato la sua sintesi alla nostra filosofia moderna, che è assolutamente sociale, anti-autoritaria e anti-mistica».
Il sintetismoNel nuovo stile di Gauguin – il cloisonnisme o sintetismo – il colore si chiude in zone, così che la scena si presenta in superficie e si annulla ogni rapporto tra spazio e volumi. Allo stesso Bernard, a proposito dell'uso delle ombre, Gauguin scrive:
Il Cristo giallo, olio su tela, 92x73 cm, 1889, Albright-Knox A. G., Buffalo.« Guardate i giapponesi, che pure dipingono in modo ammirevole e vedrete una vita all'aria aperta e al sole, senza ombre. Usano i colori solo come combinazione di toni, di armonie diverse [...] voglio staccarmi quanto più è possibile da qualsiasi cosa che dia l'illusione di un oggetto, e poiché le ombre sono il trompe-l'oeil del sole, sono propenso a eliminarle. Ma se una sfumatura entra nella composizione come forma necessaria, allora è diverso [...] Così, mettete pure delle ombre, se le giudicate utili, oppure non le mettete: è la stessa cosa, se non siete schiavi dell'ombra. È piuttosto questa che deve essere al vostro servizio »Per evitare, dipingendo all'aperto, di essere condizionato dagli effetti di luce, dipinge a memoria, semplificando le sensazioni ed eliminando i particolari; di qui l'espressione di una forma, più che sintetica – giacché ogni forma in arte è sempre necessariamente sintetica – sintetistica, perché volutamente semplificata. Egli rinuncia anche ai colori complementari che, se avvicinati, si fondono e preferisce mantenere ed esaltare il colore puro: «Il colore puro. Bisogna sacrificargli tutto».
Tuttavia egli non porta alle estreme conseguenze questa concezione, perché l'uso di soli colori puri avrebbe distrutto spazio e volumi e allora attenua l'intensità delle tinte: ne deriva il tono generalmente «sordo» e un disegno piuttosto sommario, come confida a Bernard: «La mia natura porta alsommario in attesa del completo alla fine della mia carriera». Evita anche di cadere nella triviale decorazione, come spesso accade all'Art Nouveau che origina da quegli stessi presupposti, racchiudendo «nelle sue superfici decorative un contenuto fantastico, onde creò il simbolismo pittorico».
Il Cristo giallo, dipinto nel 1889, è un chiaro esempio di come concepisca la sua arte: «La forma sommaria del Cristo rappresenta abbastanza bene l'opera popolaresca, ma è appunto sommaria, non messa a punto per sostenere il rapporto delle tinte pure. L'interesse dell'artista è altrove, nel color giallo dell'immagine in rapporto con il giallo del fondo e con gli azzurri delle ombre, per esprimere la tristezza del paese, la sua aridità, il suo aspetto autunnale. Il simbolismo è dunque per Gauguin un modo di esprimersi indirettamente. Le scene della vita quotidiana sono un'occasione ora per un ritmo decorativo, ora per un motivo paesistico, e l'uno e l'altro alludono a uno stato di tristezza che dovrebbe accompagnare la vita religiosa».
Il pittore Paul Sérusier, presente a Pont-Aven in quell'estate del 1888, apprese dallo stesso Gauguin una «lezione» di pittura impartita secondo il principio sintetistico, che così riassunse:
« L'impressione della natura deve essere legata al senso estetico che seleziona, ordina, semplifica e sintetizza. Il pittore non dovrebbe fermarsi, finché non ha dato vita sotto forma plastica al frutto della sua immaginazione, nato dalla fusione della sua mente con la realtà. Gauguin insisteva sulla costruzione logica della composizione, sull'armonia di colori chiari e di colori scuri, sulla semplificazione delle forme e delle proporzioni, così da accentuarne i contorni con un'espressione eloquente e poderosa »[modifica]Il dramma di Arles (1888)260pxMiserie umane, olio su tela, 73x92 cm, 1888, Ordrupgaard M., CopenaghenIn quell'estate del 1888 Théo van Gogh stipula con Gauguin un contratto che garantisce al pittore uno stipendio di 150 franchi in cambio di un quadro ogni mese; lo invita poi a raggiungere il fratello Vincent ad Arles, in Provenza, pagandogli il soggiorno. Gauguin, non abituato a ricevere tanto denaro, non può rifiutare e il 29 ottobre 1888 raggiunge Arles.
Mentre van Gogh apprezza il paesaggio mediterraneo e dimostra grande ammirazione per il suo nuovo compagno, con il quale spera di fondare un'associazione di pittori, Gauguin rimane deluso della Provenza - «trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone», scrive a Bernard – e non crede possibile una lunga convivenza con Vincent, dal quale tutto lo divide: carattere, abitudini, gusti e concezioni artistiche: van Gogh «ammira molto i miei quadri, ma quando li faccio, trova sempre che ho torto qui, ho torto là. Lui è romantico, io invece sono portato verso uno stato primitivo. Dal punto di vista del colore, lui maneggia la pasta come Monticelli, io detesto fare intrugli».
Vanno tuttavia insieme a dipingere i dintorni della cittadina: la Vendemmia (o Miserie umane) viene così descritta a Bernard:
« Vigne rosse che formano triangolo verso l'alto giallo cromo. A sinistra, una bretone del Pouldu nero, grembiule grigio. Due bretoni abbassate dai vestiti blu-verde chiaro e corsetto nero. In primo piano, terreno rosa, e poveretta dai capelli arancione, camicia bianca e sottana (terra verde con del bianco). Il tutto eseguito a grandi tratti riempiti di toni quasi uniti con una spatola molto spessa su grossa tela di sacco. È un effetto di vigne che ho visto ad Arles. Ci ho messo delle bretoni: tanto peggio per l'esattezza. È il mio quadro più bello di quest'anno e appena sarà asciugato lo manderò a Parigi »Gauguin fa anche un ritratto di van Gogh, intento a dipingere gli amati girasoli, a proposito del quale Vincent esclama: «Sono certamente io, ma io divenuto pazzo». Quella sera stessa vi è un litigio violento in un caffè di Arles e van Gogh, ubriaco, scaglia il suo bicchiere contro Gauguin.
Scrive allora a Théo van Gogh di essere costretto, data la situazione, a tornare a Parigi. il 23 dicembre, secondo il racconto di Gauguin, van Gogh lo rincorre per strada con in mano un rasoio. Si volta e lo fissa: van Gogh si ferma e ritorna a casa dove, in preda a una crisi psicotica, si taglia un orecchio. Gauguin, che è andato a dormire in albergo, la mattina dopo trova i gendarmi che in un primo tempo lo fermano, accusandolo di aver ucciso l'amico, poi si rendono conto che van Gogh si è ferito da solo e dorme, e lo rilasciano. La vigilia di Natale Gauguin parte per Parigi.
Il ritorno in Bretagna (1889)Durante i tre mesi passati a Parigi, riceve l'invito di esporre alla mostra dei XX tenuta nel febbraio 1889 a Bruxelles: vi spedisce dodici tele, ma i suoi dipinti, che rimangono tutti invenduti, con i loro prati rossi, gli alberi blu e i cieli gialli, provocano l'ilarità del pubblico ma l'apprezzamento del critico Maus: «Esprimo la mia sincera ammirazione per Paul Gauguin, uno dei coloristi più raffinati che io conosca e il pittore più alieno dai consueti trucchi che esista. L'elemento primitivo della sua pittura mi attrae come mi attrae l'incanto delle sue armonie. Vi è in lui del Cézanne e del Guillaumin; ma le sue tele più recenti testimoniano che si è avuta un'evoluzione rispetto a quelli e che già l'artista si è liberato da tutte le influenze ossessive».
La belle Angèle, olio su tela, 92x72 cm, 1889, Musée d'Orsay, ParigiTornato in aprile a Pont-Aven, a maggio ritorna ancora a Parigi – in quell'anno, centenario della Rivoluzione, si teneva l'Esposizione Internazionale con l'inaugurazione della Tour Eiffel – per organizzare la mostra del Gruppo impressionista e sintetista nei locali del Caffè Volpini: vi partecipano anche Louis Anquetin, Émile Bernard, Léon Fauché, Charles Laval, Daniel de Monfreid, Louis Roy ed Émile Schuffenecker. Il critico Fénéon sostenne che Gauguin era influenzato da Anquetin - «un'influenza puramente formale, perché nelle sue opere abili e di gusto decorativo, non sembra circolare la minima emozione» - mentre Albert Aurier rilevò in Gauguin, Bernard e Anquetin «una netta tendenza al sintetismo del disegno, della composizione e del colore, così come alla ricerca dei mezzi di semplificazione di espressione».
Nessuno degli espositori, malgrado il nome dato al gruppo, era comunque un impressionista e infatti la mostra ebbe la disapprovazione dei «veri» impressionisti, Pissarro in testa. Così, senza che nessuno degli espositori fosse riuscito a vendere un solo quadro, Gauguin ritornò a Pont-Aven e di qui si trasferì in autunno nel vicino Le Pouldu, allora un minuscolo villaggio, anch'esso affacciato sull'Oceano.
Composto nel 1889 è, tra gli altri, La belle Angèle, ossia Angèle Satre, moglie del sindaco di Pont-Aven, dipinto lodato da van Gogh per quel «qualcosa di così fresco e, ancora, contadinesco, che è bello a vedersi». Il ritratto è iscritto in una sorta di cerchio magico, spostato a destra per far posto, a sinistra, alla raffigurazione di un idolo orientale, come a istituire un'analogia tra le due immagini e alludere a un'ansia mistica del pittore.
Egli è il leader incontestato di un gruppo di giovani pittori, Sérusier, Meyer de Haan, Roy, Charles Filliger, Laval, Maxime Maufra, ai quali s'impone tanto per il suo prestigio che per la sua maggiore età e per una sua certa arrogante durezza di carattere, ma non nasconde la sua amarezza per il mancato riconoscimento pubblico della sua arte. Vuole allontanarsi dalla Francia, dalla quale poco spera: fa domanda al governo francese per essere inviato come colono nel Tonchino, i territori indocinesi sottoposti dal 1884 a protettorato francese, ma la sua domanda viene respinta. Per intanto, nel gennaio 1890, torna a Parigi, ancora una volta ospitato da Schuffanecker.
Parigi (1890 - 1891): Gauguin e il simbolismoOndina, olio su tela, 92x72 cm, 1889, Museum of Art, Cleveland.Nella capitale conosce un inventore, un certo Charlopin, che gli offre, per un consistente gruppo di quadri, 5.000 franchi, una somma con la quale Gauguin potrebbe permettersi un lunghissimo soggiorno in qualunque terra tropicale, ma l'offerta non va in porto. Passa mesi febbrili, tra Parigi e la Bretagna, in cerca di compagni e di denaro.
Non sa neanche decidersi in quale paese andare, se in Tonchino prima o se poi nel Madagascar: infine opta per la Polinesia. Al pittore simbolista Odilon Redon, che gli ha fatto un ritratto e cerca di dissuaderlo a partire, scrive di aver «deciso di andare a Tahiti per finire là la mia esistenza. Credo che la mia arte, che voi ammirate tanto, non sia che un germoglio, e spero di poterla coltivare laggiù per me stesso allo stato primitivo e selvaggio. Per far questo mi occorre la calma: che me ne importa della gloria di fronte agli altri! Per questo mondo Gauguin sarà finito, non si vedrà più niente di lui».
Dal novembre 1890, a Parigi, frequenta un gruppo di giovani pittori che, con il nome di «Nabis», profeti in ebraico, hanno dato vita a circolo di pittura simbolista, in gran parte debitrice dei principi sintetisti di Gauguin. Ne fanno parte Paul Sérusier, Denis, Pierre Bonnard, Ker-Xavier Roussel, Félix Vallotton e Édouard Vuillard, sostenuti da critici come Albert Aurier e Lugné-Poe e poeti e scrittori come Mallarmé, Jean Moréas, Maurice Barrès, Paul Fort e Charles Morice, il quale, dopo averlo descritto come uomo dal «grande viso ossuto e massiccio, dalla fronte stretta, dal naso non curvo, non adunco, ma come spezzato, con una bocca dalle labbra strette e senza inflessione, con delle palpebre pesanti [...] in cui una altezzosa nobiltà, evidentemente connaturata, si mescolava a una semplicità che confinava con la trivialità», testimonia dell'elogio dell'arte primitiva fatta da Gauguin in occasione di uno di quegli incontri:
« L'arte primitiva parte dallo spirito e si serve della natura. L'arte cosiddetta raffinata parte dalla sensualità e serve la natura. La natura è la serva della prima e la padrona della seconda. Ma la serva non può dimenticare la sua origine e avvilisce l'artista lasciandosi adorare da lui. È così che siamo caduti nell'abominevole errore del naturalismo. Il naturalismo comincia con i greci di Pericle. Poi non si sono avuti più o meno grandi artisti che tra coloro che più o meno hanno reagito contro questo errore. Ma le loro reazioni non sono state che trasalimenti di memoria, bagliori di buon senso in un movimento di decadenza che prosegue ininterrotto nei secoli. La verità è nell'arte cerebrale pura, nell'arte primitiva; il più sapiente di tutti i paesi è l'Egitto. Là è il principio. Nella nostra miseria attuale non c'è salvezza possibile che nel ritorno sincero e consapevole al principio. E questo ritorno deve costituire la meta del simbolismo in poesia e in arte! »La perdita della verginità, olio su tela, 90x130 cm, 1891, Chrysler Art Museum, Norfolk, USAL'intento di Gauguin non è tanto quello di presentarsi come l'iniziatore e il promotore della poetica simbolista, quanto quello di procurarsi la massima pubblicità e solidarietà in vista di una progettata vendita all'asta dei suoi dipinti, con il cui ricavato contava di poter finalmente salpare per le isole polinesiane. Egli infatti si preoccupa di dipingere una tela in pretto stile simbolista, La perdita della verginità, in cui una giovane, sulla quale posa una volpe, simbolo della lussuria, è adagiata su un paesaggio che nulla ha di naturalistico, al fondo del quale si svolge un corteo nuziale. Modella del dipinto fu la ventenne Juliette Huet, sua attuale amante, dopo il tentativo di Gauguin di stabilire una relazione con Madame Schuffenacker, che naturalmente portò all'interruzione dei rapporti con Émile Schuffenecker.
L'asta delle opere di Gauguin, tenuta a Parigi il 23 febbraio 1891, frutta più di 9.000 franchi, come comunica alla moglie la quale, pur dovendo mantenere a Copenaghen cinque figli facendo traduzioni dal francese, non ottiene un soldo. L'asta era stata preparata da diversi articoli che esaltavano l'opera del pittore e fu seguita da un lungo articolo di Albert Aurier che consacrava Gauguin come capostipite del simbolismo in pittura.
Dopo aver premesso che lo scopo dell'arte non può essere la diretta rappresentazione delle cose, ma delle «Idee», degli «Esseri assoluti», gli unici che abbiano una autentica realtà, di cui gli oggetti naturali sono soltanto «segni», compito dell'artista «ideista» è esprimersi mediante questi segni, sapendo che la realtà è solo l'idea. Dunque il segno rappresentato dal pittore nella tela non sarà un oggetto concreto, così come nella tela dovrà essere evitato ogni illusionismo fallace:
« È logico che l'artista rifugga dall'analisi per non incorrere nei pericoli della verità concreta. Ogni particolare in realtà non è che un simbolo parziale molto spesso inutile in rapporto al significato totale dell'oggetto. Di conseguenza, stretto dovere del pittore ideista è effettuare una selezione naturale tra i molteplici elementi che compongono l'oggettività, non utilizzare nelle sue opere che le linee, le forme, i colori generali e distintivi che servono a esprimere chiaramente il significato ideico dell'oggetto, piuttosto che qualche simbolo parziale che avalla il simbolo generale »Natura morta con mele, pere e ceramica, olio su tela, 28x36 cm, 1890, Fogg Art Museum, Cambridge, Mass., USAForme, linee e colori potranno essere esagerati, attenuati o deformati, seguendo tanto la necessità dell'espressione dell'«Idea» che la propria visione artistica. L'arte simbolista sarà dunque ideista, perché espressione di un'idea; simbolista, perché esprime l'idea attraverso una forma, ossia un insieme dei segni; sintetica, perché questa forma dovrà essere generalmente comprensibile; soggettiva, perché ogni oggetto rappresentato non sarà un oggetto naturale, ma un segno dell'idea percepita dal soggetto, il pittore; decorativa, termine che in Aurier riassume il significato dell'arte che è insieme «soggettiva, sintetica e ideista».
Naturalmente, un artista, per essere all'altezza del compito di esprimere l'astratto significato di un oggetto dovrà avere un «dono sublime», riservato a pochi, un «dono dell' emotività così grande e così prezioso, da far rabbrividire l'anima di fronte al dramma sfuggente delle astrazioni»: se questo dono è concesso al pittore, allora «i simboli, cioè le Idee, sorgono dalle tenebre, si animano, si mettono a vivere di una vita che non è più la nostra vita contingente e relativa, ma di una vita abbagliante che è la vita essenziale, la vita dell'Arte». E concludeva che tale era l'arte di Gauguin, «grande artista di genio, dall'anima primitiva e un po' selvaggia».
L'articolo provoca la rottura dei rapporti di Gauguin con Bernard, che si considerava in qualche modo l'ispiratore di Gauguin, offeso per non essere stato invitato a esporre le sue opere all'asta e per non essere stato affatto citato nell'articolo dell'Aurier, e la reazione del vecchio impressionista Pissarro, che ironizza, in una lettera al figlio Lucien, con il critico, rimproverandogli di non tener conto che quei segni, di cui l'Aurier parla, «devono essere più o meno disegnati. È anche necessario possedere un po' di armonia per rendere le idee e di conseguenza bisogna avere delle sensazioni per avere delle idee. Questo signore sembra prenderci per imbecilli!». E sul «cattolico Gauguin» Pissarro, da socialista e comunardo, è ancora più duro, dandogli del calcolatore e dell'arrivista:
« Gauguin non è un veggente, è un essere diabolico che si è accorto che la borghesia tornava indietro sotto le grandi idee di solidarietà che germogliano tra il popolo: idea incosciente ma feconda e la sola legittima! I simbolisti si trovano nella stessa situazione! Per questo bisogna combatterli come la peste! »A marzo, grazie all'intercessione del figlio di Ernest Renan, Gauguin ottiene dal Ministro francese delle Belle Arti Rouvier il riconoscimento di «missione gratuita» del suo viaggio – in sostanza, la promessa di acquistare un suo quadro al suo ritorno in Francia – oltre a uno sconto sul biglietto di viaggio.
Il 23 marzo 1891 Gauguin saluta gli amici simbolisti in un pranzo tenuto nel loro ritrovo abituale del Café Voltaire di Parigi; il 4 aprile parte per Marsiglia dove, il 24 aprile, lo attendeva la nave per Tahiti. Da pochi giorni era morto Seurat; Renoir, a Parigi, conosciuta la partenza di Gauguin, commentò semplicemente: «Si può dipingere anche alle Batignolles».
A Tahiti (1891 - 1893)« Io partirò. Battello che dondoli l'alberatura
leva l'àncora verso la natura esotica! »(Mallarmé, Brise marine)Il viaggio da Parigi durò 63 giorni, a causa dei lunghi scali – a Bombay, a Perth, a Melbourne, a Sidney, a Auckland – effettuati lungo il percorso. Il 28 giugno 1891 Gauguin sbarca a Papeete, il capoluogo di Tahiti, presentandosi al governatore per specificargli la sua condizione di «inviato in missione artistica»; ha la sfortuna, due settimane dopo, di apprendere la notizia della morte del re dell'isola, Pomaré V, dal quale sperava di ottenere dei favori particolari: ora, invece, l'amministrazione passa in mani francesi.
Vahine no te tiare, olio su tela, 70x46 cm, 1891, Ny Carsberg, Copenaghen.Tahiti, dove per la prima volta sbarcò l'inglese Samuel Wallis nel 1767, divenne protettorato francese nel 1842 e fu annessa alla Francia nel 1880, con un atto firmato dal re Pomaré V. I tahitiani divenivano cittadini francesi e mantenevano la proprietà delle terre. L'emigrazione europea aveva condotto alla formazione di famiglie miste e introdotto modi di vita europei, allo sviluppo del commercio, della piccola industria, dell'agricoltura intensiva, e all'introduzione del culto cristiano, prevalentemente cattolico.
Vahine no te tiare (Donna col fiore), è un capolavoro: Gauguin
« ama la bellezza squadrata, senza finezze, sicura e forte, delle donne di Tahiti; sente simpatia per la loro ingenua naturalità; è entusiasta dei toni caldi e ricchi della loro carne. Egli ama troppo la sua modella per sacrificarla al sintetismo; e perciò dipinge in modo sintetico ma non sintetistico.; la sua forma è tutta accenti, ma nulla che valga è tralasciato; e nulla è astratto, perché ogni linea e ogni tono son pieni di ammirazione e di gioia. Il doloroso, malefico Gauguin è scomparso. lontano dalla civiltà, oltre Papeete, nella foresta, egli ha ritrovato la sua calma, la sua umanità, la sua gioia. E con la sua gioia ritrova la giustezza del tono, scuro su chiaro, e l'armonia calma non più esasperata dei colori. Il giallo bruno delle carni, l'azzurro nero dei capelli e l'azzurro viola della veste (appena interrotti da qualche zona bianco-rosa) risaltano sul fondo chiaro, arancione in alto e rosso in basso, sparso di foglie verdi. E persino certe mancanze costruttive, proporzionali, volumetriche o luministiche, diventano qualità perché sottintendono freschezza o vivacità d'espressione, spontaneità creativa. Gauguin ha fatto opere belle come questa, ma non migliori »Questo è il primo dipinto tahitiano di Gauguin a essere inviato in Francia e a essere esposto, nel settembre 1892, nella Galleria d'arte Goupil, deludendo però gli amici che si attendevano un quadro in pretto stile simbolista.
Ia Orana Maria, olio su tela, 114x89 cm, 1891, Metropolitan, New York.La capitale Papeete accoglie soprattutto funzionari francesi e le famiglie dei notabili indigeni, delle quali l'effigiata è un'esponente: non vi può essere, in quel luogo, l'espressione dell'autentica civiltà maori, dei genuini caratteri e dei ritmi vitali degli indigeni non ancora toccati dal dominante influsso coloniale, che possono essere rintracciati solo nei villaggi più lontani. Perciò, dopo qualche mese, insieme con la meticcia Titi, si trasferisce venti chilometri più lontano, a Pacca; lasciata poi anche Titi, troppo «civilizzata», va nel villaggio di Mataiea, dove si stabilisce in una capanna davanti all'Oceano: in un altro villaggio conosce la tredicenne Tehura, che accetta di andare a vivere con lui.
In Noa-Noa, la profumata – il racconto biografico e romanzato della sua scoperta dell'isola – scrive che «la civiltà mi sta lentamente abbandonando. Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per il mio prossimo, anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Sfuggo alla fatica, penetro nella natura: con la certezza di un domani uguale al presente, così libero, così bello, la pace discende in me; mi evolvo normalmente e non ho più vane preoccupazioni». Non è proprio così, perché il denaro comincia a diminuire, dalla Francia non ne arriva altro e le comunicazioni epistolari sono lentissime.
In Ia Orana Maria (Ave Maria) opera una contaminazione fra cattolicesimo e religione orientale – le due figure di donne richiamano un bassorilievo del tempio di Borobudur, nell'isola di Giava – nell'ambiente paganeggiante dei Tropici. Ne scrive al de Monfreid: «Un angelo dalle ali gialle indica a due donne tahitiane Maria e Gesù, anch'essi tahitiani, una sorta di nudo rivestito dal pareo, specie di cotonina a fiori che si attacca come si vuole alla cintura. Sfondo di montagne molto scure e alberi in fiore. Strada viola cupo e primo piano verde smeraldo; a destra, delle banane. Ne sono molto contento».
Manao tupapau, olio su tela, 73x92 cm, 1892, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo.Nel marzo 1892 Gauguin scrive a de Monfreid di essere stato ammalato: il suo cuore non va infatti come dovrebbe, e a Sérusier di essere alla fine dei soldi e di aver poche speranze di poterne ricavare, né a Tahiti né dalla Francia: giudica infatti i suoi quadri «brutti da tutti i punti di vista», tali da non poter essere accettati e venduti ai collezionisti parigini. In compenso, si mostra più ottimista con la moglie, che gli chiedeva spiegazioni sulla sua lunga assenza, sostenendo di aver prodotto 44 tele molto importanti, dal valore presuntivo di almeno 15.000 franchi, assicurandola che «quello che sto facendo qui non è mai stato fatto da nessuno e che in Francia non si conosce. Spero che questa novità potrà decidere in mio favore».
Fra i suoi dipinti più noti di quest'anno e sul quale più si è dilungato nei suoi scritti è Manao tupapau (Pensa allo spettro, tradotto anche come Lo spirito dei morti veglia), dove ritrae Tahura sdraiata prona sul letto, con espressione terrorizzata.
In Noa-Noa scrive che, tornato a notte alta nella sua capanna, trovò «immobile, nuda, supina sul letto, gli occhi enormemente sbarrati dalla paura, Tehura mi guardava e sembrava non riconoscermi [...] Mi sembrava che una luce fosforescente uscisse dai suoi occhi dallo sguardo sbarrato. Non l'avevo mai vista così bella, soprattutto mai di una bellezza così commovente».
Alla moglie comunica di star facendo un nudo di donna: «Una delle nostre giovani avrebbe paura di essere sorpresa in questa posizione (la donna qui no). Allora conferisco al suo volto un po' di terrore [...] Questo popolo ha, tradizionalmente, una grande paura dello spirito dei morti [...] Allora faccio così: armonia generale cupa, triste, spaventosa, che sembri quasi un rintocco funebre. Il violetto, il blu cupo, il giallo arancio. Faccio la biancheria gialla verdastra, prima di tutto perché la biancheria di questi selvaggi è diversa dalla nostra [...] in secondo luogo perché suggerisce la luce artificiale [...] in terzo luogo, questo giallo, combinandosi con il giallo arancio e il blu, completa l'accordo musicale».
Il fantasma dipinto in ossequio dei principi simbolistici è tuttavia inutile e disturba l'effetto che viene raggiunto per via puramente cromatica: tutte le spiegazioni sulla genesi del dipinto sono stati fatti a uso e consumo di coloro che pretendono di conoscere «il perché e il per come. Tuttavia, si tratta semplicemente di uno studio di nudo tropicale».
Gauguin si preoccupa di comprendere e di documentarsi sulla credenze indigene e sulle loro manifestazioni artistiche: trova oggetti d'uso comune, decorati con motivi geometrici che richiamano tuttavia le fattezze umane.
Lesse poi il Voyage aux Îles du Grand Océan di Jacques-Antoine Moerenhout, pubblicato nel 1837, trascrivendone stralci nel suo manoscritto Ancien culte mahorie. La triade divina della religione maori – che allora si credeva originaria dell'Indonesia – è costituita dal dio creatore Taaroa, dalla dea Hina, che richiama la luna e il ciclo naturale della vita, e dal loro figlio Fatu, la terra che anima ogni cosa ma rifiuta di concedere l'immortalità alle creature alle quali è concesso solo di generare e di perpetuarsi attraverso l'eterno ciclo della vita e della morte.
A Tahiti non esistevano rappresentazioni artistiche delle divinità, se non i tiki, gli idoli, sculture in legno rappresentanti divinità minori, utilizzate, fino all'arrivo dei missionari, alla fine del Settecento, a segnare i recinti (i marae) ove si svolgevano i riti sacrificali. Secondo il Moerenhout, i tahitiani utilizzavano lunghi legni avvolti da fibre vegetali, che rappresentavano gli atuas, i discendenti del dio Taaroa, fra le quali si inserivano delle piume rosse: queste piume erano l'immagine di Taaroa.
Gauguin creò sculture in legno e in ceramica rappresentando dei e idoli maori, senza scrupoli filologici, ma operando una contaminazione di motivi iconografici, ridando in qualche modo vita a immagini della tradizione religiosa tahitiana in via di estinzione, raggiungendo «il fine di ridare forma e speranza a una società sul punto di morire». Così, l' Idolo con la perla «ha i tratti del Buddha seduto assalito da Mara (il diavolo della religione buddhista) di un rilievo di Borobudur; la perla rappresenta il terzo occhio, la visione interiore». Oviri (Selvaggio), ceramica realizzata a Parigi nel 1894, prima della partenza per il secondo e definitivo viaggio a Tahiti, rappresenta la Tueuse (colei che uccide), una donna-mostro che schiaccia ai suoi piedi un lupo mentre con una mano si stringe al fianco un cucciolo di lupo: dunque è colei che uccide ma che dà anche la vita.
Il ritorno in Francia (1893 - 1895)Aita Tamari vahina Judith te Parari, olio su tela, 116x81 cm, 1896, Coll. privata, Winterthur.Senza più denaro, carico di debiti, perché le tele inviate in Francia fruttano poco denaro, non può che desiderare di lasciare Tahiti: nell'aprile 1893 riceve 700 franchi inviatogli dalla moglie, appena sufficienti per saldare i debiti e pagarsi il viaggio di ritorno. A maggio lascia Tehura e il suo bambino nato il mese prima e, carico delle sue tele, s'imbarca per la Francia: il 3 agosto sbarca a Marsiglia.
Grazie al denaro inviatogli dagli amici Paul Sérusier e Daniel de Monfreid, può trasferirsi da Marsiglia a Parigi, dove affitta un piccolo appartamento e va al ristorante pagandosi i pasti con i quadri. La morte dello zio Isidore lo soccorre con l'eredità di 9.000 franchi e Gauguin può traslocare insieme con Annah Martin, una giovane cameriera mulatta, di origine giavanese – rappresentata nel dipinto Aita Tamari vahina Judith te Parari – in un alloggio-studio confortevole e arredato esoticamente, dalle pareti dipinte in giallo e in verde, dove accoglie gli amici del circolo simbolista.
Tiene una mostra nella Galleria Durand-Ruel, il cui catalogo avrebbe dovuto avere una presentazione scritta da Strindberg che tuttavia rifiuta, rimproverando a Gauguin di aver creato, con le sue tele tahitiane, «una nuova terra e un nuovo cielo, ma io non mi piaccio all'interno della nuova creazione, e nel vostro paradiso abita una Eva che non è il mio ideale»
A dicembre rende l'ultima visita alla famiglia a Copenaghen e nel maggio del 1894 ritorna nei suoi luoghi preferiti della Bretagna: il 24, a Concarneau, alcuni marinai rivolgono pesanti apprezzamenti alla sua compagna Annah; egli reagisce, ma viene picchiato e si frattura una caviglia. Come non bastasse, mentre è ricoverato in ospedale, l'amica Annah torna a Parigi, s'impossessa del denaro – non dei dipinti – e fa perdere le sue tracce.
Gauguin non era certo tornato in Francia per rimanervi: nuovamente deciso a partire per la Polinesia, organizza il 18 febbraio 1895 una vendita delle sue tele: il ricavo è modesto ma sufficiente per partire. Si imbarca il 3 luglio a Marsiglia e durante lo scalo a Aukland, interessato all'arte maori, visita il Museo etnologico. Raggiunta Papeete l'8 settembre, si trasferisce nel villaggio di Paunaania, dove affitta un terreno nel quale, con l'aiuto degli indigeni, si costruisce una capanna.
Gli ultimi anni in Polinesia: a Tahiti (1895 - 1901)La donna dei manghi, olio su tela, 97x130 cm, 1896, Museo Puŝckin, Mosca.« Questo paese ci annoia, o Morte! Spieghiamo le vele!
Se il cielo e il mare sono neri come l'inchiostro,
I nostri cuori che tu conosci sono pieni di luce! »(Baudelaire, Voyage)Nell'aprile del 1896 Gauguin scrive al de Monfreid di avere appena dipinto
« una tela di 130 per un metro, che credo ancora migliore di quanto abbia fatto finora: una regina nuda, sdraiata su un tappeto verde, una serva coglie dei frutti, due vecchi, accanto al grosso albero, discutono sull'albero della scienza; fondo di spiaggia; questo leggero schizzo tremolante ve ne darà solo una vaga idea. Credo di non aver mai fatto con i colori una cosa di tanto grave sonorità. Gli alberi sono in fiore, il cane fa la guardia, le due colombe a destra tubano. A che pro inviare questa tela, se ce ne sono tante altre che non si vendono e fanno urlare? Questa farà urlare ancora di più. Sono dunque condannato a morire di buona volontà per non morire di fame »Si tratta probabilmente della prima tela dipinta dopo il suo ritorno in Polinesia, Te arii vahrine (La donna del re) o La donna dei manghi, che insieme richiama, nella posa, le Veneri del Rinascimento – o la Diana di Lucas Cranach il vecchio in particolare – con il suo segno regale del ventaglio e il simbolo sensuale dei manghi, ma anche la Eva del giardino dell'Eden e dell'«albero della scienza»: un'immagine sincretistica dei miti religiosi di tutta la storia dell'Occidente che si fa mito e presenza concreta nell'Oriente maori, secondo la teoria della religione naturale che egli stava elaborando sulla scorta della lettura del The Natural Genesis del filosofo spiritualista inglese Gerald Massey.
No te aha oe riri?, olio su tela, 95x130 cm, 1896, Art Institute, Chicago.Di altro genere è il contemporaneo No te aha oe riri? (Perché sei arrabbiata?): Al di là del titolo, qui vi è la rappresentazione del lento ritmo della vita quotidiana delle indigene, e soprattutto l'espressione dei valori pittorici raggiunti da Gauguin: «La donna in piedi ha la forma del suo colore, ampia e sintetica, bene piantata: è una cosa della natura. La direzione trasversa del primo piano incide con quella parallela al piano di fondo della capanna: cioè la visione è in superficie, con suggerimento di spazio in profondità. Il rosso-viola della terra e del tetto e l'arancio-oliva delle carni si accordano con il verde azzurro dell'ombra e con il giallo luminoso della capanna. Padrone del suo modo di comporre e dei suoi accordi cromatici Gauguin produce con naturalezza, sicuro di sé».[35]
Esempio della concezione della pittura di Gauguin, per il quale il dipinto non è il semplice risultato di un complesso di percezioni trasferite sulla tela, ma è un messaggio dell'artista, la comunicazione di un pensiero, è, tra gli altri, Te tamari no atua (La nascita di Cristo, figlio di Dio). In tal modo si comprende come venga trasformata «la struttura impressionista del quadro in una struttura di comunicazione, espressionista».
Te tamari no atua, olio su tela, 96x128 cm, 1895, N. Pinakothek, München.Il sonno e il sogno della ragazza si materializza nella tela con l'immagine della Sacra Famiglia tahitiana e del presepe; nello stesso tempo nella capanna è presente un totem dipinto, segno dell'unità sostanziale dei miti religiosi. La reale esistenza della giovane compagna dell'artista che attende un figlio e sogna la sua natività è abbinata alla concreta rappresentazione dei fantasmi del suo sogno, coerentemente alla teorizzazione della pittura di memoria, fatta da Gauguin. E poiché nella memoria i minuti particolari di una scena svaniscono e i colori si attenuano, essi non splendono e non vibrano sulla tela. Analogamente, «poiché l'immagine occupa uno spazio e un tempo interiori, non possono esservi effetti di luce: infatti la luce non incide ma emana dalle cose stesse, dal contrasto del corpo olivastro e della veste turchina col giallo chiaro del letto. Blu e giallo sono complementari, sommati danno il verde, e verdi sono le ombre della coperta, verdi e blu i toni dominanti nel fondo».[37]
La sua salute appare compromessa dalla frattura non risolta della caviglia, dalle numerose piaghe alle gambe e dalla sifilide: una degenza di due mesi in ospedale gli reca poco giovamento. Convive con la quattordicenne Pahura che, nel 1896 partorisce una figlia che tuttavia sopravvive solo un anno. Nel marzo del 1897 gli giunge dalla moglie anche la notizia della morte per polmonite della figlia Aline, avvenuta il precedente gennaio; da questo momento non avrà più notizie della famiglia.
Come reazione alla morte di Aline e alle vicissitudini di questo periodo Gauguin avrebbe dipinto di getto la tela Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? nel dicembre 1897. Ne scrisse in diverse lettere inviate in Francia: in quella diretta nel luglio 1901 a Charles Morice volle chiarire il significato del quadro:
Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, olio su tela 139 x 374,5 cm, 1897, Museum of Fine Arts, Boston.« Dove andiamo? Accanto alla morte di una vecchia. Un uccello strano stupido conclude. Che siamo? Esistenza giornaliera. L'uomo d'istinto si chiede che significa tutto ciò. Da dove veniamo? Fonte. Bambino. La vita comune. L'uccello conclude il poema in comparazione dell'essere inferiore di fronte all'essere intelligente in questo grande tutto che è il problema annunciato dal titolo. Dietro a un albero due figure sinistre, avvolte in vesti di colore triste, pongono accanto all'albero della scienza la loro nota di dolore causata da questa scienza stessa in confronto con gli esseri semplici in una natura vergine che potrebbe essere un paradiso di concezione umana, abbandonatasi alla gioia di vivere »E rilevava come, malgrado i passaggi di tono, l'aspetto del paesaggio fosse dato costantemente dal blu e dal verde Veronese. Inviato a Parigi ed esposto l'anno dopo, oltre a grande interesse a apprezzamento, ebbe la critica di essere astrattamente allegorico, espressione arbitraria di un'immaginazione metafisica. Ai suoi critici Gauguin rispose di aver voluto esprimere un sogno che, come tutti i sogni, non si lascia afferrare e non esprime allegorie, ma il cui oggetto era il mistero della vita, realizzato con il colore concepito alla maniera dei simbolisti: «il colore, che è vibrazione come la musica, sta per raggiungere ciò che vi è di più generale e dunque di più vago nella natura: la sua forza interiore»
Racconti barbari, olio su tela, 130x89 cm, 1902, Folkwang M., Essen.Il dipinto di Gauguin richiama quello, esposto al Salon di Parigi nel 1890, di Puvis de Chavannes, Inter Artes et Naturam. Nello schizzo del dipinto che aveva inviato nel febbraio 1898 a Daniel de Monfreid aveva rappresentato i simboli cristiani della croce e del pesce, che nella tela sono in realtà assenti: di fatto Gauguin sembra esprimere la sua adesione al buddhismo – nella quale, in stadi successivi di perfezione, si raggiunge il nirvana – avendovi invece rappresentato chiari simboli buddhisti, come la dea Hina, che richiama le statue del Buddha, il daino che richiama il bassorilievo del tempio di Borobudur, nel quale Buddha è rappresentato come re dei daini e il fiore di loto.
Alla fine di quell'anno porta a termine anche il manoscritto L'Église catholique et les temps modernes, un attacco alla Chiesa cattolica, accusata di «falsificazioni e imposture», in quanto avrebbe tradito lo spirito originario del Cristianesimo. Secondo Gauguin, esiste un'unica verità in tutte le religioni, dal momento che tutte sarebbero fondate su un mito primigenio, dal quale si sarebbero poi differenziate. Si tratta allora di recuperare il significato autentico della dottrina cristiana «corrispondente così esattamente a anche in modo grandioso alle aspirazioni ideali e scientifiche della nostra natura», attuando così «la nostra rigenerazione».
Con un prestito di 1.000 franchi concessogli dalla Cassa agricola di Tahiti compra un terreno a Paunaania e si fa costruire una casa, ma i debiti, le malattie e la depressione l'11 febbraio 1898 lo spingono al suicidio: si avvelena con l'arsenico ma rigetta e si salva.
Il cavallo bianco, olio su tela, 141x91 cm, 1898, Musée d'Orsay, Paris.Considerata la necessità di guadagnare, si trasferisce a Papeete dove s'impiega, per sei franchi al giorno, come scrivano nel Ministero dei Lavori Pubblici finché, con il denaro pervenutogli dall Francia grazie alla vendita di suoi quadri, riesce a estinguere il debito con la banca, lasciare l'impiego e tornare nella sua casa di Paunaania, dove la sua compagna Pahura gli dà un altro figlio, Émile.
Un esempio di felice concordanza cromatica e compositiva è Il cavallo bianco: «I colori sono quasi derivati e quasi complementari: è un accordo di dissonanze. Nel ruscello l'acqua è di un azzurro che tende al viola con luci gialle che tendono all'arancio. Ora, l'azzurro-viola e il giallo arancio sono fra loro complementari. Ma il giallo tende troppo all'arancio e l'azzurro tende troppo al viola per essere assolutamente complementari. Suggeriscono l'accordo complementare senza realizzarlo e riescono a esasperare l'intensità dei due singoli colori. Parimenti, il verde del prato e il rosso del cavallo (nel fondo a sinistra) non sono completamente complementari, perché il rosso tende all'arancio, senza che il verde diventi verdazzurro. Anche l'effetto di tono è trattato alla stessa guisa. Il cavallo "bianco" è di un grigio sensibile, delicato, in cui si riflettono tutti i colori attornianti. In quell'abbassamento di tono c'è una delicatezza, fatta di finezza e di quiete, ch'è un suggerimento di luce, senza che l'effetto di luce sia realizzato».[39]
Nel 1899 comincia a collaborare con il settimanale satirico di Papeete Les guëpes (Le vespe), pubblicandovi articoli e vignette contro l'amministrazione coloniale francese, accusata di opprimere gli abitanti indigeni; in agosto pubblica a sua spese un altro giornale satirico, Le Sourire (Il sorriso), sempre in polemica con l'autorità. Per tutto il 1900 sembra non aver dipinto una sola tela: è certo che la sua salute è malferma e trascorre due mesi in ospedale. Ne esce nel febbraio 1901; venduta la sua casa, lasciata la famiglia tahitiana, il 16 settembre approda in una delle Isole Marchesi, Hiva Oa, stabilendosi nel villaggio di Atuana, dove compra dal vescovo Martin un appezzamento di terra su cui fa costruire la sua nuova casa di 60 metri quadrati, ritta su pali alti 2,40 metri.
A Hiva Oa (1901 - 1903)Giovane tahitiana col ventaglio, olio su tela, 92x73 cm, 1902, Folkwang M., Essen.All'ingresso della sua casa, che chiama Maison du jouir (Casa del piacere), scrive in lingua maori Te Faruru, «Qui si fa l'amore», e la decora con pannelli in legno scolpiti – Soyez amoureuses, vous serez heureuses (Siate innamorate, sarete felici), Soyez mystèrieuses (Siate misteriose), Père Paillard (Padre Licenzioso), Thérèse, allusione ai costumi non irreprensibili del vescovo Martin e della sua perpetua Teresa – e, a ribadire la sua polemica contro il cattolicesimo, frequenta e ritrae il sacerdote indigeno Haapuani – che è costretto a esercitare di nascosto i suoi culti – e la moglie Tohotaua che ritrae rispettivamente ne Lo stregone di Hiva Oa e nella Donna col ventaglio, splendido e luminoso ritratto nei trapassi di tono del giallo dorato, dell'arancio e dell'ambra.
Anche nei Racconti barbari Tohotaua appare in primo piano, a incarnare la rappresentazione della religione maori, con al centro la rappresentazione di quella buddhista, mentre la figura alle loro spalle è l'immagine della religione cristiana, satireggiata nella figura dagli artigli e i tratti volpini.
Donne e cavallo bianco, olio su tela, 92x72 cm, 1903, M. of Fine Arts, Boston.La sua ostilità contro le autorità coloniali e la missione cattolica cresce al punto da fare propaganda presso i nativi perché si rifiutino di pagare le tasse e non mandino più i figli nella scuola missionaria: «La scuola è la Natura», proclama, e la sua opera di persuasione ha successo, tanto che la grande maggioranza degli abitanti dell'isola aderisce al suo invito. Egli denuncia un gendarme, tale Guichenay, accusandolo di favorire il traffico di schiavi e questi lo denuncia a sua volta, accusandolo di calunnia e di sovversione. Il 31 marzo 1903, il tribunale multa e condanna Gauguin a tre mesi di prigione.
Non sconterà la pena: la mattina dell'8 maggio il pastore protestante Vernier lo trova morto, disteso nel suo letto. Gauguin era ammalato di sifilide. Il vescovo Martin, accorso alla notizia, si preoccupa di distruggere quelle opere che giudica blasfeme e oscene: poi assolve la salma e gli concede una sepoltura senza nome nel cimitero della chiesa della missione, che appariva – immagine trascurabile e lontana, eppure incombente dall'alto – nella tela dipinta pochi mesi prima, Donne e cavallo bianco, una valle di paradiso naturale dove Gauguin volle fondere ancora in un'armonia senza tempo l'umanità e gli animali di Hiva Oa.
Pochi nativi assistettero alla sua sepoltura: presto dimenticata, la sua tomba fu ritrovata venti anni dopo e gli fu posta una lapide con la semplice scritta «Paul Gauguin 1903».
Gustave Courbet« Ho cinquant'anni ed ho sempre vissuto libero; lasciatemi finire libero la mia vita; quando sarò morto voglio che questo si dica di me: Non ha fatto parte di alcuna scuola, di alcuna chiesa, di alcuna istituzione, di alcuna accademia e men che meno di alcun sistema: l'unica cosa a cui è appartenuto è stata la libertà »(Gustave Courbet)
Jean Désiré Gustave CourbetJean Désiré Gustave Courbet (Ornans, 10 giugno 1819 – La Tour-de-Peilz, 31 dicembre 1877) è stato un pittore francese, il più rappresentativo del movimento realista francese del XIX secolo.
]Il RealismoConosciuto soprattutto come il Sergyi del momento (e accreditato anche dell'invenzione del termine stesso), Courbet è pittore di composizioni figurative,paesaggi e paesaggi marini. Si occupa anche di problematiche sociali, prendendosi a cuore le difficili condizioni di vita e lavoro dei contadini e dei poveri. Il suo lavoro non può essere classificato come appartenente né alla scuola romantica, all'epoca predominante, né a quella neoclassica. Courbet crede invece che la missione dell'artista realista sia la ricerca della verità, che aiuterebbe ad eliminare le contraddizioni e le disuguaglianze sociali.
Per Courbet il realismo non ha a che fare con la perfezione del tratto e delle forme, ma richiede un uso del colore spontaneo ed immediato, che suggerisca come l'artista grazie all'osservazione diretta ritragga anche le irregolarità della natura. Ritrae la durezza della vita e, così facendo, sfida il concetto di arte accademico tipico della sua epoca, attirando su di sé la critica di aver deliberatamente adottato una sorta di "culto della bruttezza".
Ritratto della Contessa Karoly (1865), collezione privataNato ad Ornans (Dipartimento del Doubs) in una prospera famiglia di agricoltori che vorrebbe si dedicasse allo studio della legge, decide di trasferirsi a Parigi nel 1839, trovando lavoro nello studio di Steuben e Hesse. Spirito indipendente, abbandona presto i maestri preferendo sviluppare uno stile personale attraverso lo studio dei pittori spagnoli, francesi e fiamminghi ed eseguendo copie delle loro opere. I suoi primi lavori sono un' Odalisca, ispirata agli scritti di Victor Hugo, e una Lélia, illustrazione per l'omonimo romanzo di George Sand, ma lascia presto perdere le ispirazioni di tipo letterario per dedicarsi alla studio della vita reale.
Un viaggio nei Paesi Bassi fatto nel 1847 rafforza la convinzione di Courbet che i pittori dovrebbero ritrarre la vita che sta attorno a loro, come avevano fatto Rembrandt, Hals e gli altri maestri olandesi.
Tra i suoi primi dipinti vi sono due autoritratti, uno con il suo cane e l'altro con la pipa in bocca: entrambe le opere vengono rifiutate dalla giuria del Salon di Parigi. Tuttavia i critici più giovani, legati ai movimenti neoromantico e realista, cominciano ad acclamarlo e lodarlo e già nel 1849 Courbet inizia a diventare abbastanza noto, realizzando dipinti come Dopocena ad Ornans (per cui il Salon lo premia con una medaglia) e La valle della Loira.
Funerale a Ornans. 1849-1850. Olio su tela. 314 x 663 cmMuseo d'Orsay, Parigi.Una delle opere più rappresentative di Courbet è Funerale a Ornans, una tela in cui fissa un avvenimento a cui assiste nel settembre 1848.
Il quadro, che ritrae il funerale di un prozio dell'artista, è considerato uno dei primi capolavori delle stile realista. Come modelli l'artista si serve semplicemente delle persone che hanno partecipato alla cerimonia. In precedenza, per ritrarre i protagonisti di scene a carattere storico ci si serviva di veri modelli; in questo caso invece Courbet afferma che ha "ritratto le vere persone presenti alla sepoltura, tutte le persone del paese". Il risultato è una rappresentazione estremamente realistica del funerale stesso e della vita a Ornans.
Il dipinto suscita un vivo dibattito sia tra la critica che tra il pubblico. È un'opera enorme (misura m. 3,1 x 6,6) e ritrae un rito banale e ordinario in una scala che fino ad allora era stata riservata a soggetti religiosi o relativi alle famiglie reali. Il pubblico finisce per interessarsi maggiormente al nuovo approccio realistico all'arte di Courbet e il sontuoso e decadente immaginario del romanticismo finisce per perdere popolarità. L'artista è pienamente consapevole dell'importanza della sua opera; dice infatti: "Il funerale a Ornans è stato in realtà il funerale del romanticismo."
Gli spaccapietre, 1849, andato perduto durante ibombardamenti a Dresda durante laseconda guerra mondialeAll'esposizione del Salon del 1850 Courbet riscuote un grande successo grazie a Funerale a Ornans, Gli spaccapietre (dipinto andato distrutto nel 1945durante la seconda guerra mondiale) e I contadini di Flagey. Realizza altre opere a carattere figurativo in cui ritrae persone comuni o suoi amici, come Le fanciulle del villaggio (1852), I lottatori e Le bagnanti.
Courbet, oltre a sviluppare le basi del movimento realista in campo artistico, abbraccia l'ideologia anarchica e, sfruttando la propria popolarità, sostiene e diffonde pubblicamente ideali democratici e socialisti scrivendo saggi e dissertazioni politiche.
Nel 1850 scrive ad un amico:
« ...nella nostra società, così civilizzata, sento il bisogno di vivere la vita di un selvaggio. Devo essere libero anche dai governi. Le mie simpatie vanno al popolo, e devo rivolgermi direttamente a loro. »(Gustave Courbet)Nel 1855 espone al pubblico il monumentale L'atelier dell'artista. Si tratta di un'allegoria della sua vita di pittore, vista come un'epica avventura, nella quale lo si vede circondato dai suoi amici e ammiratori, tra cui il poeta Charles Baudelaire.
La famaGustave Courbet mentre abbatte una colonnina pubblicitaria (dettacolonna Morris), caricaturapubblicata dal Père Duchêne illustrénel maggio 1871.Verso la fine del decennio del 1860, Courbet dipinge una serie di opere a carattere soprattutto erotico, come Femme nue couchée. La serie ha il suo culmine conL'origine du monde (1866), che ritrae un organo genitale femminile e Les Dormeuses, che rappresenta due donne, nude, abbracciate a letto. Nonostante non fosse stata concessa l'autorizzazione ad esporle in pubblico, tali opere fecero ulteriormente aumentare la sua notorietà.
Il 14 aprile 1870 Courbet fonda la Federazione degli artisti (Fédération des artistes) per sostenere lo sviluppo delle arti libero e senza alcuna forma di censura. Tra i membri del gruppo vi sono André Gill, Honoré Daumier, Jean-Baptiste Camille Corot, Eugène Pottier, Jules Dalou, e Édouard Manet. Tra i suoi amici ed epigoni figura il pittore Cherubino Patà originario di Sonogno.
Il suo rifiuto di accettare l'onorificenza della Legion d'onore offertagli da Napoleone III lo rende enormemente popolare tra gli oppositori del regime e, nel 1871, durante il periodo di governo della Comune di Parigi, viene messo a capo di tutti i musei della città che salva dai saccheggi della folla in rivolta. A causa della sua insistenza nel voler attuare il decreto Comunale che prevedeva la distruzione della Colonna della Grande Armée di Place Vendôme, viene considerato responsabile dell'atto e il 2 settembre 1871 la corte marziale di Versailles lo condanna a sei mesi di carcere e al pagamento di una multa di 500 franchi.
Nel 1873 il neo eletto presidente Patrice de Mac-Mahon vuole ripristinare la colonna e decide che Courbet deve pagare le spese dei lavori. Il pittore fugge inSvizzera per evitare il disastro finanziario. Il 4 maggio 1877 viene finalmente stabilito l'ammontare della spesa: 323.091 franchi e 91 centesimi. A Courbet viene concesso di pagare la somma in rate annuali di 10.000 franchi l'una per i successivi trentatré anni, fino al compimento del suo novantunesimo anno di età.
Il 31 dicembre 1877, a cinquantotto anni, Courbet muore a La Tour-de-Peilz, in Svizzera, per le conseguenze della cirrosi epatica, aggravata dalla sua propensione al bere. Il giorno seguente avrebbe dovuto pagare la prima rata al governo francese. Viene sepolto ad Ornans; la sua tomba si trova pochi passi dopo il cancello d'entrata superiore del cimitero.
Jean Désiré Gustave CourbetJean Désiré Gustave Courbet (Ornans, 10 giugno 1819 – La Tour-de-Peilz, 31 dicembre 1877) è stato un pittore francese, il più rappresentativo del movimento realista francese del XIX secolo.
]Il RealismoConosciuto soprattutto come il Sergyi del momento (e accreditato anche dell'invenzione del termine stesso), Courbet è pittore di composizioni figurative,paesaggi e paesaggi marini. Si occupa anche di problematiche sociali, prendendosi a cuore le difficili condizioni di vita e lavoro dei contadini e dei poveri. Il suo lavoro non può essere classificato come appartenente né alla scuola romantica, all'epoca predominante, né a quella neoclassica. Courbet crede invece che la missione dell'artista realista sia la ricerca della verità, che aiuterebbe ad eliminare le contraddizioni e le disuguaglianze sociali.
Per Courbet il realismo non ha a che fare con la perfezione del tratto e delle forme, ma richiede un uso del colore spontaneo ed immediato, che suggerisca come l'artista grazie all'osservazione diretta ritragga anche le irregolarità della natura. Ritrae la durezza della vita e, così facendo, sfida il concetto di arte accademico tipico della sua epoca, attirando su di sé la critica di aver deliberatamente adottato una sorta di "culto della bruttezza".
Ritratto della Contessa Karoly (1865), collezione privataNato ad Ornans (Dipartimento del Doubs) in una prospera famiglia di agricoltori che vorrebbe si dedicasse allo studio della legge, decide di trasferirsi a Parigi nel 1839, trovando lavoro nello studio di Steuben e Hesse. Spirito indipendente, abbandona presto i maestri preferendo sviluppare uno stile personale attraverso lo studio dei pittori spagnoli, francesi e fiamminghi ed eseguendo copie delle loro opere. I suoi primi lavori sono un' Odalisca, ispirata agli scritti di Victor Hugo, e una Lélia, illustrazione per l'omonimo romanzo di George Sand, ma lascia presto perdere le ispirazioni di tipo letterario per dedicarsi alla studio della vita reale.
Un viaggio nei Paesi Bassi fatto nel 1847 rafforza la convinzione di Courbet che i pittori dovrebbero ritrarre la vita che sta attorno a loro, come avevano fatto Rembrandt, Hals e gli altri maestri olandesi.
Tra i suoi primi dipinti vi sono due autoritratti, uno con il suo cane e l'altro con la pipa in bocca: entrambe le opere vengono rifiutate dalla giuria del Salon di Parigi. Tuttavia i critici più giovani, legati ai movimenti neoromantico e realista, cominciano ad acclamarlo e lodarlo e già nel 1849 Courbet inizia a diventare abbastanza noto, realizzando dipinti come Dopocena ad Ornans (per cui il Salon lo premia con una medaglia) e La valle della Loira.
Funerale a Ornans. 1849-1850. Olio su tela. 314 x 663 cmMuseo d'Orsay, Parigi.Una delle opere più rappresentative di Courbet è Funerale a Ornans, una tela in cui fissa un avvenimento a cui assiste nel settembre 1848.
Il quadro, che ritrae il funerale di un prozio dell'artista, è considerato uno dei primi capolavori delle stile realista. Come modelli l'artista si serve semplicemente delle persone che hanno partecipato alla cerimonia. In precedenza, per ritrarre i protagonisti di scene a carattere storico ci si serviva di veri modelli; in questo caso invece Courbet afferma che ha "ritratto le vere persone presenti alla sepoltura, tutte le persone del paese". Il risultato è una rappresentazione estremamente realistica del funerale stesso e della vita a Ornans.
Il dipinto suscita un vivo dibattito sia tra la critica che tra il pubblico. È un'opera enorme (misura m. 3,1 x 6,6) e ritrae un rito banale e ordinario in una scala che fino ad allora era stata riservata a soggetti religiosi o relativi alle famiglie reali. Il pubblico finisce per interessarsi maggiormente al nuovo approccio realistico all'arte di Courbet e il sontuoso e decadente immaginario del romanticismo finisce per perdere popolarità. L'artista è pienamente consapevole dell'importanza della sua opera; dice infatti: "Il funerale a Ornans è stato in realtà il funerale del romanticismo."
Gli spaccapietre, 1849, andato perduto durante ibombardamenti a Dresda durante laseconda guerra mondialeAll'esposizione del Salon del 1850 Courbet riscuote un grande successo grazie a Funerale a Ornans, Gli spaccapietre (dipinto andato distrutto nel 1945durante la seconda guerra mondiale) e I contadini di Flagey. Realizza altre opere a carattere figurativo in cui ritrae persone comuni o suoi amici, come Le fanciulle del villaggio (1852), I lottatori e Le bagnanti.
Courbet, oltre a sviluppare le basi del movimento realista in campo artistico, abbraccia l'ideologia anarchica e, sfruttando la propria popolarità, sostiene e diffonde pubblicamente ideali democratici e socialisti scrivendo saggi e dissertazioni politiche.
Nel 1850 scrive ad un amico:
« ...nella nostra società, così civilizzata, sento il bisogno di vivere la vita di un selvaggio. Devo essere libero anche dai governi. Le mie simpatie vanno al popolo, e devo rivolgermi direttamente a loro. »(Gustave Courbet)Nel 1855 espone al pubblico il monumentale L'atelier dell'artista. Si tratta di un'allegoria della sua vita di pittore, vista come un'epica avventura, nella quale lo si vede circondato dai suoi amici e ammiratori, tra cui il poeta Charles Baudelaire.
La famaGustave Courbet mentre abbatte una colonnina pubblicitaria (dettacolonna Morris), caricaturapubblicata dal Père Duchêne illustrénel maggio 1871.Verso la fine del decennio del 1860, Courbet dipinge una serie di opere a carattere soprattutto erotico, come Femme nue couchée. La serie ha il suo culmine conL'origine du monde (1866), che ritrae un organo genitale femminile e Les Dormeuses, che rappresenta due donne, nude, abbracciate a letto. Nonostante non fosse stata concessa l'autorizzazione ad esporle in pubblico, tali opere fecero ulteriormente aumentare la sua notorietà.
Il 14 aprile 1870 Courbet fonda la Federazione degli artisti (Fédération des artistes) per sostenere lo sviluppo delle arti libero e senza alcuna forma di censura. Tra i membri del gruppo vi sono André Gill, Honoré Daumier, Jean-Baptiste Camille Corot, Eugène Pottier, Jules Dalou, e Édouard Manet. Tra i suoi amici ed epigoni figura il pittore Cherubino Patà originario di Sonogno.
Il suo rifiuto di accettare l'onorificenza della Legion d'onore offertagli da Napoleone III lo rende enormemente popolare tra gli oppositori del regime e, nel 1871, durante il periodo di governo della Comune di Parigi, viene messo a capo di tutti i musei della città che salva dai saccheggi della folla in rivolta. A causa della sua insistenza nel voler attuare il decreto Comunale che prevedeva la distruzione della Colonna della Grande Armée di Place Vendôme, viene considerato responsabile dell'atto e il 2 settembre 1871 la corte marziale di Versailles lo condanna a sei mesi di carcere e al pagamento di una multa di 500 franchi.
Nel 1873 il neo eletto presidente Patrice de Mac-Mahon vuole ripristinare la colonna e decide che Courbet deve pagare le spese dei lavori. Il pittore fugge inSvizzera per evitare il disastro finanziario. Il 4 maggio 1877 viene finalmente stabilito l'ammontare della spesa: 323.091 franchi e 91 centesimi. A Courbet viene concesso di pagare la somma in rate annuali di 10.000 franchi l'una per i successivi trentatré anni, fino al compimento del suo novantunesimo anno di età.
Il 31 dicembre 1877, a cinquantotto anni, Courbet muore a La Tour-de-Peilz, in Svizzera, per le conseguenze della cirrosi epatica, aggravata dalla sua propensione al bere. Il giorno seguente avrebbe dovuto pagare la prima rata al governo francese. Viene sepolto ad Ornans; la sua tomba si trova pochi passi dopo il cancello d'entrata superiore del cimitero.
Jean Frédéric Bazille (Montpellier, 6 dicembre 1841 – Beaune-la-Rolande, 28 novembre 1870) è stato un pittore francese.
Proveniente da una famiglia protestante agiata, si reca a Parigi a studiare medicina, facoltà che abbandona presto per dedicarsi, con la disapprovazione dei genitori, alla pittura, influenzato dalla pittura di Eugene Delacroix. Nel 1862 viene in contatto con Monet, Renoir e Sisley, i migliori membri del movimento impressionista, che aveva conosciuto frequentando lo studio del maestro Charles Gleyre a Parigi. Le stanze dello studio di Bazille, situato a Batignolle, diventano ben presto punto di incontro per questi artisti. Il nome iniziale per gli impressionisti fu, appunto per questo, "Scuola di Batignolle".
Durante i suoi soggiorni annuali a Meric, sulle rive del Lez, presso la villa di famiglia, maturò il suo stile. Qui dipinse La robe Rose nel 1864, risultato della volontà di voler conciliare le tesi impressioniste con le regole della pittura classica. Nello stesso luogo, dipinge anche La vue de village: Castelnau, qualche anno più tardi. Quest'opera presenta una struttura molto simile a La robe Rose. La sua maggiore conquista a livello artistico fu quella di aver saputo fondere in un'unica immagine la figura umana con il paesaggio.
I programmi per la prima mostra impressionista indipendente furono interrotti dallo scoppio della guerra franco-prussiana nel 1870-1871. Bazille si arruola volontariamente nell'esercito in un reggimento di Zuavi, contro le richieste degli amici pittori. Poco dopo, durante la sua prima battaglia al fronte a Beaune-la-Rolande, venne ucciso all'età di soli 29 anni.
Nella sua vita ha stretto amicizie con i migliori artisti del tempo, i quali divennero i più celebri del movimento impressionista, compresi Monet, Manet, Renoir, Sisley e Morisot.
Proveniente da una famiglia protestante agiata, si reca a Parigi a studiare medicina, facoltà che abbandona presto per dedicarsi, con la disapprovazione dei genitori, alla pittura, influenzato dalla pittura di Eugene Delacroix. Nel 1862 viene in contatto con Monet, Renoir e Sisley, i migliori membri del movimento impressionista, che aveva conosciuto frequentando lo studio del maestro Charles Gleyre a Parigi. Le stanze dello studio di Bazille, situato a Batignolle, diventano ben presto punto di incontro per questi artisti. Il nome iniziale per gli impressionisti fu, appunto per questo, "Scuola di Batignolle".
Durante i suoi soggiorni annuali a Meric, sulle rive del Lez, presso la villa di famiglia, maturò il suo stile. Qui dipinse La robe Rose nel 1864, risultato della volontà di voler conciliare le tesi impressioniste con le regole della pittura classica. Nello stesso luogo, dipinge anche La vue de village: Castelnau, qualche anno più tardi. Quest'opera presenta una struttura molto simile a La robe Rose. La sua maggiore conquista a livello artistico fu quella di aver saputo fondere in un'unica immagine la figura umana con il paesaggio.
I programmi per la prima mostra impressionista indipendente furono interrotti dallo scoppio della guerra franco-prussiana nel 1870-1871. Bazille si arruola volontariamente nell'esercito in un reggimento di Zuavi, contro le richieste degli amici pittori. Poco dopo, durante la sua prima battaglia al fronte a Beaune-la-Rolande, venne ucciso all'età di soli 29 anni.
Nella sua vita ha stretto amicizie con i migliori artisti del tempo, i quali divennero i più celebri del movimento impressionista, compresi Monet, Manet, Renoir, Sisley e Morisot.
José Clemente Orozco (Ciudad Guzmán, 23 novembre 1883 – Città del Messico, 7 settembre 1949) è stato un pittore messicano.
Pittore del social-realismo, nacque a Zapotlán el Grande (ora Ciudad Guzmán), Jalisco). Si specializzò nel dipingere murales, che proclamarono il Rinascimento Murale Messicano, insieme ai murali diDiego Rivera, David Alfaro Siqueiros e altri. Orozco fu il più complesso tra i muralisti messicani, essendo innamorato del tema della sofferenza umana, ma meno realistico e affascinato delle macchine rispetto a Rivera. Maggiormente influenzato dal simbolismo, fu anche un pittore del genere e un litografo. Tra il 1922 e il 1948, Orozco dipinse murali a Città del Messico, Orizaba, Claremont (California),New York, Hanover (New Hampshire), Guadalajara (Jalisco) e Jiquilpan de Juárez (Michoacán). I suoi disegni e dipinti sono esposti al Carrillo Gil Museum di Città del Messico, ed all'Orozco Workshop-Museum di Guadalajara.
Vita e opereParte del murale di José Clemente Orozco alDartmouth College, HanoverJosé Clemente Orozco nacque più precisamente a Rosa de Flores Orozco e si sposò con Margarita Valladares dacui ebbe tre figli.
Agli inizi della sua vita, la famiglia di Orozco si trasferì da Cuidad Guzman a Guadalajara e poi a Città del Messico, dove frequentò le elementari. A questo tempo José Guadalupe Posada, un illustratore satirico le cui incisioni sulla cultura ed i politici messicani cambiarono il pensiero popolare su ciò che stava accadendo nel periodo post-rivoluzionario, lavorava in esposizione al pubblico alle vetrine dei negozi localizzate sulla strada che Orozco doveva fare per raggiungere la scuola. Nella sua autobiografia Orozco confessa: "Mi fermavo [sulla strada per andare e per tornare da scuola] e spendevo alcuni incantati minuti a guardare [Posada] ... Questa fu la prima spinta che incitò la mia immaginazione e mi costrinse a ricoprire la carta con i miei primi piccoli disegni; questo fu il mio risveglio all'esistenza dell'arte della pittura." (Orozco, 1962) Disse poi che guardare Posado che decorava delle incisioni gli diede la sua introduzione all'uso del colore. Dopo aver frequentato la scuola per l'Agricoltura e l'Architettura, Orozco studiò arte con serietà all'Accademia San Carlos. Durante un'esercitazione dichimica, a causa di un incidente, il pittore perse la mano destra, ma fortunatamente ciò non compromise la sua attività.
Con Diego Rivera fu leader del Rinascimento Murale Messicano. Un importante distinzione che aveva con Rivera era la sua visione critica della Rivoluzione Messicana. Mentre Diego era una figura spavalda e ottimista, propagandista della gloria della rivoluzione, Orozco era meno soddisfatto del pedaggio di sangue che il movimento sociale stava richiedendo. Orozco è conosciuto come uno dei "Tre Grandi" muralisti inzieme a Rivera ed a David Alfaro Siqueiros. Tutti e tre gli artisti, così come anche il pittore Rufino Tamayo, originari del Messico, sperimentarono a fresco su grandi muri ed elevarono la loro arte murale a fresco alla classe della fama mondiale.
Tra il 1922 e il 1924, Orozco dipinse alla Scuola di Preparazione Nazionale i murali "Gli Elementi", "Uomo in Battaglia contro la Natura", "Cristo Distrugge la sua Croce", "Distruzione del Vecchio Ordine", "Gli Aristocratici", e "La Fossa e la Trinità". Nel 1925 dipinse il murale "Onniscienza" nella Casa delle Tegole di Città del Messico. Nel 26 un altro murale nella Scuola Industriale di Orizaba, Veracruz.
Tra il 1927 e il 1934 Orozco visse negli USA. Nel 1930 dipinse i murali della New School for Social Research, New York City, ora conosciuta come New School University. Uno dei suoi più famosi murali è The Epic of American Civilization al Dartmouth College, New Hampshire, USA. Fu dipinto tra il 1932 e il 1934 e ricopre circa 300 m² in 24 pannelli. Le sue parti includono "Migrations", "Human Sacrifices", "The Appearance of Quetzalcoatl", "Corn Culture", "Anglo-America", "Hispano-America", "Science" ed un'altra versione di "Christ Destroys His Cross".
Dopo esser tornato in Messico, tra il 1936 e il 1939 Orozco dipinse a Guadalajara, Jalisco - tra gli altri - il murale "Le Persone e i Loro Leader" nel Palazzo Governativo, e gli affreschi per l'Hospicio Cabañas, considerato il suo capolavoro. Nel 1940 dipinse per la Libreria Gabino Ortiz a Jiquilpan, Michoacán. Tra il 1942 e il 44 per l'Hospital de Jesús a Città del Messico. Il "Juárez Rinato" di Orozco del 1948 fu uno dei suoi ultimi lavori.
Pittore del social-realismo, nacque a Zapotlán el Grande (ora Ciudad Guzmán), Jalisco). Si specializzò nel dipingere murales, che proclamarono il Rinascimento Murale Messicano, insieme ai murali diDiego Rivera, David Alfaro Siqueiros e altri. Orozco fu il più complesso tra i muralisti messicani, essendo innamorato del tema della sofferenza umana, ma meno realistico e affascinato delle macchine rispetto a Rivera. Maggiormente influenzato dal simbolismo, fu anche un pittore del genere e un litografo. Tra il 1922 e il 1948, Orozco dipinse murali a Città del Messico, Orizaba, Claremont (California),New York, Hanover (New Hampshire), Guadalajara (Jalisco) e Jiquilpan de Juárez (Michoacán). I suoi disegni e dipinti sono esposti al Carrillo Gil Museum di Città del Messico, ed all'Orozco Workshop-Museum di Guadalajara.
Vita e opereParte del murale di José Clemente Orozco alDartmouth College, HanoverJosé Clemente Orozco nacque più precisamente a Rosa de Flores Orozco e si sposò con Margarita Valladares dacui ebbe tre figli.
Agli inizi della sua vita, la famiglia di Orozco si trasferì da Cuidad Guzman a Guadalajara e poi a Città del Messico, dove frequentò le elementari. A questo tempo José Guadalupe Posada, un illustratore satirico le cui incisioni sulla cultura ed i politici messicani cambiarono il pensiero popolare su ciò che stava accadendo nel periodo post-rivoluzionario, lavorava in esposizione al pubblico alle vetrine dei negozi localizzate sulla strada che Orozco doveva fare per raggiungere la scuola. Nella sua autobiografia Orozco confessa: "Mi fermavo [sulla strada per andare e per tornare da scuola] e spendevo alcuni incantati minuti a guardare [Posada] ... Questa fu la prima spinta che incitò la mia immaginazione e mi costrinse a ricoprire la carta con i miei primi piccoli disegni; questo fu il mio risveglio all'esistenza dell'arte della pittura." (Orozco, 1962) Disse poi che guardare Posado che decorava delle incisioni gli diede la sua introduzione all'uso del colore. Dopo aver frequentato la scuola per l'Agricoltura e l'Architettura, Orozco studiò arte con serietà all'Accademia San Carlos. Durante un'esercitazione dichimica, a causa di un incidente, il pittore perse la mano destra, ma fortunatamente ciò non compromise la sua attività.
Con Diego Rivera fu leader del Rinascimento Murale Messicano. Un importante distinzione che aveva con Rivera era la sua visione critica della Rivoluzione Messicana. Mentre Diego era una figura spavalda e ottimista, propagandista della gloria della rivoluzione, Orozco era meno soddisfatto del pedaggio di sangue che il movimento sociale stava richiedendo. Orozco è conosciuto come uno dei "Tre Grandi" muralisti inzieme a Rivera ed a David Alfaro Siqueiros. Tutti e tre gli artisti, così come anche il pittore Rufino Tamayo, originari del Messico, sperimentarono a fresco su grandi muri ed elevarono la loro arte murale a fresco alla classe della fama mondiale.
Tra il 1922 e il 1924, Orozco dipinse alla Scuola di Preparazione Nazionale i murali "Gli Elementi", "Uomo in Battaglia contro la Natura", "Cristo Distrugge la sua Croce", "Distruzione del Vecchio Ordine", "Gli Aristocratici", e "La Fossa e la Trinità". Nel 1925 dipinse il murale "Onniscienza" nella Casa delle Tegole di Città del Messico. Nel 26 un altro murale nella Scuola Industriale di Orizaba, Veracruz.
Tra il 1927 e il 1934 Orozco visse negli USA. Nel 1930 dipinse i murali della New School for Social Research, New York City, ora conosciuta come New School University. Uno dei suoi più famosi murali è The Epic of American Civilization al Dartmouth College, New Hampshire, USA. Fu dipinto tra il 1932 e il 1934 e ricopre circa 300 m² in 24 pannelli. Le sue parti includono "Migrations", "Human Sacrifices", "The Appearance of Quetzalcoatl", "Corn Culture", "Anglo-America", "Hispano-America", "Science" ed un'altra versione di "Christ Destroys His Cross".
Dopo esser tornato in Messico, tra il 1936 e il 1939 Orozco dipinse a Guadalajara, Jalisco - tra gli altri - il murale "Le Persone e i Loro Leader" nel Palazzo Governativo, e gli affreschi per l'Hospicio Cabañas, considerato il suo capolavoro. Nel 1940 dipinse per la Libreria Gabino Ortiz a Jiquilpan, Michoacán. Tra il 1942 e il 44 per l'Hospital de Jesús a Città del Messico. Il "Juárez Rinato" di Orozco del 1948 fu uno dei suoi ultimi lavori.
Diego Rivera il cui nome completo era Diego María de la Concepción Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodríguez(Guanajuato, 13 dicembre 1886 – Città del Messico, 24 novembre 1957) è stato un pittore e muralista messicano, famoso per la tematica sociale delle sue opere realizzate in gran parte in edifici pubblici (soprattutto nel centro storico di Città del Messico).
Nacque il 13 dicembre 1886 a Guanajuato e, a partire dal 1896 inizia a prendere lezioni notturne nell'Accademia di San Carlos a Città del Messico, in cui conobbe il noto paesaggista José María Velasco. Nel 1905 ricevette una borsa di studio del Ministro dell'educazione, Justo Sierra e nel 1907 un'altra del governatore di Veracruz che gli permisero di recarsi in Spagna e di entrare nella scuola di Eduardo Chicharro a Madrid.
Da allora e fino alla metà del 1916 visse tra Messico, Spagna e Francia, frequentando intellettuali del calibro di Alfonso Reyes, Pablo Picasso, Ramón del Valle Inclán e Amedeo Modigliani che gli fece anche un ritratto. In quello stesso anno gli nacque un figlio con la sua prima moglie, la pittrice russa Angelina Beloff, che morirà l'anno seguente.
Diego Rivera Nel 1919 ebbe una figlia con Marie Marevna Vorobev, Marika Rivera Vorobev, che non riconobbe mai, ma che aiutò economicamente. Nel 1922 si iscrisse al Partito Comunista Messicano e cominciò a dipingere i suoi murales negli edifici pubblici di Città del Messico. Nello stesso anno si sposò con Lupe Marín che gli diede due figlie: Lupe, nata nel 1925 e Ruth, nel 1926. Nel 1927 divorziò dalla Marín e venne invitato in Unione Sovietica ai festeggiamenti per il decimo anniversario della Rivoluzione russa. Nel 1929 si sposò con la pittrice Frida Kahlo.
I soggetti sono sovente persone umili collocate in un contesto politico. Al tempo stesso Rivera non risparmia gli attacchi alla chiesa e al clero. Con altri artisti come José Clemente Orozco, David Alfaro Siqueiros e Rufino Tamayo, sperimenta grandi affreschi murali con uno stile semplificato e colori vivi, spesso ritraendo scene della rivoluzione messicana di inizio secolo. Tra gli affreschi più emblematici ci sono quelli del Palazzo nazionale a Città del Messico e quelli della scuola nazionale d'agricoltura a Chapingo.
Nei quattro anni seguenti realizzò numerose opere anche negli Stati Uniti in cui le sue tematiche comuniste provocarono molte polemiche sulla stampa. Ciò accadde in particolare con un murales del Rockefeller Center di New York raffigurante Lenin; murales che in seguito venne distrutto. Altra conseguenza di queste polemiche fu l'annullamento della commissione per gli affreschi destinati alla fiera internazionale di Chicago. Nel 1936 Rivera appoggiò la richiesta di asilo in Messico di Leon Trotsky che fu concessa l'anno seguente. Nel 1939 aveva preso le distanze dal noto dissidente russo e aveva divorziato da Frida Kahlo, per poi risposarla nel 1940. Nel 1950 illustrò il Canto General di Pablo Neruda e nel 1955, dopo la morte di Frida, si sposò per la quarta volta, con Emma Hurtado, e si recò in Unione Sovietica per un intervento chirurgico.
Morì il 24 novembre 1957 a Città del Messico. I suoi resti furono collocati nella Rotonda degli uomini illustri, contravvenendo così alle sue ultime volontà.
Nacque il 13 dicembre 1886 a Guanajuato e, a partire dal 1896 inizia a prendere lezioni notturne nell'Accademia di San Carlos a Città del Messico, in cui conobbe il noto paesaggista José María Velasco. Nel 1905 ricevette una borsa di studio del Ministro dell'educazione, Justo Sierra e nel 1907 un'altra del governatore di Veracruz che gli permisero di recarsi in Spagna e di entrare nella scuola di Eduardo Chicharro a Madrid.
Da allora e fino alla metà del 1916 visse tra Messico, Spagna e Francia, frequentando intellettuali del calibro di Alfonso Reyes, Pablo Picasso, Ramón del Valle Inclán e Amedeo Modigliani che gli fece anche un ritratto. In quello stesso anno gli nacque un figlio con la sua prima moglie, la pittrice russa Angelina Beloff, che morirà l'anno seguente.
Diego Rivera Nel 1919 ebbe una figlia con Marie Marevna Vorobev, Marika Rivera Vorobev, che non riconobbe mai, ma che aiutò economicamente. Nel 1922 si iscrisse al Partito Comunista Messicano e cominciò a dipingere i suoi murales negli edifici pubblici di Città del Messico. Nello stesso anno si sposò con Lupe Marín che gli diede due figlie: Lupe, nata nel 1925 e Ruth, nel 1926. Nel 1927 divorziò dalla Marín e venne invitato in Unione Sovietica ai festeggiamenti per il decimo anniversario della Rivoluzione russa. Nel 1929 si sposò con la pittrice Frida Kahlo.
I soggetti sono sovente persone umili collocate in un contesto politico. Al tempo stesso Rivera non risparmia gli attacchi alla chiesa e al clero. Con altri artisti come José Clemente Orozco, David Alfaro Siqueiros e Rufino Tamayo, sperimenta grandi affreschi murali con uno stile semplificato e colori vivi, spesso ritraendo scene della rivoluzione messicana di inizio secolo. Tra gli affreschi più emblematici ci sono quelli del Palazzo nazionale a Città del Messico e quelli della scuola nazionale d'agricoltura a Chapingo.
Nei quattro anni seguenti realizzò numerose opere anche negli Stati Uniti in cui le sue tematiche comuniste provocarono molte polemiche sulla stampa. Ciò accadde in particolare con un murales del Rockefeller Center di New York raffigurante Lenin; murales che in seguito venne distrutto. Altra conseguenza di queste polemiche fu l'annullamento della commissione per gli affreschi destinati alla fiera internazionale di Chicago. Nel 1936 Rivera appoggiò la richiesta di asilo in Messico di Leon Trotsky che fu concessa l'anno seguente. Nel 1939 aveva preso le distanze dal noto dissidente russo e aveva divorziato da Frida Kahlo, per poi risposarla nel 1940. Nel 1950 illustrò il Canto General di Pablo Neruda e nel 1955, dopo la morte di Frida, si sposò per la quarta volta, con Emma Hurtado, e si recò in Unione Sovietica per un intervento chirurgico.
Morì il 24 novembre 1957 a Città del Messico. I suoi resti furono collocati nella Rotonda degli uomini illustri, contravvenendo così alle sue ultime volontà.
Frida Kahlo
« Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni. »(Frida Kahlo, Time Magazine, "Mexican Autobiography" (1953-04-27)
Frida Kahlo, il cui nome completo era Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón (Coyoacán, 6 luglio 1907 – Coyoacán, 13 luglio 1954), è stata unapittrice messicana.
Frida Kahlo era figlia di Carl Wilhelm Kahlo (1871–1941), tedesco, nato a Pforzheim ed emigrato in Messico all'età di 19 anni, e della sua seconda moglie, Matilde Calderón y Gonzalez. Benché la stessa Frida Kahlo sostenesse che suo padre fosse di origine ebreo-ungherese,[1] un gruppo di ricercatori ha stabilito che i genitori di Wilhelm Kahlo, Jakob Heinrich Kahlo e Henriette Kaufmann, non erano ebrei bensì tedeschi luterani.[2]
Fu una pittrice dalla vita quanto mai travagliata. Sosteneva di essere nata nel 1910, poiché si sentiva profondamente figlia della rivoluzione messicana di quell'anno e del Messico moderno. La sua attività artistica ha avuto di recente una rivalutazione, in particolare in Europa con l'allestimento di numerose mostre.
Affetta da spina bifida, che i genitori e le persone intorno a lei scambiarono per poliomielite (ne era affetta anche sua sorella minore), fin dall'adolescenza manifestò talento artistico e uno spirito indipendente e passionale, riluttante verso ogni convenzione sociale.
A 17 anni rimase vittima di un incidente stradale tra un autobus su cui viaggiava e un tram, a causa del quale riportò gravi fratture tra cui 2 alle vertebre lombari, 5 al bacino, 11 al piede destro e la lussazione del gomito sinistro, inoltre un corrimano dell'autobus si staccò, le trapassò il fianco e uscì dalla vagina. Ciò la segnerà a vita costringendola a numerose operazioni chirurgiche. Dimessa dall'ospedale, fu costretta ad anni di riposo nel suo letto di casa col busto ingessato. Questa forzata situazione la spinse a leggere libri sul movimento comunista e a dipingere. Il suo primo soggetto fu un suo autoritratto che in seguito diede in dono al ragazzo di cui era innamorata. Da ciò la scelta dei genitori di regalarle un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto, in modo tale che potesse vedersi, e dei colori; cosicché iniziò la serie di autoritratti. Dopo che le fu rimosso il gesso riuscì a recuperare la capacità di camminare, sebbene non senza dolori, che sopporterà a vita. Portò i suoi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore murale dell'epoca, per avere una sua critica. Rivera rimase colpito dallo stile moderno della giovane artista tanto che la trasse sotto la sua ala e la inserì nella scena politica e culturale messicana.
Divenne un'attivista del partito comunista messicano cui si iscrisse nel 1928, partecipò a numerose manifestazioni e nel frattempo si innamorò di colui che era stata la sua "guida". Infatti nel 1929 il 21 agosto sposò Rivera, che era al suo terzo matrimonio, pur sapendo dei continui tradimenti a cui andava incontro. Dopo anni di dolori coniugali, prese a fare lo stesso, anche con esperienzeomosessuali.
In quegli anni al marito Rivera furono commissionati alcuni lavori negli USA, come il muro all'interno del Rockefeller Center di New York, o gli affreschi per la fiera internazionale di Chicago. A seguito dello scalpore suscitato dall'affresco nel Rockefeller Center, in cui un operaio era chiaramente raffigurato col volto di Lenin, gli furono revocate tali commissioni. Nello stesso periodo di soggiorno a New York la Kahlo rimase incinta, per poi avere un aborto spontaneo a gravidanza inoltrata a causa dell'inadeguatezza del suo fisico a sopportare una gestazione. Ciò, ovviamente, la scosse molto. Quindi decise di tornare in Messico col marito.
I due decisero di vivere in due case separate collegate, però, da un ponte, in modo da avere ognuno i propri spazi "da artista". Nel 1939 però, i due divorziarono a causa del tradimento di Rivera con Cristina Kahlo, la sorella di Frida.
Rivera tornò da Frida un anno dopo, di fatto non l'aveva mai dimenticata e, malgrado i tradimenti, mai aveva smesso di amarla. Le fece una nuova proposta di matrimonio che lei accettò non senza qualche riserva. Si risposarono nel 1940 a San Francisco. Da lui aveva assimilato uno stile volutamente naïf che la portò a dipingere in particolare piccoli autoritratti ispirati all'arte popolare e alle tradizioni precolombiane. La sua chiara intenzione era, ricorrendo a soggetti tratti dalle civiltà native, affermare in maniera inequivocabile la propria identità messicana.
Il suo cruccio maggiore fu quello di non aver avuto figli. La sua appassionata (e all'epoca discussa) storia d'amore con Rivera è raccontata in un suo diario. Ebbe – dicono le cronache – numerosi amanti, di ambo i sessi, con nomi che, neanche all'epoca, potevano passare inosservati come quelli del rivoluzionario russo Lev Trotsky e del poeta André Breton. Fu amica e probabilmente amante diTina Modotti, militante comunista e fotografa nel Messico degli anni Venti[. Pochi anni prima della sua morte le venne amputata la gamba destra, in evidente stato di cancrena. Le ultime parole che scrisse nel suo diario sono "Attendo con gioia la mia dipartita. E spero di non tornare mai più."
Caratteristiche artisticheIl regalo del letto a baldacchino con annessa installazione di uno specchio durante il suo prolungato immobilismo, ebbero inizialmente per Frida un effetto sconvolgente e la portarono al ricorrente tema dell'autoritratto. Il primo che dipinse fu per il suo amore adolescenziale, Alejandro. Nei suoi ritratti raffigurò molto spesso gli aspetti drammatici della sua vita, il maggiore dei quali fu il grave incidente di cui rimase vittima nel 1925 mentre viaggiava su un autobus. I postumi di quell'incidente (un corrimano le perforò il bacino e a causa delle ferite sarà sottoposta nel corso degli anni a trentadue interventi chirurgici) condizioneranno la sua salute (ma non la sua tensione morale) per tutta la vita. Il rapporto ossessivo con il suo corpo martoriato caratterizza uno degli aspetti fondamentali della sua arte: crea visioni del corpo femminile non più distorto da uno sguardo maschile. Allo stesso tempo coglie l'occasione di difendere il suo popolo attraverso gli autoritratti, facendovi confluire quel folclore messicano e quell'autobiografismo utopico che li rende originali rispetto alla canonica pittura di storia.
Sotto questo aspetto, forte (ma non privo talvolta di un certo humour) risulta nei suoi quadri l'impatto di elementi fantastici accostati a oggetti in apparenza incongruenti. Si tratta di quadri di piccole dimensioni (Frida predilige il formato 30 x 37 cm) dove si ritrae con una colonna romana fratturata al posto della spina dorsale o circondata dalle scimmie che cura come figlie nella sua Casa Azul.
Tre importanti esposizioni le furono dedicate nel 1938 a New York, l'anno successivo a Parigi e nel 1953, un anno prima della morte, a Città del Messico. Nella sua casa di Coyoacán, la "Casa Azul", sorge oggi il Museo Frida Kahlo.
Il rapporto con il SurrealismoA partire dal 1938 la pittura si intensifica: i suoi dipinti non si limitano più alla semplice descrizione degli ‘incidenti’ della sua vita, parlano del suo stato interiore e del suo modo di percepire la relazione con il mondo e quasi tutti includono tra i soggetti un bambino, sua personificazione.
Nel 1938 il poeta e saggista surrealista André Breton vide per la prima volta il suo lavoro: ne rimase talmente stregato da proporle una mostra a Parigi e proclamò che Frida fosse ‘una surrealista creatasi con le proprie mani’. A Parigi Frida frequentò i surrealisti facendosi scortare nei caffè degli artisti e nei night club, tuttavia trovò la città decadente; sapeva che l’etichetta surrealista le avrebbe portato l’approvazione dei critici, ma le piaceva l’idea di essere considerata un’artista originale. Quello che può essere considerato il suo lavoro più surrealista è Ciò che l’acqua mi ha dato: immagini di paura, sessualità,memoria e dolore galleggiano nell’acqua di una vasca da bagno dalla quale affiorano le gambe dell’artista. In quest’opera così enigmatica sono chiari i riferimenti a Dalì soprattutto per l’insistenza sui dettagli minuti.
Estremamente surreale è anche il suo diario personale, iniziato nel 1944 e tenuto fino alla morte, si tratta di una sorta di monologo interiore scandito da immagini e parole. Per molte immagini il punto di partenza era una macchia di inchiostro o una linea, come se usasse la tecnica dell’automatismo per verificare le sue nevrosi.
In ogni caso, nonostante l’accento posto sul dolore, sull’erotismo represso e sull’uso di figure ibride, la visione di Frida era ben lontana da quella surrealista: la sua immaginazione non era un modo per uscire dalla logica ed immergersi nel subconscio, ma piuttosto il prodotto della sua vita che lei cercava di rendere accessibile attraverso un simbolismo. La sua idea di surrealismo era giocosa, diceva che esso ‘’è la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie’’. Anni dopo Frida negherà violentemente di aver preso parte al movimento, forse perché negli anni quaranta questo cessò di essere di moda.
« Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni. »(Frida Kahlo, Time Magazine, "Mexican Autobiography" (1953-04-27)
Frida Kahlo, il cui nome completo era Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón (Coyoacán, 6 luglio 1907 – Coyoacán, 13 luglio 1954), è stata unapittrice messicana.
Frida Kahlo era figlia di Carl Wilhelm Kahlo (1871–1941), tedesco, nato a Pforzheim ed emigrato in Messico all'età di 19 anni, e della sua seconda moglie, Matilde Calderón y Gonzalez. Benché la stessa Frida Kahlo sostenesse che suo padre fosse di origine ebreo-ungherese,[1] un gruppo di ricercatori ha stabilito che i genitori di Wilhelm Kahlo, Jakob Heinrich Kahlo e Henriette Kaufmann, non erano ebrei bensì tedeschi luterani.[2]
Fu una pittrice dalla vita quanto mai travagliata. Sosteneva di essere nata nel 1910, poiché si sentiva profondamente figlia della rivoluzione messicana di quell'anno e del Messico moderno. La sua attività artistica ha avuto di recente una rivalutazione, in particolare in Europa con l'allestimento di numerose mostre.
Affetta da spina bifida, che i genitori e le persone intorno a lei scambiarono per poliomielite (ne era affetta anche sua sorella minore), fin dall'adolescenza manifestò talento artistico e uno spirito indipendente e passionale, riluttante verso ogni convenzione sociale.
A 17 anni rimase vittima di un incidente stradale tra un autobus su cui viaggiava e un tram, a causa del quale riportò gravi fratture tra cui 2 alle vertebre lombari, 5 al bacino, 11 al piede destro e la lussazione del gomito sinistro, inoltre un corrimano dell'autobus si staccò, le trapassò il fianco e uscì dalla vagina. Ciò la segnerà a vita costringendola a numerose operazioni chirurgiche. Dimessa dall'ospedale, fu costretta ad anni di riposo nel suo letto di casa col busto ingessato. Questa forzata situazione la spinse a leggere libri sul movimento comunista e a dipingere. Il suo primo soggetto fu un suo autoritratto che in seguito diede in dono al ragazzo di cui era innamorata. Da ciò la scelta dei genitori di regalarle un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto, in modo tale che potesse vedersi, e dei colori; cosicché iniziò la serie di autoritratti. Dopo che le fu rimosso il gesso riuscì a recuperare la capacità di camminare, sebbene non senza dolori, che sopporterà a vita. Portò i suoi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore murale dell'epoca, per avere una sua critica. Rivera rimase colpito dallo stile moderno della giovane artista tanto che la trasse sotto la sua ala e la inserì nella scena politica e culturale messicana.
Divenne un'attivista del partito comunista messicano cui si iscrisse nel 1928, partecipò a numerose manifestazioni e nel frattempo si innamorò di colui che era stata la sua "guida". Infatti nel 1929 il 21 agosto sposò Rivera, che era al suo terzo matrimonio, pur sapendo dei continui tradimenti a cui andava incontro. Dopo anni di dolori coniugali, prese a fare lo stesso, anche con esperienzeomosessuali.
In quegli anni al marito Rivera furono commissionati alcuni lavori negli USA, come il muro all'interno del Rockefeller Center di New York, o gli affreschi per la fiera internazionale di Chicago. A seguito dello scalpore suscitato dall'affresco nel Rockefeller Center, in cui un operaio era chiaramente raffigurato col volto di Lenin, gli furono revocate tali commissioni. Nello stesso periodo di soggiorno a New York la Kahlo rimase incinta, per poi avere un aborto spontaneo a gravidanza inoltrata a causa dell'inadeguatezza del suo fisico a sopportare una gestazione. Ciò, ovviamente, la scosse molto. Quindi decise di tornare in Messico col marito.
I due decisero di vivere in due case separate collegate, però, da un ponte, in modo da avere ognuno i propri spazi "da artista". Nel 1939 però, i due divorziarono a causa del tradimento di Rivera con Cristina Kahlo, la sorella di Frida.
Rivera tornò da Frida un anno dopo, di fatto non l'aveva mai dimenticata e, malgrado i tradimenti, mai aveva smesso di amarla. Le fece una nuova proposta di matrimonio che lei accettò non senza qualche riserva. Si risposarono nel 1940 a San Francisco. Da lui aveva assimilato uno stile volutamente naïf che la portò a dipingere in particolare piccoli autoritratti ispirati all'arte popolare e alle tradizioni precolombiane. La sua chiara intenzione era, ricorrendo a soggetti tratti dalle civiltà native, affermare in maniera inequivocabile la propria identità messicana.
Il suo cruccio maggiore fu quello di non aver avuto figli. La sua appassionata (e all'epoca discussa) storia d'amore con Rivera è raccontata in un suo diario. Ebbe – dicono le cronache – numerosi amanti, di ambo i sessi, con nomi che, neanche all'epoca, potevano passare inosservati come quelli del rivoluzionario russo Lev Trotsky e del poeta André Breton. Fu amica e probabilmente amante diTina Modotti, militante comunista e fotografa nel Messico degli anni Venti[. Pochi anni prima della sua morte le venne amputata la gamba destra, in evidente stato di cancrena. Le ultime parole che scrisse nel suo diario sono "Attendo con gioia la mia dipartita. E spero di non tornare mai più."
Caratteristiche artisticheIl regalo del letto a baldacchino con annessa installazione di uno specchio durante il suo prolungato immobilismo, ebbero inizialmente per Frida un effetto sconvolgente e la portarono al ricorrente tema dell'autoritratto. Il primo che dipinse fu per il suo amore adolescenziale, Alejandro. Nei suoi ritratti raffigurò molto spesso gli aspetti drammatici della sua vita, il maggiore dei quali fu il grave incidente di cui rimase vittima nel 1925 mentre viaggiava su un autobus. I postumi di quell'incidente (un corrimano le perforò il bacino e a causa delle ferite sarà sottoposta nel corso degli anni a trentadue interventi chirurgici) condizioneranno la sua salute (ma non la sua tensione morale) per tutta la vita. Il rapporto ossessivo con il suo corpo martoriato caratterizza uno degli aspetti fondamentali della sua arte: crea visioni del corpo femminile non più distorto da uno sguardo maschile. Allo stesso tempo coglie l'occasione di difendere il suo popolo attraverso gli autoritratti, facendovi confluire quel folclore messicano e quell'autobiografismo utopico che li rende originali rispetto alla canonica pittura di storia.
Sotto questo aspetto, forte (ma non privo talvolta di un certo humour) risulta nei suoi quadri l'impatto di elementi fantastici accostati a oggetti in apparenza incongruenti. Si tratta di quadri di piccole dimensioni (Frida predilige il formato 30 x 37 cm) dove si ritrae con una colonna romana fratturata al posto della spina dorsale o circondata dalle scimmie che cura come figlie nella sua Casa Azul.
Tre importanti esposizioni le furono dedicate nel 1938 a New York, l'anno successivo a Parigi e nel 1953, un anno prima della morte, a Città del Messico. Nella sua casa di Coyoacán, la "Casa Azul", sorge oggi il Museo Frida Kahlo.
Il rapporto con il SurrealismoA partire dal 1938 la pittura si intensifica: i suoi dipinti non si limitano più alla semplice descrizione degli ‘incidenti’ della sua vita, parlano del suo stato interiore e del suo modo di percepire la relazione con il mondo e quasi tutti includono tra i soggetti un bambino, sua personificazione.
Nel 1938 il poeta e saggista surrealista André Breton vide per la prima volta il suo lavoro: ne rimase talmente stregato da proporle una mostra a Parigi e proclamò che Frida fosse ‘una surrealista creatasi con le proprie mani’. A Parigi Frida frequentò i surrealisti facendosi scortare nei caffè degli artisti e nei night club, tuttavia trovò la città decadente; sapeva che l’etichetta surrealista le avrebbe portato l’approvazione dei critici, ma le piaceva l’idea di essere considerata un’artista originale. Quello che può essere considerato il suo lavoro più surrealista è Ciò che l’acqua mi ha dato: immagini di paura, sessualità,memoria e dolore galleggiano nell’acqua di una vasca da bagno dalla quale affiorano le gambe dell’artista. In quest’opera così enigmatica sono chiari i riferimenti a Dalì soprattutto per l’insistenza sui dettagli minuti.
Estremamente surreale è anche il suo diario personale, iniziato nel 1944 e tenuto fino alla morte, si tratta di una sorta di monologo interiore scandito da immagini e parole. Per molte immagini il punto di partenza era una macchia di inchiostro o una linea, come se usasse la tecnica dell’automatismo per verificare le sue nevrosi.
In ogni caso, nonostante l’accento posto sul dolore, sull’erotismo represso e sull’uso di figure ibride, la visione di Frida era ben lontana da quella surrealista: la sua immaginazione non era un modo per uscire dalla logica ed immergersi nel subconscio, ma piuttosto il prodotto della sua vita che lei cercava di rendere accessibile attraverso un simbolismo. La sua idea di surrealismo era giocosa, diceva che esso ‘’è la magica sorpresa di trovare un leone nell’armadio, dove eri sicuro di trovare le camicie’’. Anni dopo Frida negherà violentemente di aver preso parte al movimento, forse perché negli anni quaranta questo cessò di essere di moda.
Georgia O'Keeffe (Sun Prairie, 15 novembre 1887 – Santa Fe, 6 marzo 1986) è stata una pittrice statunitense. È associabile al precisionismo[1].
Georgia O'Keeffe nacque in una famiglia di coltivatori. Dopo i primi studi in Wisconsin, nel 1905 studiò a Chicago e nel 1907 a New York.
Nel 1908 assistette nella galleria di New York del suo futuro marito, il fotografo Alfred Stieglitz, ad una mostra di acquerelli di Rodin che la colpirono profondamente.
In questi anni Stieglitz organizzò diverse mostre di O'Keeffe, facendola conoscere agli ambienti dell'avanguardia newyorkese, tra cui molti modernisti americani amici di Stieglitz, come Charles Demuth, Arthur Garfield Dove, Marsden Hartley, John Marin, Paul Strand ed Edward Steichen.
Le sue creazioni degli anni dieci sono caratterizzate da un astrattismo lirico creato da armoniose linee, figure e colori; queste opere, principalmente serie di illustrazioni a carboncino e acquerelli, sono fra le più innovative di tutta l'arte statunitense prodotta nel periodo.
Negli anni venti abbandonò la tecnica dell'acquerello per realizzare pitture ad olio di grande formato con forme naturali e architettoniche ispirate agli edifici diNew York in primo piano, come viste tramite una lente d'ingrandimento.
Queste opere contribuirono al suo successo, tanto che alla metà degli anni venti era considerata una delle artiste più importanti d'America.
Nel 1924 O'Keeffe e Stieglitz si sposarono.
A partire dal 1929 passò nel Nuovo Messico diversi mesi dell'anno, dipingendo alcune delle sue creazioni più famose in cui sintetizza l'astrazione con la rappresentazione di fiori e paesaggi tipici della zona, per lo più colline desertiche piene di rocce, conchiglie e ossa animali. I contorni sono increspati, con sottili transizioni tonali di colori che variano fino a trasformare il soggetto in potenti immagini astratte, talvolta trasfigurate in senso erotico.
Negli anni trenta e quaranta O'Keeffe ricevette numerose commissioni e lauree ad honorem da numerose università.
Nel 1946 il marito morì e nel 1949 O'Keeffe si trasferì permanentemente nel Nuovo Messico.
Durante gli anni cinquanta produsse una serie di pitture con forme architettoniche ispirate alla sua casa nel Nuovo Messico e una vasta serie di pitture di nuvole come viste dai finestrini di un aeroplano.
A partire dall'inizio degli anni settanta fu colpita da una malattia alla vista, che la costrinse col tempo a ridurre il lavoro.
Il 10 gennaio 1977 il Presidente Gerald Ford l'ha insignita della prestigiosa onorificenza statunitense, la Medaglia presidenziale della libertà[2].
È morta nel 1986 all'età di 98 anni.
Georgia O'Keeffe nacque in una famiglia di coltivatori. Dopo i primi studi in Wisconsin, nel 1905 studiò a Chicago e nel 1907 a New York.
Nel 1908 assistette nella galleria di New York del suo futuro marito, il fotografo Alfred Stieglitz, ad una mostra di acquerelli di Rodin che la colpirono profondamente.
In questi anni Stieglitz organizzò diverse mostre di O'Keeffe, facendola conoscere agli ambienti dell'avanguardia newyorkese, tra cui molti modernisti americani amici di Stieglitz, come Charles Demuth, Arthur Garfield Dove, Marsden Hartley, John Marin, Paul Strand ed Edward Steichen.
Le sue creazioni degli anni dieci sono caratterizzate da un astrattismo lirico creato da armoniose linee, figure e colori; queste opere, principalmente serie di illustrazioni a carboncino e acquerelli, sono fra le più innovative di tutta l'arte statunitense prodotta nel periodo.
Negli anni venti abbandonò la tecnica dell'acquerello per realizzare pitture ad olio di grande formato con forme naturali e architettoniche ispirate agli edifici diNew York in primo piano, come viste tramite una lente d'ingrandimento.
Queste opere contribuirono al suo successo, tanto che alla metà degli anni venti era considerata una delle artiste più importanti d'America.
Nel 1924 O'Keeffe e Stieglitz si sposarono.
A partire dal 1929 passò nel Nuovo Messico diversi mesi dell'anno, dipingendo alcune delle sue creazioni più famose in cui sintetizza l'astrazione con la rappresentazione di fiori e paesaggi tipici della zona, per lo più colline desertiche piene di rocce, conchiglie e ossa animali. I contorni sono increspati, con sottili transizioni tonali di colori che variano fino a trasformare il soggetto in potenti immagini astratte, talvolta trasfigurate in senso erotico.
Negli anni trenta e quaranta O'Keeffe ricevette numerose commissioni e lauree ad honorem da numerose università.
Nel 1946 il marito morì e nel 1949 O'Keeffe si trasferì permanentemente nel Nuovo Messico.
Durante gli anni cinquanta produsse una serie di pitture con forme architettoniche ispirate alla sua casa nel Nuovo Messico e una vasta serie di pitture di nuvole come viste dai finestrini di un aeroplano.
A partire dall'inizio degli anni settanta fu colpita da una malattia alla vista, che la costrinse col tempo a ridurre il lavoro.
Il 10 gennaio 1977 il Presidente Gerald Ford l'ha insignita della prestigiosa onorificenza statunitense, la Medaglia presidenziale della libertà[2].
È morta nel 1986 all'età di 98 anni.
Felice Casorati (Novara, 4 dicembre 1883 – Torino, 1º marzo 1963) è stato un pittore italiano.
Il padre ufficiale di carriera e pittore dilettante, Felice Casorati proveniva da una famiglia che aveva dato all'Italia matematici e scienziati di fama. Casorati trascorse l'infanzia a Milano, Reggio Emilia,Sassari e, infine, a Padova, dove si dedicò agli studi musicali con un'intensità tale da rimanere vittima di un esaurimento nervoso all'età di diciotto anni. Durante un periodo di riposo a Praglia, sui colli Euganei, cominciò a dipingere, eseguendo la prima opera nota, un paesaggio padovano del 1902.
Laurea in leggeNel 1906 si laureò in legge all'università di Padova, decidendo tuttavia di dedicarsi alla carriera artistica. Ritratto di signora, un'elegante immagine della sorella Elvira, fu ammesso dalla giuria allaBiennale di Venezia nel 1907. A Napoli dal 1908 al 1911, studiò l'opera di Pieter Brueghel il Vecchio, nella collezione del Museo Nazionale.
Le influenze artisticheLe sue opere furono esposte alla Biennale del 1909 e del 1910; in questa seconda occasione rimase fortemente impressionato dalla sala dedicata a Gustav Klimt. Lo stile simbolico e decorativo dellaSecessione viennese influenzò in maniera determinante le successive opere di Casorati. Tra il 1911 e il 1915 visse a Verona fondando insieme con altri, nel 1914, la rivista La Via Lattea, alla quale collaborò con illustrazioni di stile art nouveau alla maniera di Jan Toorop e Aubrey Beardsley. Durante gli ultimi anni fu vicino agli artisti di Ca' Pesaro, Arturo Martini, Gino Rossi, Umberto Moggioli, Pio Semeghini, il cui orientamento europeo lo introdusse ai recenti sviluppi artistici di Parigi e Monaco.
Casorati e TorinoCasorati fu arruolato nell'esercito nel 1915. Alla morte del padre nel 1917 si trasferì con la famiglia a Torino, divenendo ben presto una figura centrale nei circoli intellettuali della città. Strinse rapporti di amicizia con il compositore Alfredo Casella e con Piero Gobetti, aderendo nel 1922 al gruppo della "Rivoluzione Liberale". Nel 1923, in conseguenza dell'amicizia con l'antifascista Gobetti, subì un arresto e alcuni giorni di carcere; dopo quell'episodio evitò di entrare in conflitto aperto con il regime. A Torino nel 1921 Casorati aprirà una scuola di pittura per giovani artisti, un'esperienza completamente nuova e lontana da ogni sistematicità d'accademia, allievi con cui esporrà nel 1929 alla mostra "Casorati fra i discepoli", accompagnata da un testo di Giacomo Debenedetti in cui sono ricordati, tra gli allievi, Silvio Avondo, Nella Marchesini, Daphne Maugham, Marisa Mori, Andrea Cefaly junior, Sergio Bonfantini, Albino Galvano, Paola Levi Montalcini, Lalla Romano, Riccardo Chicco.
La prima personaleNelle opere della maturità, nel periodo post bellico, come il Ritratto di Silvana Cenni del 1922 e Meriggio del 1923, al dettaglio decorativo si sostituì la meditazione di una forma essenziale, influenzata dalle costruzioni spaziali matematiche della pittura quattrocentesca e, in particolare, dall'atmosfera di immobilità tipica dell'opera di Piero della Francesca. Nel 1924 Casorati tenne una personale alla Biennale, accompagnata da un autorevole saggio di presentazione in catalogo di Lionello Venturi.
Il "realismo magico"La purezza cristallina e il tono enigmatico delle composizioni casoratiane contribuirono a delineare il "realismo magico", condiviso in origine dal gruppo di Novecento. Pur partecipando alle mostre del "Novecento italiano" del 1926 e del 1929, Casorati si mantenne tuttavia autonomo rispetto al movimento di Margherita Sarfatti. Nel corso degli anni venti assunse un ruolo guida nella vita culturale italiana. Nel 1923 aprì nello studio di via Mazzini a Torino una scuola per giovani artisti; tra gli allievi ebbe Francesco Menzio, Carlo Levi, Gigi Chessa e Jessie Boswell, che in seguito fecero parte del gruppo dei "Sei pittori di Torino". Più tardi accolse anche il pittore piemontese Enrico Accatino e la pittrice modenese Ida Donati Formiggini, moglie del deputato socialista Pio Donati.
La Società di Belle ArtiNel 1930 sposò Daphne Maugham, che frequentava la sua scuola dal 1926; fu pittore anche il figlio Francesco. Nel 1925 fu tra i fondatori della Società di Belle Arti Antonio Fontanesi, allo scopo di promuovere mostre di artisti italiani e stranieri dell'Ottocento e contemporanei. L'amicizia con l'industriale e collezionista Riccardo Gualino incoraggiò l'interesse di Casorati per il design di interni. Nel 1925 lavorò con Alberto Sartoris al teatrino di casa Gualino. Alla III Biennale di arti decorative organizzata dall'ISIA di Monza nel 1927 collaborò con Sartoris alla "via commerciale" per il padiglione piemontese; progettò inoltre l'atrio della Mostra dell'architettura alla Triennale di Milano del 1933.
l''arte astrattaNel 1935 lo studio di Casorati ed Enrico Paulucci ospitò la prima mostra collettiva d'arte astratta italiana, comprendente opere di Licini, Melotti e Fontana. Casorati vinse il premio per la pittura alla Biennale di Venezia nel 1938. Ricevette riconoscimenti ufficiali anche alle grandi esposizioni di Parigi, Pittsburgh e San Francisco alla fine degli anni trenta. Fu particolarmente attivo nella creazione di scene e costumi per il Teatro dell'Opera di Roma, la Scala di Milano e il Maggio musicale fiorentino, attività che proseguì anche nel dopoguerra. La fama che allora lo circondava indusse il Verzocchi, a contattarlo alla fine degli anni quaranta, per contribuire alla sua collezione sul lavoro nella pittura contemporanea. Nel 1952 tenne una personale alla Biennale, e con Ottone Rosai, ricevette il premio speciale della Presidenza.
Il padre ufficiale di carriera e pittore dilettante, Felice Casorati proveniva da una famiglia che aveva dato all'Italia matematici e scienziati di fama. Casorati trascorse l'infanzia a Milano, Reggio Emilia,Sassari e, infine, a Padova, dove si dedicò agli studi musicali con un'intensità tale da rimanere vittima di un esaurimento nervoso all'età di diciotto anni. Durante un periodo di riposo a Praglia, sui colli Euganei, cominciò a dipingere, eseguendo la prima opera nota, un paesaggio padovano del 1902.
Laurea in leggeNel 1906 si laureò in legge all'università di Padova, decidendo tuttavia di dedicarsi alla carriera artistica. Ritratto di signora, un'elegante immagine della sorella Elvira, fu ammesso dalla giuria allaBiennale di Venezia nel 1907. A Napoli dal 1908 al 1911, studiò l'opera di Pieter Brueghel il Vecchio, nella collezione del Museo Nazionale.
Le influenze artisticheLe sue opere furono esposte alla Biennale del 1909 e del 1910; in questa seconda occasione rimase fortemente impressionato dalla sala dedicata a Gustav Klimt. Lo stile simbolico e decorativo dellaSecessione viennese influenzò in maniera determinante le successive opere di Casorati. Tra il 1911 e il 1915 visse a Verona fondando insieme con altri, nel 1914, la rivista La Via Lattea, alla quale collaborò con illustrazioni di stile art nouveau alla maniera di Jan Toorop e Aubrey Beardsley. Durante gli ultimi anni fu vicino agli artisti di Ca' Pesaro, Arturo Martini, Gino Rossi, Umberto Moggioli, Pio Semeghini, il cui orientamento europeo lo introdusse ai recenti sviluppi artistici di Parigi e Monaco.
Casorati e TorinoCasorati fu arruolato nell'esercito nel 1915. Alla morte del padre nel 1917 si trasferì con la famiglia a Torino, divenendo ben presto una figura centrale nei circoli intellettuali della città. Strinse rapporti di amicizia con il compositore Alfredo Casella e con Piero Gobetti, aderendo nel 1922 al gruppo della "Rivoluzione Liberale". Nel 1923, in conseguenza dell'amicizia con l'antifascista Gobetti, subì un arresto e alcuni giorni di carcere; dopo quell'episodio evitò di entrare in conflitto aperto con il regime. A Torino nel 1921 Casorati aprirà una scuola di pittura per giovani artisti, un'esperienza completamente nuova e lontana da ogni sistematicità d'accademia, allievi con cui esporrà nel 1929 alla mostra "Casorati fra i discepoli", accompagnata da un testo di Giacomo Debenedetti in cui sono ricordati, tra gli allievi, Silvio Avondo, Nella Marchesini, Daphne Maugham, Marisa Mori, Andrea Cefaly junior, Sergio Bonfantini, Albino Galvano, Paola Levi Montalcini, Lalla Romano, Riccardo Chicco.
La prima personaleNelle opere della maturità, nel periodo post bellico, come il Ritratto di Silvana Cenni del 1922 e Meriggio del 1923, al dettaglio decorativo si sostituì la meditazione di una forma essenziale, influenzata dalle costruzioni spaziali matematiche della pittura quattrocentesca e, in particolare, dall'atmosfera di immobilità tipica dell'opera di Piero della Francesca. Nel 1924 Casorati tenne una personale alla Biennale, accompagnata da un autorevole saggio di presentazione in catalogo di Lionello Venturi.
Il "realismo magico"La purezza cristallina e il tono enigmatico delle composizioni casoratiane contribuirono a delineare il "realismo magico", condiviso in origine dal gruppo di Novecento. Pur partecipando alle mostre del "Novecento italiano" del 1926 e del 1929, Casorati si mantenne tuttavia autonomo rispetto al movimento di Margherita Sarfatti. Nel corso degli anni venti assunse un ruolo guida nella vita culturale italiana. Nel 1923 aprì nello studio di via Mazzini a Torino una scuola per giovani artisti; tra gli allievi ebbe Francesco Menzio, Carlo Levi, Gigi Chessa e Jessie Boswell, che in seguito fecero parte del gruppo dei "Sei pittori di Torino". Più tardi accolse anche il pittore piemontese Enrico Accatino e la pittrice modenese Ida Donati Formiggini, moglie del deputato socialista Pio Donati.
La Società di Belle ArtiNel 1930 sposò Daphne Maugham, che frequentava la sua scuola dal 1926; fu pittore anche il figlio Francesco. Nel 1925 fu tra i fondatori della Società di Belle Arti Antonio Fontanesi, allo scopo di promuovere mostre di artisti italiani e stranieri dell'Ottocento e contemporanei. L'amicizia con l'industriale e collezionista Riccardo Gualino incoraggiò l'interesse di Casorati per il design di interni. Nel 1925 lavorò con Alberto Sartoris al teatrino di casa Gualino. Alla III Biennale di arti decorative organizzata dall'ISIA di Monza nel 1927 collaborò con Sartoris alla "via commerciale" per il padiglione piemontese; progettò inoltre l'atrio della Mostra dell'architettura alla Triennale di Milano del 1933.
l''arte astrattaNel 1935 lo studio di Casorati ed Enrico Paulucci ospitò la prima mostra collettiva d'arte astratta italiana, comprendente opere di Licini, Melotti e Fontana. Casorati vinse il premio per la pittura alla Biennale di Venezia nel 1938. Ricevette riconoscimenti ufficiali anche alle grandi esposizioni di Parigi, Pittsburgh e San Francisco alla fine degli anni trenta. Fu particolarmente attivo nella creazione di scene e costumi per il Teatro dell'Opera di Roma, la Scala di Milano e il Maggio musicale fiorentino, attività che proseguì anche nel dopoguerra. La fama che allora lo circondava indusse il Verzocchi, a contattarlo alla fine degli anni quaranta, per contribuire alla sua collezione sul lavoro nella pittura contemporanea. Nel 1952 tenne una personale alla Biennale, e con Ottone Rosai, ricevette il premio speciale della Presidenza.
Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 19 ottobre 1882 – Verona, 17 agosto 1916) è stato un pittore e scultore italiano. Fu teorico e principale esponente del movimento futurista, nonché maggior esponente dell'arte futurista italiana.
I genitori di Umberto, Raffaele Boccioni e Cecilia Forlani, sono originari di Morciano di Romagna, allora in provincia di Forlì [1]. Ma il padre, che lavora come usciere di prefettura, è costretto a spostarsi lungo il territorio nazionale in base alle esigenze di servizio. Umberto nasce il 19 ottobre 1882 a Reggio Calabria; successivamente la famiglia si trasferisce a Forlì, dove Umberto trascorre l'infanzia. Nell'estate del 1885 la famiglia, lasciata Forlì, è già a Genova; cinque anni dopo è a Padova. Nel 1897 giunge l'ordine di un nuovo trasferimento a Catania. Questa volta la famiglia si separa: Umberto e il padre vanno in Sicilia; la madre con la sorella maggiore Amelia, nata a Roma, restano a Padova. A Catania Umberto frequenta l'istituto tecnico fino ad ottenere il diploma. Collabora ad alcuni giornali locali e scrive il suo primo romanzo: Pene dell'anima, che reca la data 6 luglio 1900.
Nel 1901 Umberto si trasferisce a Roma, dove il padre è stato di nuovo trasferito. Frequenta spesso la casa della zia Colomba. In poco tempo s'innamora di una delle sue figlie, Sandrina. Umberto ha circa vent'anni e frequenta lo studio di un cartellonista, dove apprende i primi rudimenti della pittura. In questo periodo conosce Gino Severini, col quale frequenta, a Porta Pinciana, lo studio del pittore divisionista Giacomo Balla. All'inizio del 1903 Umberto e Severini frequentano la Scuola libera del Nudo, dove incontrano Mario Sironi, anch'egli allievo di Balla, col quale stringeranno una duratura amicizia. In quell'anno Umberto dipinge la sua prima opera Campagna Romana o Meriggio.
Con l'aiuto di entrambi i genitori riesce a viaggiare all'estero: la prima destinazione è Parigi (aprile-agosto 1906), cui segue la Russia da cui ritorna nel novembre dello stesso anno. Nell'aprile 1907Umberto si iscrive alla Scuola libera del Nudo dell'Istituto di Belle Arti di Venezia. Inizia un altro viaggio verso la Russia ma l'interrompe a Monaco, dove visita il museo. Al ritorno disegna, dipinge attivamente, pur restando inappagato perché sente i limiti della cultura italiana che reputa ancora essenzialmente "cultura di provincia". Nel frattempo affronta le prime esperienze nel campo dell'incisione.
Nell'autunno del 1907 si reca per la prima volta a Milano, dove da alcuni mesi abitano la madre e la sorella. Intuisce subito che è la città più di altre in ascesa e che corrisponde alle sue aspirazioni dinamiche. Diventa amico di Romolo Romani, frequenta Previati, di cui risente qualche influsso nella sua pittura che sembra rivolgersi al simbolismo. Diviene socio della Permanente.
Dopo l'arrivo a Milano e l'incontro con i divisionisti e con Filippo Tommaso Marinetti, scrive, insieme a Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini, il Manifesto dei pittori futuristi (1910), cui seguì il Manifesto tecnico del movimento futurista (1910): obiettivo dell'artista moderno doveva essere, secondo gli estensori, liberarsi dai modelli e dalle tradizioni figurative del passato, per volgersi risolutamente al mondo contemporaneo, dinamico, vivace, in continua evoluzione.
La lapide commemorativa di Boccioni aChievoQuali soggetti della rappresentazione si proponevano dunque la città, le macchine, la caotica realtà quotidiana. Nelle sue opere, Boccioni seppe esprimere magistralmente il movimento delle forme e la concretezza della materia. Benché influenzato dal cubismo, cui rimproverò l'eccessiva staticità, Boccioni evitò nei suoi dipinti le linee rette e adoperò colori complementari. In quadri come Dinamismo di un ciclista (1913), o Dinamismo di un giocatore di calcio (1911), la raffigurazione di uno stesso soggetto in stadi successivi nel tempo suggerisce efficacemente l'idea dello spostamento nello spazio.
Simile intento governa del resto anche la scultura di Boccioni, per la quale spesso l'artista trascurò i materiali nobili come marmo e bronzo, preferendo illegno, il ferro e il vetro. Ciò che interessava era illustrare l'interazione di un oggetto in movimento con lo spazio circostante. Pochissime sue sculturesono sopravvissute.
Tra le opere pittoriche più rilevanti di Boccioni si ricordano Rissa in galleria (1910), Stati d'animo n. 1. Gli addii (1911) – in cui i moti dell'animo sono espressi attraverso lampi di luce, spirali e linee ondulate disposte diagonalmente – Forze di una strada (1911), dove la città, quasi organismo vivo, ha peso preponderante rispetto alle presenze umane.
Nel 1915 l'Italia entra in guerra. Boccioni, interventista, si arruola volontario assieme ad un gruppo di artisti. Durante il suo impegno bellico deve ricredersi riguardo alla teoria futurista enunciata da Marinetti, secondo cui la guerra è "la sola igiene del mondo". Conia la sua famosa equazione "guerra=insetti+noia".
Il 17 agosto 1916, muore in modo del tutto accidentale, cadendo dalla propria cavalla, imbizzarritasi alla vista di un autocarro. La disgrazia avviene durante un'esercitazione militare, a Chievo, frazione di Verona, dove oggi si trova la sua lapide commemorativa, in una stradina immersa nella campagna.
I genitori di Umberto, Raffaele Boccioni e Cecilia Forlani, sono originari di Morciano di Romagna, allora in provincia di Forlì [1]. Ma il padre, che lavora come usciere di prefettura, è costretto a spostarsi lungo il territorio nazionale in base alle esigenze di servizio. Umberto nasce il 19 ottobre 1882 a Reggio Calabria; successivamente la famiglia si trasferisce a Forlì, dove Umberto trascorre l'infanzia. Nell'estate del 1885 la famiglia, lasciata Forlì, è già a Genova; cinque anni dopo è a Padova. Nel 1897 giunge l'ordine di un nuovo trasferimento a Catania. Questa volta la famiglia si separa: Umberto e il padre vanno in Sicilia; la madre con la sorella maggiore Amelia, nata a Roma, restano a Padova. A Catania Umberto frequenta l'istituto tecnico fino ad ottenere il diploma. Collabora ad alcuni giornali locali e scrive il suo primo romanzo: Pene dell'anima, che reca la data 6 luglio 1900.
Nel 1901 Umberto si trasferisce a Roma, dove il padre è stato di nuovo trasferito. Frequenta spesso la casa della zia Colomba. In poco tempo s'innamora di una delle sue figlie, Sandrina. Umberto ha circa vent'anni e frequenta lo studio di un cartellonista, dove apprende i primi rudimenti della pittura. In questo periodo conosce Gino Severini, col quale frequenta, a Porta Pinciana, lo studio del pittore divisionista Giacomo Balla. All'inizio del 1903 Umberto e Severini frequentano la Scuola libera del Nudo, dove incontrano Mario Sironi, anch'egli allievo di Balla, col quale stringeranno una duratura amicizia. In quell'anno Umberto dipinge la sua prima opera Campagna Romana o Meriggio.
Con l'aiuto di entrambi i genitori riesce a viaggiare all'estero: la prima destinazione è Parigi (aprile-agosto 1906), cui segue la Russia da cui ritorna nel novembre dello stesso anno. Nell'aprile 1907Umberto si iscrive alla Scuola libera del Nudo dell'Istituto di Belle Arti di Venezia. Inizia un altro viaggio verso la Russia ma l'interrompe a Monaco, dove visita il museo. Al ritorno disegna, dipinge attivamente, pur restando inappagato perché sente i limiti della cultura italiana che reputa ancora essenzialmente "cultura di provincia". Nel frattempo affronta le prime esperienze nel campo dell'incisione.
Nell'autunno del 1907 si reca per la prima volta a Milano, dove da alcuni mesi abitano la madre e la sorella. Intuisce subito che è la città più di altre in ascesa e che corrisponde alle sue aspirazioni dinamiche. Diventa amico di Romolo Romani, frequenta Previati, di cui risente qualche influsso nella sua pittura che sembra rivolgersi al simbolismo. Diviene socio della Permanente.
Dopo l'arrivo a Milano e l'incontro con i divisionisti e con Filippo Tommaso Marinetti, scrive, insieme a Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini, il Manifesto dei pittori futuristi (1910), cui seguì il Manifesto tecnico del movimento futurista (1910): obiettivo dell'artista moderno doveva essere, secondo gli estensori, liberarsi dai modelli e dalle tradizioni figurative del passato, per volgersi risolutamente al mondo contemporaneo, dinamico, vivace, in continua evoluzione.
La lapide commemorativa di Boccioni aChievoQuali soggetti della rappresentazione si proponevano dunque la città, le macchine, la caotica realtà quotidiana. Nelle sue opere, Boccioni seppe esprimere magistralmente il movimento delle forme e la concretezza della materia. Benché influenzato dal cubismo, cui rimproverò l'eccessiva staticità, Boccioni evitò nei suoi dipinti le linee rette e adoperò colori complementari. In quadri come Dinamismo di un ciclista (1913), o Dinamismo di un giocatore di calcio (1911), la raffigurazione di uno stesso soggetto in stadi successivi nel tempo suggerisce efficacemente l'idea dello spostamento nello spazio.
Simile intento governa del resto anche la scultura di Boccioni, per la quale spesso l'artista trascurò i materiali nobili come marmo e bronzo, preferendo illegno, il ferro e il vetro. Ciò che interessava era illustrare l'interazione di un oggetto in movimento con lo spazio circostante. Pochissime sue sculturesono sopravvissute.
Tra le opere pittoriche più rilevanti di Boccioni si ricordano Rissa in galleria (1910), Stati d'animo n. 1. Gli addii (1911) – in cui i moti dell'animo sono espressi attraverso lampi di luce, spirali e linee ondulate disposte diagonalmente – Forze di una strada (1911), dove la città, quasi organismo vivo, ha peso preponderante rispetto alle presenze umane.
Nel 1915 l'Italia entra in guerra. Boccioni, interventista, si arruola volontario assieme ad un gruppo di artisti. Durante il suo impegno bellico deve ricredersi riguardo alla teoria futurista enunciata da Marinetti, secondo cui la guerra è "la sola igiene del mondo". Conia la sua famosa equazione "guerra=insetti+noia".
Il 17 agosto 1916, muore in modo del tutto accidentale, cadendo dalla propria cavalla, imbizzarritasi alla vista di un autocarro. La disgrazia avviene durante un'esercitazione militare, a Chievo, frazione di Verona, dove oggi si trova la sua lapide commemorativa, in una stradina immersa nella campagna.
Giovanni Boldini
« Per quanto superficiale e pieno di lenocini divenisse il suo lavoro, Boldini fu sempre capace di trasmettere nello spettatore la gioia ispiratagli dalle assurdità che ritraeva. Anche il più insopportabile dei suoi ritratti rivela un immenso divertimento. »(Cecil Beaton, The Glass of Fashion, 1955
)Giovanni Boldini nel 1910.Giovanni Boldini (Ferrara, 31 dicembre 1842 – Parigi, 11 gennaio 1931) è stato un pittore italiano.
Nasce, ottavo di tredici figli, da Antonio, nativo di Spoleto, e Benvenuta Caleffi. Giovanni Boldini era pittore di matrice purista, allievo di Tommaso Minardi(1787 - 1871), e restauratore. Si dice che, dotato di notevole tecnica, eseguisse buone copie di opere di Raffaello e di vedutisti veneziani. Dal padre, Zaninriceve, giovanissimo, i primi insegnamenti di disegno.
A Ferrara frequenta dal 1858 i corsi di pittura di Girolamo Domenichini (1813 – 1891), che col padre Gaetano fu autore degli affreschi accademici nel locale Teatro, e di Giovanni Pagliarini (1809 – 1878), tenuti nel Palazzo dei Diamanti. Qui ha modo di conoscere bene i grandi quattrocentisti ferraresi, oltre a Dosso Dossi e al Parmigianino.
La sua prima opera nota è Il cortile della casa paterna, un olio datato al 1855; seguono, datati alla fine degli anni Cinquanta, il suo Autoritratto a sedici anni e i ritratti del fratello Francesco, di Maria Angelini e di Vittore Carletti.
Nel 1862 si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Firenze, allievo di Stefano Ussi (1822 - 1901) e del cavalier Enrico Pollastrini (1817 - 1876). Frequenta il noto ritrovo degli artisti fiorentini, il Caffè Michelangelo, dove conosce Giovanni Fattori, Odoardo Borrani, Telemaco Signorini, Cristiano Banti del quale è ospite nelle sue ville di Montorsoli e di Montemurlo, e Michele Gordigiani (1830 - 1909). Già manifesta il proprio interesse, che non abbandonerà mai, per i salotti eleganti dell'aristocrazia e dell'alta borghesia: spesso ospite degli inglesi Falconer, decora con tempera stesa a secco, dal1867 al 1870, le pareti di una saletta della loro villa pistoiese "La Falconiera": la villa sarà acquistata nel 1938 dalla vedova del pittore e custodisce tuttora un centinaio di sue opere e di suoi cimeli.
Nel 1866 va a Napoli col Banti, che ritrae più volte. Nel 1867 compie un viaggio in Francia con i Falconer: a Montecarlo dipinge il Generale spagnolo - "una delle cose migliori della mia gioventù" -, dirà. A Parigi visita l'Esposizione Universale e conosce Edgar Degas, Alfred Sisley e Édouard Manet.
Si stabilisce a Londra nel 1870, invitato da William Cornwallis - West, conosciuto a Firenze, che gli mette a disposizione uno studio nel centro della città, frequentato dall'alta società ma alla fine dell'anno è nuovamente a Firenze.
A ParigiNell'ottobre del 1871 si stabilisce a Parigi aprendo uno studio nell'avenue Frochol e poi a place Pigalle dove risiede con la modella Berthe. Lavora per il più importante mercante d'arte parigino, Goupil, per il quale operano già pittori di grande successo come Mariano Fortuny ed Ernest Meissonier, oltre agli italiani Giuseppe Palizzi e Giuseppe De Nittis. Dipinge una serie di quadri di genere, d'ambiente settecentesco, allora molto in voga.
Nel 1874 espone con successo al Salon di Parigi Le Lavandaie. Termina la relazione con Berthe e inizia quella con la contessa Gabrielle de Rasty della quale espone un ritratto al Salon nel 1875; a maggio torna brevemente a Ferrara a causa della morte della madre. Nel 1876 viaggia in Germania, dove conosce e ritrae il grande pittore Adolph von Menzel mentre in Olanda ha modo di apprezzare le opere di Frans Hals.
Ormai è affermato e richiestissimo dal cosiddetto bel mondo: nel 1886 ritrae una prima volta Giuseppe Verdi su tela - gli donerà il ritratto sette anni dopo a Milano - ma, non soddisfatto dell'esito, lo ritrae nuovamente il 9 aprile 1886, utilizzando il pastello su carta, in sole cinque ore. Il pittore lo tenne per sé, presentandolo all'Esposizione di Parigi del 1889 e nel 1897 alla I Biennale di Venezia, donandolo infine alla Galleria d'Arte Moderna di Roma nel 1918.
Il 5 febbraio 1887 assiste nel Teatro alla Scala di Milano alla prima dell'Otello di Verdi, ricevendone il dono lo spartito. Nel 1889 è nominato commissario della sezione italiana all'Esposizione Universale di Parigi, esponendovi tre suoi ritratti, tra i quali il noto Ritratto di Emiliana Concha de Ossa, nipote dell'ambasciatore cileno presso il Vaticano Luis Subercaseuse.
Alla conoscenza dell'opera dello svedese Anders Zorn si vuole far risalire la scelta del Boldini di aumentare il formato delle sue tele a partire dagli anni Novanta. Nel 1892 torna in Italia, a Montorsoli, ospite del Banti, per soddisfare la richiesta del Museo degli Uffizi di un suo Autoritratto, che esegue in cambio di una copia del busto berniniano del Cardinale de' Medici. Torna a Parigi dove per un anno dà lezioni di pittura alla giovane e ricca americana Ruth Sterling.
Nella primavera del 1900 è ospite a Palermo della famiglia Florio, per eseguire il ritratto di donna Franca, il cui esito non soddisfà il marito Ignazio a causa dell'ampia scollatura e delle gambe scoperte poco sotto il ginocchio. Modificato, il ritratto, dopo il dissesto finanziario dei Florio, fu acquistato nel 1928 dal barone Rothschild per l'enorme somma di un milione di lire. Rubato dagli occupanti nazisti a Parigi, il dipinto subì in Germania gravi danni tanto che fu necessario tagliarlo nella parte inferiore.
Nel 1904 chiede in sposa Alaide Banti, figlia dell'amico pittore Cristiano, ma il matrimonio sfuma e a Parigi Boldini avvia una relazione con la signora de Joss de Couchy.
Con l'inizio della guerra, nel 1914 si trasferisce a Nizza con la nuova modella Lina fino al 1918; l'anno dopo è insignito dal governo francese della Legione d'onore. Ormai malato, la vista indebolita, nel1926 conosce la giovane giornalista Emilia Cardona, che sposa il 29 ottobre 1929. Muore a Parigi l'11 gennaio 1931; la sua salma è tumulata accanto ai genitori nel cimitero della Certosa di Ferrara.
« Per quanto superficiale e pieno di lenocini divenisse il suo lavoro, Boldini fu sempre capace di trasmettere nello spettatore la gioia ispiratagli dalle assurdità che ritraeva. Anche il più insopportabile dei suoi ritratti rivela un immenso divertimento. »(Cecil Beaton, The Glass of Fashion, 1955
)Giovanni Boldini nel 1910.Giovanni Boldini (Ferrara, 31 dicembre 1842 – Parigi, 11 gennaio 1931) è stato un pittore italiano.
Nasce, ottavo di tredici figli, da Antonio, nativo di Spoleto, e Benvenuta Caleffi. Giovanni Boldini era pittore di matrice purista, allievo di Tommaso Minardi(1787 - 1871), e restauratore. Si dice che, dotato di notevole tecnica, eseguisse buone copie di opere di Raffaello e di vedutisti veneziani. Dal padre, Zaninriceve, giovanissimo, i primi insegnamenti di disegno.
A Ferrara frequenta dal 1858 i corsi di pittura di Girolamo Domenichini (1813 – 1891), che col padre Gaetano fu autore degli affreschi accademici nel locale Teatro, e di Giovanni Pagliarini (1809 – 1878), tenuti nel Palazzo dei Diamanti. Qui ha modo di conoscere bene i grandi quattrocentisti ferraresi, oltre a Dosso Dossi e al Parmigianino.
La sua prima opera nota è Il cortile della casa paterna, un olio datato al 1855; seguono, datati alla fine degli anni Cinquanta, il suo Autoritratto a sedici anni e i ritratti del fratello Francesco, di Maria Angelini e di Vittore Carletti.
Nel 1862 si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Firenze, allievo di Stefano Ussi (1822 - 1901) e del cavalier Enrico Pollastrini (1817 - 1876). Frequenta il noto ritrovo degli artisti fiorentini, il Caffè Michelangelo, dove conosce Giovanni Fattori, Odoardo Borrani, Telemaco Signorini, Cristiano Banti del quale è ospite nelle sue ville di Montorsoli e di Montemurlo, e Michele Gordigiani (1830 - 1909). Già manifesta il proprio interesse, che non abbandonerà mai, per i salotti eleganti dell'aristocrazia e dell'alta borghesia: spesso ospite degli inglesi Falconer, decora con tempera stesa a secco, dal1867 al 1870, le pareti di una saletta della loro villa pistoiese "La Falconiera": la villa sarà acquistata nel 1938 dalla vedova del pittore e custodisce tuttora un centinaio di sue opere e di suoi cimeli.
Nel 1866 va a Napoli col Banti, che ritrae più volte. Nel 1867 compie un viaggio in Francia con i Falconer: a Montecarlo dipinge il Generale spagnolo - "una delle cose migliori della mia gioventù" -, dirà. A Parigi visita l'Esposizione Universale e conosce Edgar Degas, Alfred Sisley e Édouard Manet.
Si stabilisce a Londra nel 1870, invitato da William Cornwallis - West, conosciuto a Firenze, che gli mette a disposizione uno studio nel centro della città, frequentato dall'alta società ma alla fine dell'anno è nuovamente a Firenze.
A ParigiNell'ottobre del 1871 si stabilisce a Parigi aprendo uno studio nell'avenue Frochol e poi a place Pigalle dove risiede con la modella Berthe. Lavora per il più importante mercante d'arte parigino, Goupil, per il quale operano già pittori di grande successo come Mariano Fortuny ed Ernest Meissonier, oltre agli italiani Giuseppe Palizzi e Giuseppe De Nittis. Dipinge una serie di quadri di genere, d'ambiente settecentesco, allora molto in voga.
Nel 1874 espone con successo al Salon di Parigi Le Lavandaie. Termina la relazione con Berthe e inizia quella con la contessa Gabrielle de Rasty della quale espone un ritratto al Salon nel 1875; a maggio torna brevemente a Ferrara a causa della morte della madre. Nel 1876 viaggia in Germania, dove conosce e ritrae il grande pittore Adolph von Menzel mentre in Olanda ha modo di apprezzare le opere di Frans Hals.
Ormai è affermato e richiestissimo dal cosiddetto bel mondo: nel 1886 ritrae una prima volta Giuseppe Verdi su tela - gli donerà il ritratto sette anni dopo a Milano - ma, non soddisfatto dell'esito, lo ritrae nuovamente il 9 aprile 1886, utilizzando il pastello su carta, in sole cinque ore. Il pittore lo tenne per sé, presentandolo all'Esposizione di Parigi del 1889 e nel 1897 alla I Biennale di Venezia, donandolo infine alla Galleria d'Arte Moderna di Roma nel 1918.
Il 5 febbraio 1887 assiste nel Teatro alla Scala di Milano alla prima dell'Otello di Verdi, ricevendone il dono lo spartito. Nel 1889 è nominato commissario della sezione italiana all'Esposizione Universale di Parigi, esponendovi tre suoi ritratti, tra i quali il noto Ritratto di Emiliana Concha de Ossa, nipote dell'ambasciatore cileno presso il Vaticano Luis Subercaseuse.
Alla conoscenza dell'opera dello svedese Anders Zorn si vuole far risalire la scelta del Boldini di aumentare il formato delle sue tele a partire dagli anni Novanta. Nel 1892 torna in Italia, a Montorsoli, ospite del Banti, per soddisfare la richiesta del Museo degli Uffizi di un suo Autoritratto, che esegue in cambio di una copia del busto berniniano del Cardinale de' Medici. Torna a Parigi dove per un anno dà lezioni di pittura alla giovane e ricca americana Ruth Sterling.
Nella primavera del 1900 è ospite a Palermo della famiglia Florio, per eseguire il ritratto di donna Franca, il cui esito non soddisfà il marito Ignazio a causa dell'ampia scollatura e delle gambe scoperte poco sotto il ginocchio. Modificato, il ritratto, dopo il dissesto finanziario dei Florio, fu acquistato nel 1928 dal barone Rothschild per l'enorme somma di un milione di lire. Rubato dagli occupanti nazisti a Parigi, il dipinto subì in Germania gravi danni tanto che fu necessario tagliarlo nella parte inferiore.
Nel 1904 chiede in sposa Alaide Banti, figlia dell'amico pittore Cristiano, ma il matrimonio sfuma e a Parigi Boldini avvia una relazione con la signora de Joss de Couchy.
Con l'inizio della guerra, nel 1914 si trasferisce a Nizza con la nuova modella Lina fino al 1918; l'anno dopo è insignito dal governo francese della Legione d'onore. Ormai malato, la vista indebolita, nel1926 conosce la giovane giornalista Emilia Cardona, che sposa il 29 ottobre 1929. Muore a Parigi l'11 gennaio 1931; la sua salma è tumulata accanto ai genitori nel cimitero della Certosa di Ferrara.
- "...se una cosa [gli amatori d'arte] ammirano nei ritratti del signor Boldini, è la freschezza del colorito e per l'appunto è questa freschezza è la qualità che meno apprezziamo in quest'artista. Mentre la fattura larga e facile ci piace, il colore continuamente bello e lucido ci stanca; in natura, i colori belli di per se stessi non vi sono, ma paiono tali per il giusto contrapposto con gli altri, il fare i colori più belli della natura è far falso e convenzionale insieme" (Signorini, 1867)
- "Giovanni Boldini incarna il genio vibrante e facile, la maestria posta sempre meglio al servizio del piacere dei sensi, l'artista della decadenza estrema dotato di parecchi fra gli espedienti che vennero ignorati dai maestri italiani delle grandi epoche" (Blanche, 1931)
- I suoi ritratti sono "condotti con un'esecuzione spedita, sciolta, di tocco e di bravura, che rivela abbondanza di doni nativi ma troppo spesso devia verso una facilità di cattiva lega" (Brizio, 1944)
- "Era un artista ultra chic, in suo modo particolare, specialmente quando ritraeva lungiformi signore dell'alta società internazionale che appaiono dipinte come sotto un vetro traslucido. Esperto di quel mondo e della letteratura francese che lo ha rappresentato, interpretava molto bene la più alta eleganza femminile in un'epoca in cui era anche troppo rivestita dagli artifici dei sarti e delle modiste, figurativamente legata in pose ambigue che stanno tra il salotto e il teatro. Ma quei ritratti hanno un forte potere d'incanto: rivelano spontanee e sicure doti di pittore..." (Berenson, 1958)
- Le donne ebbero sempre un ruolo di primo piano nella sua vita, nel ritrarle egli ne esaltava le caratteristiche migliori, allungava gambe, mani, piedi per esaltare il fascino naturale.
- Le donne di Boldini, sono nature flessuose e disinibite che mostrano senza reticenza un modello di bellezza erudito e, spogliandosi, affermano la loro autodeterminazione di individui maturi e emancipati, pienamente consapevoli della propria femminilità.
- Per noi la Belle Epoque fu soprattutto il tempo di De Nittis, di Corcos, di La Gandara, di Stevens, di Tissot, di Sargent, di Helleu, di Whistler, di Beraud, di De Jonghee e, sopra ogni altro, di Boldini, geniale capostipite di questa generazione di pittori cosiddetti à la mode giunto a Parigi proprio nel 1871, dando origine all’irresistibile stile Boldini.
Giovanni Fattori (Livorno, 6 settembre 1825 – Firenze, 30 agosto 1908) fu un pittore e incisore italiano. È considerato, insieme a Silvestro Lega e a Telemaco Signorini, tra i maggiori esponenti del movimento dei macchiaioli. Caso unico fra gli artisti più conosciuti, tutta la sua produzione pittorica nota è posteriore ai suoi quaranta anni.
Nato a Livorno nel 1825, della sua vita si sa poco. Entrato in contatto con il gruppo del Caffè Michelangelo, divenne allievo di Giuseppe Bezzuoli e iniziò a frequentare la Scuola di Nudo all'Accademia di Belle Arti di Firenze.
Pochi esempi dei suoi primi lavori sono giunti ad oggi; si tratta esclusivamente di schizzi, il che fa ritenere che il suo lavoro sia diventato più forte e maturo solo dopo il 1851, quando l'artista era ormai sui trent'anni. I suoi primi dipinti in questo periodo furono principalmente scene storiche influenzate da Bezzuoli, spesso scene dalla storia del Medioevo o del Rinascimento.
Fattori prese parte alle battaglie per l'Unità d'Italia, collaborando con il Partito d'Azione come 'fattorino di corrispondenza'. Il primo lavoro di soggettorisorgimentale, Il campo italiano alla battaglia di Magenta, risale a questo periodo. A partire da questo dipinto il soggetto militare diverrà uno dei favoriti nelle opere di Fattori: battaglie, soldati. L'altro tema ricorrente è il paesaggio, in particolare la sua terra, la Maremma toscana, con una estrema attenzione alpaesaggio agrario.
Monumento alla memoria a LivornoDescritto spesso come realista, fu in questo periodo che l’artista divenne un membro dei Macchiaioli, una corrente di pittori precursori dell’impressionismo.
Fattori è oggi considerato uno dei membri più notevoli di questo movimento artistico, mentre al suo tempo era considerato rivoluzionario o quanto meno poco credibile, secondo il punto di vista dell'epoca, piuttosto che espressione di un'avanguardia.
Si considerava egli stesso piuttosto un pittore di persone anziché di paesaggi: tuttavia queste figure erano generalmente poste in paesaggi fantastici e illusori che dimostrano la sua padronanza del colore sotto l'influenza della luce e delle ombre.
Suoi lavori sono conservati, oltre che al Museo civico Giovanni Fattori di Livorno, anche alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma; alla Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, alla Pinacoteca di Brera diMilano, alla Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze, alla Pinacoteca Civica di Forlì, negli Stati Uniti, alMuseum of Fine Arts di Boston.
A Livorno è stato dedicato al Fattori il museo civico di Villa Mimbelli, dove sono ospitate importanti raccolte di opere dei Macchiaioli e dei post-macchiaioli.
La difficile situazione economica che assillò per tutta la vita il pittore, venne aggravata da una serie di disgrazie familiari, come la morte per tubercolosi della moglie, avvenuta nel 1867. Subito dopo l'artista cominciò a viaggiare, soggiornando a Parigi, a Londra, a Dresda, a Filadelfia, Santiago del Cile, dove ottenne vari riconoscimenti e premi.
Nel 1886 ottenne il ruolo di insegnante presso l'Accademia di Firenze e negli ultimi anni si dedicò con sempre maggiore interesse all'acquaforte.
Nato a Livorno nel 1825, della sua vita si sa poco. Entrato in contatto con il gruppo del Caffè Michelangelo, divenne allievo di Giuseppe Bezzuoli e iniziò a frequentare la Scuola di Nudo all'Accademia di Belle Arti di Firenze.
Pochi esempi dei suoi primi lavori sono giunti ad oggi; si tratta esclusivamente di schizzi, il che fa ritenere che il suo lavoro sia diventato più forte e maturo solo dopo il 1851, quando l'artista era ormai sui trent'anni. I suoi primi dipinti in questo periodo furono principalmente scene storiche influenzate da Bezzuoli, spesso scene dalla storia del Medioevo o del Rinascimento.
Fattori prese parte alle battaglie per l'Unità d'Italia, collaborando con il Partito d'Azione come 'fattorino di corrispondenza'. Il primo lavoro di soggettorisorgimentale, Il campo italiano alla battaglia di Magenta, risale a questo periodo. A partire da questo dipinto il soggetto militare diverrà uno dei favoriti nelle opere di Fattori: battaglie, soldati. L'altro tema ricorrente è il paesaggio, in particolare la sua terra, la Maremma toscana, con una estrema attenzione alpaesaggio agrario.
Monumento alla memoria a LivornoDescritto spesso come realista, fu in questo periodo che l’artista divenne un membro dei Macchiaioli, una corrente di pittori precursori dell’impressionismo.
Fattori è oggi considerato uno dei membri più notevoli di questo movimento artistico, mentre al suo tempo era considerato rivoluzionario o quanto meno poco credibile, secondo il punto di vista dell'epoca, piuttosto che espressione di un'avanguardia.
Si considerava egli stesso piuttosto un pittore di persone anziché di paesaggi: tuttavia queste figure erano generalmente poste in paesaggi fantastici e illusori che dimostrano la sua padronanza del colore sotto l'influenza della luce e delle ombre.
Suoi lavori sono conservati, oltre che al Museo civico Giovanni Fattori di Livorno, anche alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma; alla Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, alla Pinacoteca di Brera diMilano, alla Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze, alla Pinacoteca Civica di Forlì, negli Stati Uniti, alMuseum of Fine Arts di Boston.
A Livorno è stato dedicato al Fattori il museo civico di Villa Mimbelli, dove sono ospitate importanti raccolte di opere dei Macchiaioli e dei post-macchiaioli.
La difficile situazione economica che assillò per tutta la vita il pittore, venne aggravata da una serie di disgrazie familiari, come la morte per tubercolosi della moglie, avvenuta nel 1867. Subito dopo l'artista cominciò a viaggiare, soggiornando a Parigi, a Londra, a Dresda, a Filadelfia, Santiago del Cile, dove ottenne vari riconoscimenti e premi.
Nel 1886 ottenne il ruolo di insegnante presso l'Accademia di Firenze e negli ultimi anni si dedicò con sempre maggiore interesse all'acquaforte.
Giuseppe De Nittis (Barletta, 25 febbraio 1846 – Saint-Germain-en-Laye, 21 agosto 1884) è stato un pittore italiano appartenente alla corrente artistica delverismo e dell'Impressionismo.
Nato a Barletta nel 1846, rimasto orfano sin dall'infanzia, De Nittis, dopo il suo apprendistato presso il pittore barlettano Giovanni Battista Calò, si iscrisse nel1860 all'Accademia di Belle Arti di Napoli sotto la guida di Mancinelli e Smargiassi, ma si mostrò disinteressato alle nozioni ed esercitazioni accademiche, per cui quattro anni più tardi fondò la Scuola di Resìna, corrente italiana sul tema del realismo. Nel 1867 si trasferì a Parigi dove conobbe Ernest Meissonier eJean-Léon Gérôme e sposò due anni più tardi Léontine Lucile Gruvelle, che influenzerà notevolmente le scelte sociali ed artistiche del marito. Toccò il culmine della sua fama all'Esposizione Universale di Parigi del 1874 dove espose undici delle sue tele. Morì nel 1884 a Saint-Germain-en-Laye, colpito da un fulminante ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11).
Nato a Barletta nel 1846, rimasto orfano sin dall'infanzia, De Nittis, dopo il suo apprendistato presso il pittore barlettano Giovanni Battista Calò, si iscrisse nel1860 all'Accademia di Belle Arti di Napoli sotto la guida di Mancinelli e Smargiassi, ma si mostrò disinteressato alle nozioni ed esercitazioni accademiche, per cui quattro anni più tardi fondò la Scuola di Resìna, corrente italiana sul tema del realismo. Nel 1867 si trasferì a Parigi dove conobbe Ernest Meissonier eJean-Léon Gérôme e sposò due anni più tardi Léontine Lucile Gruvelle, che influenzerà notevolmente le scelte sociali ed artistiche del marito. Toccò il culmine della sua fama all'Esposizione Universale di Parigi del 1874 dove espose undici delle sue tele. Morì nel 1884 a Saint-Germain-en-Laye, colpito da un fulminante ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11).
Federico Zandomeneghi (Venezia, 2 giugno 1841 – Parigi, 31 dicembre 1917) è stato un pittore impressionista italiano.
Figlio d'arte (il padre Pietro ed il nonno Luigi sono entrambi scultori di stile neoclassico), studia prima all'Accademia di Belle Arti di Venezia e poi a quella di Milano.
Nel 1860 parte per raggiungere Garibaldi nell'impresa dei Mille.
Nel 1862 è a Firenze dove entra in contatto con gli esponenti della cultura pittorica macchiaiola, tra cui Signorini, Fattori, Lega.
Nel 1866 è di nuovo con Garibaldi per la terza guerra d'indipendenza.
Tra il 1866 e il 1874 viaggia tra Firenze, Venezia e Roma. Le sue opere di questo periodo risentono dell'intonazione realistica toscana, fondendo la tecnica della macchia con il senso cromatico veneto.
Nel 1874 parte improvvisamente e senza un programma per Parigi. È l'anno della nascita dell'Impressionismo, con l'esposizione degli "indipendenti" rifiutati al Salon nello studio del fotografo Nadar.
Nel 1878 inizia l'attività di disegnatore di moda, dopo i primi tentativi, infruttuosi, di entrare in contatto con i mercanti parigini.
Nel 1879 espone per la prima volta assieme agli impressionisti.
Nel 1886 soggiorna con il pittore impressionista Guillaumin nella valle della Chevreuse, dipingendo paesaggi en plein air.
Nel 1888 è nella sezione italiana dell'Esposizione Universale di Parigi.
Nel 1893 espone presso Durand-Ruel che diventerà il suo mercante.
Nel 1908 partecipa alla mostra "La comédie humaine" alla galleria Georges Petit, insieme a Forain, Van Dongen, Raffaelli.
Nel 1914 la Biennale di Venezia gli allestisce un’esposizione che non riscuote successo presso la critica moderna.
Nel 1917 Zandomeneghi viene trovato morto ai piedi del proprio letto, nello stesso anno in cui muore il grande amico Edgar Degas.
Lo studio viene smantellato, le opere sue e di altri artisti (Fattori, Lega, Signorini) sono mandate all’asta per pochi soldi.
Pittura e vicende artistiche (cenni)Dei tre “italiani di Parigi”, (con De Nittis e Boldini), Zandomeneghi è quello che ha avuto i legami più duraturi e profondi con l’ambiente impressionista e post-impressionista, partecipando ininterrottamente dal 1879 a tutte le mostre del movimento.
La vicinanza dei temi, come le immagini della toilette femminile, i paesaggi parigini, le figure in interno, sono solo un tassello, importante ma non esclusivo, di quella trama di suggestioni traimpressionismo e post-impressionismo, nelle quali si considera necessario inserire la sua arte.
La Parigi di Zandomeneghi non è la Parigi elegante, mondana e internazionale celebrata da De Nittis e Boldini, ma si racchiude nel quartiere bohèmien per eccellenza, Montmartre, dove l’artista viveva a fianco di Toulouse-Lautrec e della sua modella Suzanne Valadon.
I soggetti dipinti da Zandomeneghi non ricreano solo il suo ambiente quotidiano ma testimoniano anche il graduale avvicinamento alla poetica impressionista della pittura en plein air, reso più profondo dai vincoli d’amicizia con impressionisti come Pissarro e Guillaumin. Accanto alle vedute parigine, gli esterni si arricchiscono dei paesaggi aperti della campagna francese.
La figura femminile è il suo soggetto prediletto e le sue immagini di donne, sia in interni sia in esterni, risentono notevolmente dell’influsso della moderna raffigurazione dell’eleganza diffusa attraverso le riviste di moda.
La descrizione delle toilettes, degli elaborati cappelli, dei gesti tipici della moda, come l’indossare i guanti, o muovere il ventaglio, occupa un posto di rilievo nella sua produzione, e a questo filone appartengono molte delle opere più celebri, come Nel palco o Il tè.
La vicinanza a Degas, con il quale Zandomeneghi condivideva l’amore per il disegno, per i valori lineari e per il pastello, si esprime nelle scene di nudo che colgono giovani donne nei gesti quotidiani del risveglio e della toilette.
Figlio d'arte (il padre Pietro ed il nonno Luigi sono entrambi scultori di stile neoclassico), studia prima all'Accademia di Belle Arti di Venezia e poi a quella di Milano.
Nel 1860 parte per raggiungere Garibaldi nell'impresa dei Mille.
Nel 1862 è a Firenze dove entra in contatto con gli esponenti della cultura pittorica macchiaiola, tra cui Signorini, Fattori, Lega.
Nel 1866 è di nuovo con Garibaldi per la terza guerra d'indipendenza.
Tra il 1866 e il 1874 viaggia tra Firenze, Venezia e Roma. Le sue opere di questo periodo risentono dell'intonazione realistica toscana, fondendo la tecnica della macchia con il senso cromatico veneto.
Nel 1874 parte improvvisamente e senza un programma per Parigi. È l'anno della nascita dell'Impressionismo, con l'esposizione degli "indipendenti" rifiutati al Salon nello studio del fotografo Nadar.
Nel 1878 inizia l'attività di disegnatore di moda, dopo i primi tentativi, infruttuosi, di entrare in contatto con i mercanti parigini.
Nel 1879 espone per la prima volta assieme agli impressionisti.
Nel 1886 soggiorna con il pittore impressionista Guillaumin nella valle della Chevreuse, dipingendo paesaggi en plein air.
Nel 1888 è nella sezione italiana dell'Esposizione Universale di Parigi.
Nel 1893 espone presso Durand-Ruel che diventerà il suo mercante.
Nel 1908 partecipa alla mostra "La comédie humaine" alla galleria Georges Petit, insieme a Forain, Van Dongen, Raffaelli.
Nel 1914 la Biennale di Venezia gli allestisce un’esposizione che non riscuote successo presso la critica moderna.
Nel 1917 Zandomeneghi viene trovato morto ai piedi del proprio letto, nello stesso anno in cui muore il grande amico Edgar Degas.
Lo studio viene smantellato, le opere sue e di altri artisti (Fattori, Lega, Signorini) sono mandate all’asta per pochi soldi.
Pittura e vicende artistiche (cenni)Dei tre “italiani di Parigi”, (con De Nittis e Boldini), Zandomeneghi è quello che ha avuto i legami più duraturi e profondi con l’ambiente impressionista e post-impressionista, partecipando ininterrottamente dal 1879 a tutte le mostre del movimento.
La vicinanza dei temi, come le immagini della toilette femminile, i paesaggi parigini, le figure in interno, sono solo un tassello, importante ma non esclusivo, di quella trama di suggestioni traimpressionismo e post-impressionismo, nelle quali si considera necessario inserire la sua arte.
La Parigi di Zandomeneghi non è la Parigi elegante, mondana e internazionale celebrata da De Nittis e Boldini, ma si racchiude nel quartiere bohèmien per eccellenza, Montmartre, dove l’artista viveva a fianco di Toulouse-Lautrec e della sua modella Suzanne Valadon.
I soggetti dipinti da Zandomeneghi non ricreano solo il suo ambiente quotidiano ma testimoniano anche il graduale avvicinamento alla poetica impressionista della pittura en plein air, reso più profondo dai vincoli d’amicizia con impressionisti come Pissarro e Guillaumin. Accanto alle vedute parigine, gli esterni si arricchiscono dei paesaggi aperti della campagna francese.
La figura femminile è il suo soggetto prediletto e le sue immagini di donne, sia in interni sia in esterni, risentono notevolmente dell’influsso della moderna raffigurazione dell’eleganza diffusa attraverso le riviste di moda.
La descrizione delle toilettes, degli elaborati cappelli, dei gesti tipici della moda, come l’indossare i guanti, o muovere il ventaglio, occupa un posto di rilievo nella sua produzione, e a questo filone appartengono molte delle opere più celebri, come Nel palco o Il tè.
La vicinanza a Degas, con il quale Zandomeneghi condivideva l’amore per il disegno, per i valori lineari e per il pastello, si esprime nelle scene di nudo che colgono giovani donne nei gesti quotidiani del risveglio e della toilette.
Telemaco Signorini (Firenze, 18 agosto 1835 – Firenze, 10 febbraio 1901) è stato un pittore e incisore italiano.
Telemaco Signorini appartiene alla corrente dei Macchiaioli, interessandosi, però, anche di tematiche sociali, come testimoniato dal dipinto La sala delle agitate, ambientato in un manicomio.
Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze, viaggiò in diverse località italiane (Venezia, La Spezia, leCinque Terre), alla ricerca di soggetti da rappresentare.
Nel 1859 partecipò tra le file dei garibaldini alla guerra; due anni dopo si recò a Parigi e Castiglioncello.
Al 1867 risale la fondazione del "Il Gazzettino delle Arti e del Disegno" col quale collaborò a lungo.
A partire dal 1871 Signorini viaggiò molto: dapprima Roma e Napoli, assieme agli amici Adriano Cecioni e Giuseppe De Nittis, poi Parigi e Londra, nelle quali ritornerà frequentemente.
Morì a Firenze il 10 febbraio 1901.
Telemaco Signorini appartiene alla corrente dei Macchiaioli, interessandosi, però, anche di tematiche sociali, come testimoniato dal dipinto La sala delle agitate, ambientato in un manicomio.
Dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze, viaggiò in diverse località italiane (Venezia, La Spezia, leCinque Terre), alla ricerca di soggetti da rappresentare.
Nel 1859 partecipò tra le file dei garibaldini alla guerra; due anni dopo si recò a Parigi e Castiglioncello.
Al 1867 risale la fondazione del "Il Gazzettino delle Arti e del Disegno" col quale collaborò a lungo.
A partire dal 1871 Signorini viaggiò molto: dapprima Roma e Napoli, assieme agli amici Adriano Cecioni e Giuseppe De Nittis, poi Parigi e Londra, nelle quali ritornerà frequentemente.
Morì a Firenze il 10 febbraio 1901.